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La torre di Gnicche. Crimini, gesta e passioni del brigante che amava donne, carte e ballo

Se all’altezza degli archi dell’Acquedotto Vasariano svoltiamo in direzione di San Fabiano, dopo poche centinaia di metri vediamo spuntare sulla nostra destra una piccola torre fatiscente ma graziosa, posta lungo via dei Cappuccini. Oggi è conosciuta da tutti gli aretini come la Torre di Gnicche, poiché secondo la tradizione era uno dei nascondigli più utilizzati dal celebre brigante dell’Ottocento. 145 anni fa la sua cattura e uccisione



la torre di Gnicche Se all’altezza degli archi dell’Acquedotto Vasariano svoltiamo in direzione di San Fabiano, dopo poche centinaia di metri vediamo spuntare sulla nostra destra una piccola torre fatiscente ma graziosa, posta lungo via dei Cappuccini. È ciò che rimane di un edificio di origine medievale, forse una costruzione di avvistamento facente parte del sistema difensivo della città.
Oggi è conosciuta da tutti gli aretini come la Torre di Gnicche, poiché secondo la tradizione era uno dei nascondigli più utilizzati dal celebre brigante dell’Ottocento. Ma chi era veramente costui?
Federigo Bobini, detto Gnicche, era nato il 13 giugno del 1845 nel sobborgo di Santa Croce, a diretto contatto con la cosiddetta “feccia di Colcitrone”.

I genitori, ambedue braccianti, non dovevano essere stati dei grandi educatori, visto che il primogenito Donato lavorava nel bordello cittadino, mentre un altro figlio, Giovanni, fu condannato nel 1866 a otto anni di reclusione per omicidio.

Da ragazzino Federigo era già a capo di una banda di ladruncoli e nel 1864 arrivò persino a derubare il padre che non perse tempo a denunciarlo. Da questa azione nacque una lite furibonda tra genitore e figlio che si concluse con una breve condanna per furto e violenza ai danni del secondo.
Sempre per una ruberia, l’anno seguente Gnicche fu nuovamente processato per direttissima.

Nel 1868 si beccò altri sei mesi di galera per rapina e violenza pubblica. Appena uscito di prigione, si vide recapitare una sentenza di condanna in contumacia a otto anni e, per non finire di nuovo al fresco, si dette alla latitanza.

Di giorno si eclissava nella campagna che conosceva a menadito e di notte faceva ritorno in città per dormire o per andare a trovare le amanti sparse qua e là.

Il 6 novembre 1869, mentre si trovava a Santa Firmina a casa della fidanzata Francesca, fu scoperto dai carabinieri e durante la fuga sui tetti sparò loro alcune fucilate, ferendone uno a morte.
Da quel momento la brutalità di Gnicche non ebbe più freni e dopo un paio di settimane furono assalite due persone nel cortonese.

Il 17 agosto 1870, a Ponte alla Chiassa litigò con un tale e, a conclusione del battibecco, non trovò altro da fare che sparargli in faccia, sfigurandolo per sempre. Il 3 ottobre dello stesso anno i militari lo sorpresero nascosto in una capanna e lo arrestarono, ma il 17 dicembre riuscì a corrompere un secondino e a evadere assieme a cinque ergastolani dal carcere di Arezzo.

 

l'arresto del brigante nel marzo del 1871Deciso a vendicarsi contro tutti quelli che avevano collaborato alla sua cattura, rimase nascosto nel contado aretino invece di fuggire lontano, proseguendo con la sua escalation di furti.
Purtroppo si macchiò di altri due delitti, il primo ai danni di una donna a Creti e l’altro nei confronti di un uomo a Sargiano. In quest’ultimo luogo, ancora oggi, esiste un leccio secolare dove, secondo la tradizione, il brigante si appostava per i suoi agguati munito degli inseparabili strumenti del mestiere: doppietta, revolver e coltello.

Le “imprese” del Bobini ebbero fine tra il 14 e il 15 marzo1871, quando strenuamente braccato dai carabinieri fu ammanettato in un casolare di Tegoleto. Durante il tragitto verso la caserma di Badia al Pino, il bandito tentò nuovamente la fuga e fu freddato con una pallottola da uno dei due militari.

Secondo alcuni racconti, prima di spirare Gnicche trovò il tempo per complimentarsi con la guardia per l’ottima mira!

La morte drammatica fece crescere la fama del brigante aretino e la memoria popolare ci ha tramandato la figura di un uomo che amava vestire elegante, garbato con le donne e spavaldo con i potenti. Le carte e il ballo erano le sue grandi passioni e per questo, anche durante la clandestinità, non disdegnava di presentarsi alle feste camuffato. Si dice addirittura che in alcune occasioni Federigo si era comportato da benefattore, donando parte delle refurtive ai meno fortunati.
Tutte queste peculiarità, unite alla sua capacità di trovare rifugi improbabili, fecero passare in secondo piano agli occhi della povera gente la sua condizione di spietato delinquente: per l’immaginario collettivo era “il bandito gentiluomo”.

Le feste contadine, sparse per tutto il territorio, erano l’occasione per gli improvvisatori in ottava rima di narrare le gesta romanzate del bandito, che si faceva beffe delle forze dell’ordine e dei ricchi spocchiosi.

Giovanni Fantoni da Ponte Buriano scrisse la ballata più famosa a lui dedicata.

 

Per approfondire: Il romanzo di Gnicche. Dalla verità alla leggenda (Leonardo Zanelli, Letizia Editore 2009)


scritto da: Marco Botti, 15/03/2016





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