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NEWS

"Adesso faccio soltanto il tifoso"

Giovanni Cappietti dopo le dimissioni dal Consiglio d’amministrazione: “Un passo inevitabile, l’esonero di Cari è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso”. Il rapporto con Mancini (“gli voglio sempre bene, resta un grande presidente”) e quello con Iaconi, le difficoltà nel gestire nove anni di bilanci e relazioni con l’esterno, la speranza di tornare in B e la difficile estate dell’inchiesta giudiziaria su Flynet. Poi la chiosa: “L’Arezzo ha bisogno di gente giovane, con una visione moderna del calcio”



Giovanni Cappietti insieme al presidente Piero ManciniIl braccio destro di Mancini, l’alter ego di Mancini, l’uomo della diplomazia, l’uomo dei conti, il gran tessitore e anche il gran ricuciture. Soprattutto, l’amministratore delegato dell’Ac Arezzo. Giovanni Cappietti per quasi nove anni è stato tutto questo, soppesando le parole in ogni dichiarazione e mantenendo il basso profilo nelle circostanze più disparate. Lo stesso basso profilo utilizzato poco più di un mese fa, quando ha formalizzato le sue dimissioni dal Consiglio d’amministrazione della società. Una notizia tenuta volutamente sotto traccia ma che rappresenta una svolta dirompente, un’inversione di rotta e una netta cesura con il passato. Giovanni Cappietti, nipote di Piero Mancini e professionista affermato, dentro l’Arezzo era un punto di riferimento per mille motivi, ivi compresi quelli organizzativi e quelli derivanti dall’albero genealogico. Cappietti che si separa da Mancini è un po’ come il figliol prodigo che se ne va, senza sbattere la porta ma con alcuni puntini da mettere sulle i. E’ la dimostrazione ulteriore che il tempo passa e modifica gli scenari, anche quelli ritenuti immutabili. L’Arezzo adesso si ritrova senza il numero due, senza il vice operativo e la questione non è solo di ristrutturazione interna, ma si allarga fino al vero problema del club dal 2000 in poi: l’Arezzo è Mancini e Mancini è l’Arezzo. Tertium non datur. E siccome il presidente non può arrivare ovunque, è lecito domandarsi se la carica di amministratore delegato, già scomparsa dall’organigramma pubblicato sul sito web della società, non passerà in carico a qualcun altro.

Dottor Cappietti, ci sarà un suo successore?

“Non lo so, non credo”.

Mancini si prenderà l’interim allora.

“Io dico una cosa: dentro l’Arezzo servono persone giovani, che abbiano una visione moderna del calcio. Organizzazione interna, marketing e settore tecnico sono tre settori che devono andare di pari passo. Conta la classifica, ma conta anche il resto, altrimenti restiamo fermi. Senza un amministratore delegato la società è debole a livello strutturale, nei rapporti con l’esterno e di conseguenza anche con i suoi calciatori ”.

E’ per questo che ha dato le dimissioni?

“Diciamo che c’è stato un accumulo di situazioni e alla fine le dimissioni sono diventate un passo inevitabile”.

C’entra qualcosa l’esonero di Cari a febbraio?

“Quella è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso”.

Lei non era d’accordo.

“In quei giorni ero fuori Arezzo, fu una decisione della quale non condivisi né il merito né il metodo. Non si può mandare via un allenatore senza parlarne con i collaboratori più stretti”.

In questi anni però è successo spesso.

“E non va bene. A volte, più che cambiare allenatore, serve cambiare approccio. Cosa che Mancini ha fatto ultimamente”.

Prima ha parlato di accumulo di situazioni. Però il suo dissenso, se c’è stato, è rimasto quasi sempre ovattato.

“Ed è stato giusto. Nei momenti duri, difficili, l’unione fa la forza. Ho cercato di fare squadra, di pensare al bene comune, di ricucire rapporti che si stavano sfibrando. Rifarei tutto perché penso di aver costruito qualcosa di solido”.

Per esempio?

“Certi legami con l’esterno. L’Arezzo calcio non può essere un mondo a sé, deve stare dentro il territorio e la città. Io facevo il cuscinetto non per caso”.

Però alla fine ha detto basta.

“Sì. A Mancini avevo detto più volte che volevo fare un passo indietro. Così è stato”.

Molti sostengono che il presidente sia mal consigliato. E’ vero?

“E’ il suo errore storico: ascoltare persone lontane e non ascoltare i suoi collaboratori. A volte certi consigli sono stati preziosi, non lo nascondo, ma la regola deve essere un’altra. Se hai un direttore sportivo, ti consulti con lui e solo con lui. Se non ha più la tua fiducia, lo mandi via. In nove anni abbiamo resettato troppo spesso”.

Consigli sbagliati ne sono arrivati anche in relazione all’esonero di Cari?

“So che è venuto fuori spesso il nome di Fulvio Rondini. Beh, posso smentire categoricamente che Rondini abbia avuto un ruolo in questa vicenda”.

Quando ha comunicato a Mancini che stava per lasciare, lui come ha reagito?

“Non c’è stato bisogno di comunicarglielo, già sapeva come stavano le cose. Il mio malumore era nell’aria da un po’ e siamo arrivati all’epilogo più naturale”.

Il taglio della torta di Natale con Cari e ManciniE’ vero che ci sono state frizioni personali tra di voi nell’ultimo periodo?

“Assolutamente no. Questo voglio smentirlo categoricamente. Dal punto di vista personale e umano, la mia stima nei confronti di Piero Mancini è sempre la stessa. Gli voglio bene come prima. E penso che da parte sua sia la stessa cosa”.

Adesso però il presidente va in panchina, saluta il pubblico, sta dalla parte della squadra. A cosa si deve il cambiamento?

“Aggiungo: rilascia meno interviste… Guardate che il Mancini vero è questo, non quello di prima. So che la gente fa fatica a crederci, ma è così. Ciò che è successo ad aprile, quando è stato richiamato Cari, è un graffio che lui, da persona intelligente, ha compreso fino in fondo”.

Cambiamento definitivo o solo pro tempore?

“Lo vedremo. Spesso ha sbagliato nel porsi ai tifosi, ma Piero Mancini resta un grande presidente”.

Che rapporto ha, o ha avuto, con il direttore sportivo Iaconi?

“Ottimo. Una maggiore compattezza interna ci sarebbe stata d’aiuto, specie quest’anno che ci giochiamo il tutto per tutto”.

In questi nove anni, qual è stato il momento più brutto?

“Il pomeriggio di Treviso, quando siamo retrocessi in C, e il giorno in cui comunicai allo spogliatoio che l’arbitrato del Coni ci aveva confermato i 6 punti di penalizzazione”.

Una sentenza a dir poco scandalosa.

“E noi eravamo impotenti, senza l’opportunità di muoverci in nessuna maniera”.

Le chiedo anche il momento che ricorda con maggior piacere.

“La domenica di Arezzo-Varese, quando andammo in B. Io ero in tribuna e prima della partita guardai fuori dallo stadio: sul viale c’erano centinaia di tifosi con le bandiere che stavano arrivando. Quell’immagine ce l’ho stampata nella memoria”.

Quali allenatori rimpiange, visto che ne sono transitati tanti e bravi?

“Marino e Conte. Bravi allenatore e persone squisite”.

Ricordo che lei si schierò apertamente per la conferma di Conte.

“E’ vero. A casa ho ancora un foglio pieno di appunti in cui lui, di suo pugno, mi aveva scritto i nomi da prendere per fare la squadra”.

Però anche lì Mancini decise diversamente.

“In quel caso rispettai la sua scelta. Avevamo un monte ingaggi altissimo, con una retrocessione appena consumata. Decise lui e fu giusto in quel modo”.

Possibile però che nessun allenatore sia stato confermato? Ma perché?

“Perché a volte Mancini si fa trascinare dall’ultimo consiglio e dimentica la storia delle persone. Invece è la storia che conta, da lì si capisce tutto”.

Vale anche per Cari.

“Certo. In estate eravamo moralmente a terra per tanti motivi. Ci eravamo indeboliti, per l’iscrizione al campionato facemmo davvero i salti mortali. Ecco, in quel periodo la squadra poté contare su Iaconi e Cari. Sono stati bravissimi a gestire una situazione complicata e a creare un gruppo compatto. Noi non ce lo possiamo dimenticare”.

Tra l’altro con giocatori che non erano troppo entusiasti di restare.

“Forse qualcuno. Ma altri, specialmente quelli che erano con noi da tempo, ci hanno dimostrato grande vicinanza. Non nascondo che certi comportamenti mi hanno commosso”.

E i tifosi?

“Se il riferimento è all’estate scorsa, non posso che ringraziarli. Quell’esperienza terribile che coinvolse me e Piero Mancini, aveva creato un’unione d’intenti che c’era stata di rado. Ecco perché non è stato giusto, alle prime difficoltà sul campo, mettere in discussione l’allenatore”.

Il rapporto complicato della società con i tifosi è un po’ un suo cruccio?

“Sì. I miei rimpianti essenzialmente sono due: aver perso per strada migliaia di persone che il 25 aprile 2004 erano allo stadio e non aver creato una struttura societaria solida. Con i tifosi abbiamo commesso degli errori, anche se gli aretini sono botoli ringhiosi, non dimentichiamolo. Io però sono sereno perché ho provato in ogni modo a centrare questi due obiettivi. Poi mi sono dovuto arrendere”.

Cappietti lascia il Cda dopo 9 anniChe ricordo le resterà della sua esperienza nel calcio?

“I primi due anni non conoscevo né persone né meccanismi. Ho ascoltato, ho osservato, non sapevo come muovermi. Poi ho acquistato disinvoltura e alla fine avevo imparato a gestire le cose della società a 360 gradi. E’ stata una grande esperienza personale e professionale, soprattutto durante le tre stagioni di serie B”.

Prima abbiamo solo sfiorato l’argomento. Vorrei chiederle se la vicenda giudiziaria della scorsa estate l’ha cambiata.

“Io sono una persona serena e per fortuna questa serenità l’ho conservata. Ho una faccia, ho una mia storia. Devo dire che non ho perso un amico dopo quella brutta vicenda, della quale ancora faccio fatica a parlare”.

L’esperienza del carcere, la pesantezza delle accuse rivolte a FlyNet: cosa l’ha ferita di più in quei giorni?

“Mi ha ferito essere coinvolto in una storia che non mi appartiene. E’ stata la cosa più pesante. Però Arezzo in qualche modo mi ha protetto. Questa è una città che nei momenti difficili ti dà una mano e in quei giorni ho scoperto l’affetto di gente che nemmeno conoscevo”.

La stampa?

“Qualche titolo sensazionalistico non l’ho gradito, perché il rispetto ci vorrebbe sempre, ma fa parte del gioco. Ricordo invece un articolo di Sergio Rossi, sulla Nazione, che mi fece molto piacere umanamente”.

L’Arezzo è veramente in vendita o no?

“Io so che Piero Mancini vuole salire in B. Il resto è solo gossip”.

Però il presidente è stato molto chiaro stavolta. E in città girano voci di cordate disposte a subentrare.

“Pettegolezzi, niente di più. Le voci le ho sentite anch’io e garantisco che non hanno nulla di vero. Nulla”.

Due anni fa mi disse che l’Arezzo in serie B costava dieci milioni all’anno? Adesso quanto costa?

“Meno di allora ma sempre troppo in proporzione alla categoria. Fatemi dire una cosa: Mancini per tenere la società in regola con i conti ha sostenuto un peso straordinario. Nove anni da solo, in queste condizioni, sono stati un sacrificio incredibile. Gliene dobbiamo rendere merito”.

Che sapore hanno i play-off visti da tifoso?

“Un sapore diverso. Ma sono contento così”.

Quanto ci crede nella serie B?

“Ci credo e ci spero. Abbiamo molti giocatori in scadenza di contratto, così come l’allenatore e il direttore sportivo. La promozione porterebbe il sereno su tante situazioni, sarebbe fondamentale”.

E se in B l’Arezzo non ci va?

“A questo non voglio pensare. Ho grande fiducia in Cari e nella squadra, sono convinto che stavolta festeggiamo noi”.



scritto da: Andrea Avato, 25/05/2009