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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
Flaminia4 set15Livorno
Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
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Samuele a Melbourne - Australia
NEWS

Batti-gol, impossibile dimenticare

Tredici anni fa segnò un gol al Sansepolcro che è rimasto nella storia e che dette il via alla cavalcata amaranto verso la promozione in C2. Oggi allena proprio i biturgensi e in quest’intervista ha ripercorso le tappe della sua carriera di calciatore e di tecnico. L’atletica leggera e il rimpianto della laurea mancata, Acori e Braglia, Cosmi e Mazzarri, la maglia azzurra alle Universiadi e il rapporto con Graziani, per chiudere con la famiglia e un sogno da coltivare: “Con l’Arezzo ho un conto aperto, mi piacerebbe tornarci”.



Pierfrancesco Battistini, ieri centravanti e oggi allenatorePierfrancesco Battistini, romano, 37 anni, ha segnato un gol che è uno spot. Il 19 dicembre 1995 si avventò su un corner di Mattoni, prolungato da Bruni sul primo palo, e di testa la mise dentro. Grazie a quel gol l’Arezzo battè il Sansepolcro 1-0 e prese il volo verso la promozione in C2. Altri tempi, altro calcio, altro clima. Quella prodezza è diventata la sigla di tante trasmissioni televisive perché ha marcato un’epoca e oggi, a distanza di tredici anni, è come se le lancette degli orologi non avessero girato. Battistini nel frattempo è diventato allenatore e l’allenatore dell’epoca, Serse Cosmi, si è seduto su una panchina di Champions a Barcellona. Graziani faceva il presidente e adesso è un personaggio della tivù, Di Loreto gioca stabilmente in serie A. Nonostante tutti questi cambiamenti, alla gente la vittoria del Cnd è rimasta nel cuore.

Perché Pier, cos’avevate in più degli altri?

“Eravamo tutti pagati poco, arrivati ad Arezzo per una scommessa personale, da Cosmi in giù. Giocare in amaranto era un onore, davamo l’anima e i tifosi se ne rendevano conto. Fu tutto incredibile quell’anno”.

Anche le trasferte con centinaia di persone al seguito.

“Ricordo quella di Città di Castello. Impressionante. Sai cosa c’era al tempo? Nessuno di noi si prendeva sul serio. Eravamo ragazzi normali, uscivamo insieme senza nasconderci. La gente ci apprezzava per questo. I calciatori di oggi sono diversi”.

Si prendono troppo sul serio, come dici tu.

“E sbagliano. Ai miei ragazzi glielo dico sempre: piedi per terra”.

Come ci sei finito ad Arezzo? Te lo ricordi?

“Come no? Mi chiamò Graziani, ci incontrammo all’hotel Tevere a Perugia. Accettai di venire ad Arezzo per due lire, ma l’occasione era irripetibile. Noi vincemmo il campionato grazie alle motivazioni, pur non avendo una squadra di fuoriclasse”.

L’impatto con Cosmi come fu?

“La prima volta che lo vidi era spaparanzato su un dondolo, con la camicia aperta e l’orecchino. Tutto sembrava fuorché un allenatore”.

Il tuo rapporto con lui?

“Bellissimo. L’ho apprezzato di più col senno di poi. Serse non mi lasciò molto dal punto di vista tattico, però aveva una capacità straordinaria, naturale di trasmettere energia positiva. E’ una grande qualità per un allenatore”.

Quant’è che non vi sentite?

“Un bel po’. Mi piacerebbe rivederlo, ha fatto una grande carriera, è anche un personaggio”.

Lui si arrabbia quando lo chiamano personaggio.

“Però è così. La sua mediaticità lo ha aiutato, almeno all’inizio. Poi è chiaro che se non avesse ottenuto quei grandi risultati, sarebbe stato tutto inutile. Io dico che Serse è un bell’esempio per noi giovani che coltiviamo il sogno di arrivare a certi livelli”.

E Graziani?

“Non avrei mai immaginato di trovarlo in un reality sul circo, giuro”.

L’avrebbero immaginato in pochi.

“Dopo quella grande stagione ad Arezzo, mi vendette al Sansepolcro. Fu una delusione per me. Però qualche anno dopo sai cos’ha fatto Ciccio?”.

Cosa?

“Avevo vinto il titolo di capocannoniere in C2 con la Sangiovannese. 14 gol come Myrtaj del Teramo e Tavano della Rondinella. Graziani volle incontrarmi e mi confessò che il suo rimpianto era avermi ceduto con troppa leggerezza, perché meritavo di giocare tra i professionisti”.

Beh, un bell’attestato di stima.

“Sì, veramente”.

Il gol più bello segnato con l’Arezzo?

“A Osimo, mezza rovesciata su cross da sinistra di Martinetti”.

Il primo ricordo che affiora qual è?

“Tanti ricordi. Lauro Minghelli, un ragazzo speciale. La famiglia Badii, che quasi viveva allo stadio per il bene della squadra. Il rapporto tra noi giocatori. Prima della partita col Sansepolcro, andammo tutti insieme al luna park sugli autoscontri. C’era pure Cosmi. Avevamo un grande spirito”.

Ti senti ancora con qualcuno?

“Con Mosconi siamo proprio amici. Spesso mi sento con Bifini e Mattoni, mi piacerebbe fare una rimpatriata. Quell’annata è volata via troppo velocemente, è stata così bella che me la sono goduta poco”.

Dopo Arezzo hai giocato con Sansepolcro, Valenzana, Sangiovannese, Acireale, Ravenna. Come giudichi la tua carriera?

“Sono contento. Ho giocato 14 anni in serie D, ho vinto cinque campionati, tre volte sono arrivato secondo, tre volte sono stato capocannoniere, ho conosciuto anche il professionismo. Non mi lamento”.

E dire che hai cominciato tardi a giocare.

“A 17 anni. Prima facevo atletica leggera, ero un mezzofondista veloce. Sono stato campione regionale nei duemila metri e nel salto in lungo”.

L'Arezzo che vinse la serie D nel 95-96E perché non hai continuato?

“Il calcio mi piaceva troppo. Iniziai col San Lorenzo, a Roma, e segnai 22 gol nella Juniores. Poi andai all’Almas, in serie D, quindi all’Aquila. Allenatore era Leo Acori, gli devo molto”.

Lontano da casa come stavi?
“Bene, giocai poco ma segnai 10 gol in D a 19 anni. Partivo sempre dalla panchina, poi entravo e segnavo, entravo e segnavo. L’anno dopo si mise di mezzo il militare e feci più fatica. Per fortuna ci furono le Universiadi”.

Eri iscritto all’università?

“Matematica. Venivo dallo scientifico, maturità con 54/60. Superai i primi esami: algebra, analisi, fisica con buoni voti. Smisi quando il calcio diventò un lavoro vero. La laurea è il mio grande rimpianto”.

E le Universiadi?

“A Buffalo, negli Stati Uniti. Era il ’93, restammo un mese al villaggio e fu un’esperienza incredibile. Maglia azzurra, inno di Mameli, uno spettacolo. Eravamo l’unica squadra di dilettanti, infatti finimmo noni. Vinse la Corea del Sud”.

In squadra con te chi c’era?

“Pupita, Agrumi che ha giocato anche ad Arezzo, Borgobello in attacco”.

Gol tuoi?

“Uno alla Nigeria, ma perdemmo 2-1. E comunque aver giocato davanti a ottantamila persone è uno dei miei ricordi più belli”.

Eravamo rimasti alla tua esperienza a L’Aquila.

“Dopo sono stato a Grosseto e Rieti. Retrocedemmo ma segnai sette gol, due dei quali ad Arezzo nella famosa partita del 6-1. Non fu un caso che l’allora direttore sportivo Falasconi prese me ma anche Mosconi e Fabiani”.

Quali allenatori ti hanno dato di più?

“Acori a L’Aquila, Cherri al Grosseto, Cosmi ad Arezzo, Mazzarri ad Acireale, Braglia a San Giovanni”.

Allenatori molto diversi.

“Diversissimi. Braglia mi ha lasciato la cultura del lavoro in campo. Acori era un martello, pignolo, voleva sapere tutto e aveva sempre il sorriso sulle labbra. Sosteneva che bisogna allenare i giocatori ma anche i tifosi e i giornalisti. Di Cosmi ho già detto: adesso che vado in panchina mi rendo conto quanto è difficile caricare la squadra. Io faccio uno sforzo tremendo, a lui veniva naturale”.

Perché hai scelto di fare l’allenatore?

“Perché volevo restare nel calcio. Lasciare questo mondo sarebbe stato impossibile per me”.

Modelli da seguire?

“Quelli che ho citato. Aggiungo Spalletti, è uno che mi piace anche se la serie A non la seguo”.

No?

“Non mi entusiasma, troppo piatta. Non ho nemmeno Sky, pensa. Preferisco guardarmi una partita di prima categoria, si impara di più”.

Tre anni a Subbiano, uno a Castelnuovo, venti giorni a Montevarchi e adesso il Sansepolcro. Bilancio?

“Positivo, mi diverto molto, mi piace questo lavoro, anche se la carriera di un allenatore non si può programmare. Quindi non chiedermi dove penso di arrivare”.

Ti chiedo se hai un modulo che prediligi.

“Influenzato da Braglia, ho cominciato col 3-4-3. Adesso utilizzo il 4-2-3-1, ma questi sono solo numeri. Ciò che conta veramente è altro”.

Hai 37 anni, non è che i giocatori ti vedono ancora come un compagno di squadra piuttosto che come allenatore?

“No, questo no. Mezzanotti è mio coetaneo ma mi dà del lei, fermo restando che dare del lei o del tu significa poco”.

Dopo un gol segnato con la maglia del RavennaDi Cari cosa pensi?

“Mi sembra una persona pacata, poco appariscente e soprattutto mi pare che il gruppo abbia grande stima di lui. Lo dico non per l’abbraccio che ha ricevuto dai giocatori, ma perché in questi mesi non ho sentito una mezza frase fuori posto da parte di nessuno. Sono stato a Pieve Santo Stefano, dove l’Arezzo ha fatto il ritiro estivo. Mi hanno detto che Cari è un uomo serio, questo è fondamentale”.

Come ti sembra l’Arezzo?

“E’ una squadra che non può distruggere il campionato ma può vincerlo”.

Gli allenatori ad Arezzo sono uomini soli più che altrove. Perché secondo te?

“E’ difficile rispondere. Di certo c’è che in questi anni da Arezzo sono passati tanti bravi calciatori, pagati profumatamente dal presidente Mancini. E sono passati anche tanti tecnici importanti, ma nessuno è rimasto più di una stagione. Ciò significa che un progetto a medio termine non c’è mai stato”.

Ma è così difficile programmare secondo te?

“Nel calcio di oggi è difficile. Siamo tutti schiavi del risultato, non è giusto”.

Avrai sentito che, nonostante la buona classifica, a Cari non sono state risparmiate le critiche.

“Ed è sbagliato. L’Arezzo non sta mica fallendo l’obiettivo, i conti si fanno a maggio. Il mio è un giudizio dall’esterno, non conosco la struttura dirigenziale della società ma dico che il lavoro delle persone va rispettato. Un conto è parlare dei leoni, altro conto è stare dentro la gabbia”.

Hai reso l’idea.

“Aggiungo un altro dato di fatto: non ci fosse Mancini, dove sarebbe l’Arezzo?”.

E’ un quesito che si pongono in tanti. Senti, gli attaccanti a disposizione di Cari come ti sembrano?

“Martinetti è un talento sprecato, secondo me non è peggio di Floro. Però come si fa a non giocare per un mese per colpa di un contratto? Io non ce l’avrei mai fatta. Chianese è un attaccante letale in area di rigore. Baclet mi piace molto, è stato sballottato di qua e di là, sta dimostrando di essere bravo. Ha anche lo spirito per farsi apprezzare dalla curva”.

Tu, romano, ti sei fermato a vivere ad Arezzo. Perché?

“Casualità. Ho conosciuto mia moglie Silvia, mi sono sposato, ho avuto un figlio che ora ha 8 anni, Cristiano”.

Gioca a calcio?

“Fa il centravanti nel Quarata. Segna a raffica”.

Tutto suo papà.

“Lui è più tecnico di me. Io ero apprezzato da giocatore perché avevo carattere, trascinavo il gruppo. Era un ruolo che mi piaceva. In quanto a tecnica pura, ho trovato tanti compagni più forti di me”.

Aspettative per il futuro?

“A Sansepolcro sto bene, la società ha programmi che condivido, in prima squadra ci sono dieci ragazzi che vengono dal vivaio. Il futuro non lo conosco. Ho i miei sogni come tutti, questo sì”.

Tra cui l’Arezzo.

“Beh, non vorrei esagerare. Però è vero che con l’Arezzo ho un conto in sospeso e mi piacerebbe tornarci. Quell’addio nel ’96 è ancora un cruccio per me. Se deve succedere, succederà”.



scritto da: Andrea Avato, 25/11/2008