Bancarotta, il pm chiede 5 anni di condanna per l'ex presidente amaranto Piero Mancini

Ieri la requisitoria del pubblico ministero Marco Dioni. Verso l'assoluzione Cappietti, ex ad dell'Arezzo, e la figlia di Mancini, Jessica. Secondo l'accusa gli imputati avrebbero fatto girare i soldi del gruppo da una società all’altra, fino a svuotarne le casse. 13 milioni sarebbero stati distratti anche per la gestione sportiva. Nei prossimi giorni le arringhe degli avvocati difensori

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Il pubblico ministero Marco Dioni, nella requisitoria di ieri, ha chiesto 5 anni di condanna per l'ex presidente amaranto Piero Mancini, imputato di bancarotta per il crac del gruppo. Da assolvere, secondo il pm, il commercialista Giovanni Cappietti (ex amministratore delegato dell'Arezzo calcio) e la figlia di Mancini, Jessica.

Secondo gli inquirenti, gli imputati avrebbero fatto "girare" i soldi del gruppo da una società all’altra, fino a svuotarne le casse. Sarebbe stata questa la causa della “bancarotta per distrazione”. Nell’arco di circa dieci anni sarebbero stati movimentati oltre 25 milioni di euro e coinvolte le società Mancini Group, Mancini Re, Ciet Impianti e Coeti.

C'è anche un capitolo dell'inchiesta che ruota attorna al calcio: stando all'accusa, con lo stesso meccanismo, 13 milioni di euro sarebbero stati distratti dalle altre società e passati ad Arezzo Immagine (azionista di maggioranza dell'Ac Arezzo) come serbatoio per la gestione sportiva. 

Inoltre, impiegati e dirigenti del gruppo avrebbero girato in banca assegni con la formula "a me medesimo" per prelevare contanti dalla cassa aziendale, soldi che poi sarebbero stati consegnati sempre a Mancini, che in questo modo avrebbe potuto contare sulla liquidità di cassa necessaria.

Nei prossimi giorni in aula toccherà agli avvocati di Piero Mancini smontare le tesi della procura della Repubblica. 

 

scritto da: La redazione, 08/03/2022

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