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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
Flaminia4 set15Livorno
Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
MONDO AMARANTO
Stefano al Camp Nou di Barcellona
NEWS

Daniele Bennati, ciclismo a pane e acqua

“La cosa che mi dà fastidio è che questo sport sembra il mondo dei dopati. Io ho vinto pulito”. Il Benna a ruota libera: Pantani e Petacchi, Argentin e Cipollini, il sogno di vincere una grande classica e la fede in Dio, la famiglia, l’Arezzo di Cosmi e l’arrivo a braccia alzate a Parigi, nel giorno più intenso della carriera da professionista.



la vittoria di tappa a Parigi con l'Arco di Trionfo alle spalleLa prima svolta della sua vita è arrivata quando era ancora un bambino. Giocava a calcio, era un buon centravanti, ma il nonno gli regalò una bicicletta e il pallone passò in secondo piano. La seconda svolta si è consumata diversi anni più tardi, nel 2005, quando ha vinto il Giro della Toscana e chiuso un lungo periodo buio, coinciso con una forma acuta di mononucleosi che l’aveva tenuto lontano dai pedali per molti mesi. La terza e per ora ultima svolta è fresca fresca: 29 luglio, tappa di chiusura del Tour de France, 146 chilometri da Marcoussis ai Campi Elisi. Daniele Bennati, aretino, ciclista professionista dal 2002, stacca tutti e arriva a braccia alzate nel cuore di Parigi. All’ombra dell’Arco di Trionfo conquista definitivamente consapevolezza di sé, credibilità, stima, popolarità. O forse, più semplicemente, corona il sogno che inseguiva dal giorno in cui salì sulla prima bicicletta, quella regalatagli da nonno Gino.

Sguardo intenso, aria da bravo ragazzo, parole soppesate con calma, Bennati ha 27 anni, una moglie conosciuta nell’adolescenza, un cocker che ubbidisce solo a lui e una grande carriera davanti. Lo dicono gli addetti ai lavori, ne sono certi gli oltre 800 iscritti del suo fans club, che una ventina di giorni fa hanno organizzato a Rigutino la festa di chiusura della stagione. Il Benna, così lo chiamano tutti, si fa ben volere e non ha vizi. In pratica, vive da sempre come un atleta modello, fin da quando ripose in un cassetto la maglia numero 9 della Polisportiva Olmo per iniziare a pedalare in Bmx.

“Ero bravino in attacco – dice lui. E poi mi piaceva, tanto che ho continuato a giocare fino a 18 anni ogni volta che potevo. Fare il calciatore non sarebbe stato brutto”.

Però non ti è andata male lo stesso.

“La mia famiglia è composta da appassionati di ciclismo. Mio padre correva e ha dovuto smettere per un infortunio, a mio fratello interessava più divertirsi e oggi, infatti, si è pentito di non aver continuato. Io ci ho messo del mio: il ciclismo è uno sport duro e se non hai voglia di stare in bici, non c’è famiglia che tenga”.

Hai cominciato a vincere subito, fin da piccolo. E’ stata una bella spinta a proseguire.

“Io sono così di carattere, se devo fare una cosa la faccio bene, al massimo. Sarebbe stato lo stesso anche se fossi diventato un calciatore”.

E con la scuola com’è andata?

“Ho sempre preferito la bicicletta, però, pur in mezzo alle difficoltà e con tante assenze, sono riuscito a prendere il diploma da perito elettronico”.

A che età hai tolto le rotelline dalla bici?

“A due anni andavo già bello spedito, con mio fratello eravamo spericolati. Stavamo in campagna, correvamo come matti”.

Il primo idolo?

“Argentin. Si chiamava Moreno come mio padre, lui lo apprezzava e io mi ero accodato. Poi è arrivato Bugno, infine Cipollini, del quale sono stato compagno di squadra”.

Prima hai parlato della tua voglia di stare in bici. Le motivazioni contano quanto il talento, di più, di meno?

“Beh, contano moltissimo. Il ciclismo è uno sport duro, per superare i momenti di difficoltà devi scavare dentro te stesso. Il mio limite, almeno fino a un po’ di tempo fa, era l’insicurezza. Avevo bisogno di essere incoraggiato, tendevo a sottovalutarmi. Ora è diverso, grazie ai risultati. Però anche da professionista ho sofferto”.

Cosa ti piace del ciclismo?

“La sfida a me stesso e agli altri. Tagliare il traguardo per primo è intrigante, è fantastico e ogni vittoria è un gradino più in alto di quella precedente”.

Cosa non ti piace invece? Cosa cambieresti?

“Cambierei l’immagine che il ciclismo si è costruito, anche per sua responsabilità. Per chi osserva da fuori, il nostro è il mondo dei dopati. Io il periodo più brutto di questo sport non l’ho vissuto dall’interno e mi dà fastidio quando ci insultano lungo le strade. Sai che penso? Che il ciclismo invece è lo sport più pulito”.

Sei d’accordo che correre il Tour piuttosto che il Giro o la Vuelta, con tappe così lunghe e così ravvicinate, sia una sorta di invito a doparsi?

“Il ciclismo è sport di resistenza, da sempre le grandi corse a tappe durano tre settimane. Io quest’anno ho finito sia il Tour che la Vuelta e sono arrivato in fondo a pane e acqua. Se decideranno di ammorbidire le gare, ok. Ma si può stare in bici pure senza doping”.

Cioè, tu dici che si può fare il professionista, ai tuoi livelli, anche a pane e acqua? Sai che molti non ci crederanno.

“Non ci crederanno ma è così. Il ciclismo è lo sport che ho amato, che amo, gli ho dedicato la mia vita. Io ho vinto senza ricorrere a pratiche illecite”.

Qualcun altro no.

“Qualcuno non ha l’ha ancora capito, è vero. Il male è questo, perché si continua a rovinare uno sport bellissimo. A cambiare devono essere i corridori più dei medici e dei manager. Per me è difficile parlare di queste cose: è giusto combattere il doping, non è giusta la caccia alle streghe”.

Il 2004 è stato un anno nero per te. Come sei riuscito a passare oltre?

“E’ stato un calvario, non ho corso per dodici mesi. Ero appena passato a una squadra svizzera e a un certo punto ho temuto di non tornare più quello di prima. Mi ha aiutato Chiara, la mia fidanzata, oggi mia moglie”.

 

durante l'intervista per Amaranto magazineNel 2005 rientri e vinci il Giro della Toscana. E torni il Bennati vero.

“Fu la prima gioia dopo l’anno disgraziato. Vinsi a casa mia, davanti ai miei tifosi, alla mia famiglia. Bellissimo”.

Quanto si allena Bennati?

“D’inverno dalle tre alle sei ore e mezzo, a 30 chilometri all’ora di media. Spesso esco da solo, a volte viene mio fratello con me. Allenarsi in strada è pericoloso, purtroppo. Io ne so qualcosa, l’anno scorso un’auto rischiò di investirmi. E’ un problema grave, anche per i ragazzini: in Italia mancano strutture e piste ciclabili. In Francia, in Belgio, in Olanda ce ne sono a centinaia”.

Il tuo rapporto con i giornalisti com’è?

“Buono, mai avuto problemi finora”.

Il ciclista più forte oggi?

“Nelle corse di un giorno, Bettini. In quelle a tappe Armstrong, anche se con tutte queste squalifiche è un casino fare nomi. Cito pure Cunego, ha vinto un Giro solo ma è forte”.

Come hai vissuto il mito di Pantani?

“Quando ha corso il suo ultimo Giro, nel 2003, c’ero anch’io. Lui non era più il vero Pantani, dopo Madonna di Campiglio era diverso. Non so se sia stato più vittima o colpevole, di certo era un campione che faceva le stesse cose che facevano gli altri, né più né meno”.

La vicenda Pantani è stata il punto più basso toccato dal ciclismo?

“Per me no. Il fondo l’abbiamo raggiunto con l’operacion Puerto e con tutto quello che è accaduto al Tour l’anno scorso”.

E’ vero che Corioni è il tuo fido scudiero in corsa? Che rapporto c’è tra di voi?

“Ci conosciamo da anni. Quando ho deciso di lasciare la Lampre per passare alla Liquigas, volevo portare qualcuno con me, anche se non c’erano tanti posti liberi. L’unico che ha potuto seguirmi è stato Corioni, mi ha aiutato molto, è giovane, è un amico”.

Petacchi è il tuo rivale numero uno?

“E’ uno dei velocisti più forti al mondo. Fino al 2006 mi aveva sempre battuto, l’anno scorso invece l’ho battuto io diverse volte. Diciamo che mi sono sentito come si sentiva lui quando batteva Cipollini”.

Petacchi ha detto che preferisce fare la volata con te piuttosto che con McEwan, perché tu sei corretto e McEwan no.

“Beh, io somiglio più a Petacchi che a McEwan, che è un atipico. Comunque lo prendo come un complimento”.

Come ci vivi ad Arezzo?

“Benissimo, è una delle mie città preferite. Ci sono nato, ci abito, è accogliente”.

Degli aretini cosa pensi?

“Penso che vanno poco allo stadio. Anzi, ci vanno in tanti quando l’Arezzo vince, non ci va nessuno quando i risultati non arrivano. Non mi piace, vuol dire che cultura sportiva non ce n’è. Nelle altre discipline è lo stesso”.

L’Arezzo lo segui?

“Compatibilmente con i miei impegni, sì. Quando sono a casa guardo sempre Teletruria e mi tengo aggiornato. Noto con piacere che le cose stanno migliorando dopo un inizio in salita”.

Allo stadio da quanto tempo non vai?

“Da un po’. Prima ci andavo con i miei, ricordo benissimo gli anni di Cosmi, soprattutto il campionato vinto dopo il testa a testa col Sansepolcro. Battistini, Bifini, Mattoni, grandi giocatori”.

In serie A per chi tifi?

“Tifo Inter, ma sono amico di un ex juventino, Fabrizio Ravanelli. Lui è appassionato di ciclismo, fa gare amatoriali. Ogni tanto ci incontriamo al lago Trasimeno e ci alleniamo insieme”.

E’ vero che sei molto legato alla tua famiglia?

“Legatissimo. Mio nonno è stato ed è il mio primo tifoso. Mia mamma l’ho fatta soffrire per anni, io sono un maniaco dell’alimentazione e mi arrabbiavo quando lei sgarrava sulla dieta. Devo dire che è stata veramente brava a sopportarmi”.

 

a braccia alzate, primo sul traguardoE tua moglie Chiara?

“L’8 dicembre abbiamo festeggiato quattro anni di matrimonio. Ci siamo fidanzati da ragazzi, io avevo 17 anni, lei 16. Facevamo ginnastica insieme, l’amore è sbocciato piano piano. Ci mettemmo insieme al veglione della scuola. Era l’8 dicembre, per questo ci siamo sposati in quel giorno”.

Discoteche?

“Non piacciono né a me né a lei”.

Tu in giro per il mondo a correre in bici, con le miss, le fans sempre intorno. Tua moglie non è gelosa?

“Un po’ sì, ma sono geloso anch’io. Le tentazioni ci sono, è vero, però sono fedelissimo. Anzi, quest’anno è venuta al Tour e alla Vuelta e ho vinto. Spero venga sempre”.

Ho letto una tua intervista in cui sottolineavi l’importanza che per te ha la fede in Dio.

“La fede è fondamentale, mi dà tanta sicurezza. Credente lo sono sempre stato, ma c’è stato un episodio che riguarda mia moglie che ha rafforzato le mie convinzioni”.

Ho letto anche che sei molto devoto a Padre Pio, come del resto Chiara. Non temi che, essendo un personaggio pubblico, la tua fede possa essere strumentalizzata?

“So che qualcuno ha detto che ne ho parlato per farmi pubblicità. Non ho bisogno di cadere così in basso, francamente. Anzi, penso che parlarne sia una bella testimonianza per chi la fede la vive in maniera astratta”.

Il tuo cocker come sta?

“Benissimo. Gli voglio un bene dell’anima e penso che chi non ama gli animali, non sia una gran persona. Pepe sta sempre con Chiara, è attaccatissimo a lei ma non le dà retta. Come padrone vero riconosce solo me”.

Il sogno da realizzare?

“Partecipare al Mondiale e vincere una grande classica, la Milano-San Remo per esempio, oppure il Giro delle Fiandre”.

All’ultimo campionato del mondo, il ct Ballerini non ti ha chiamato perché ha detto che non poteva garantirti di correre per vincere.

“Io speravo di partecipare. E penso che Bettini avrebbe vinto anche se ci fossi stato io. So che Ballerini mi stima, mi auguro mi chiami nel 2008”.

La canzone che ascolti in questo momento.

En el nuelle de san blas dei Manà. E’ stata usata come colonna sonora delle mie vittorie al Tour”.

Tu che arrivi a braccia alzate a Parigi, un’immagine che ha fatto il giro del mondo. Sensazioni?

“Incredibile, c’era l’Arco di Trionfo laggiù in fondo e mi sono emozionato, anche perché in quel Tour ero caduto alla seconda tappa, per una settimana non avevo chiuso occhio e avevo corso con due costole incrinate. Vincere a Parigi è stato un sogno”.

Quanto sei cambiato rispetto a due anni fa?

“Non sono cambiato per niente. Il Bennati che ero è il Bennati che sono”.

 

scritto da: Andrea Avato, 25/12/2007