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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
Flaminia4 set15Livorno
Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
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"Io, un allenatore scomodo"

Nei Dilettanti ha vinto tutto. E’ stato il vice di Beruatto in amaranto ma da quell’anno in poi le cose sono cambiate. Da cinque stagioni aspetta una panchina, vittima di un ostracismo che ha poche spiegazioni. “Forse sono troppo schietto, ma non cambierò mai il mio carattere” dice lui, che in questa intervista ci ha parlato del suo calcio, delle sue vittorie, di quell’estate in cui per due giorni fu il tecnico in pectore dell’Arezzo e anche dei suoi colleghi: “Mourinho è l’unico che stimo, gli altri sono tutti replicanti”.



Roberto Gallastroni ha fatto la storia del calcio dilettantiRoberto Gallastroni è un allenatore che ha fatto la storia del calcio dilettanti degli ultimi anni. Ad Arezzo e non solo. E’ uno che avrebbe potuto spiccare il volo verso il professionismo ma non si è mai trovato al posto giusto nel momento giusto. Nel 2002 ha coronato l’ambizione di vestire l’amaranto, anche sa da tecnico in seconda, e pochi mesi dopo ha dovuto raccogliere i cocci di un sogno frantumato dal ruvido calcio di oggi, dove i valori e le passioni vengono messi sempre in secondo piano, dove conta il pragmatismo e spesso il secondo fine, la convenienza del momento e poco altro. Se qualcuno crede alla sfiga, può attaccarsi a quella. Ma lui, Gallastroni Roberto da Castiglion Fiorentino, un amore sconfinato per il calcio e per l’insegnamento, stimato professore di educazione fisica, arguto commentatore e persona seria, alla cattiva sorte non ha mai dato un grande peso. Il punto è un altro e riguarda la sua genetica, naturale predisposizione a dire sempre quello che pensa, a non prendere scorciatoie, a essere sincero ovunque e comunque. E forse a causa di questa aretinissima schiettezza, il “Galla” non siede in panchina da qualche anno.

Com’è il tuo rapporto col pallone oggi?

“Di odio amore. Vorrei ma non posso. E’ come se avessero tolto il giocattolo a un bambino. Mi sento a disagio, anche perché non riesco a comprendere quest’ostracismo nei miei confronti”.

Astinenza da panchina.

“Mi manca da cinque anni, da quando lasciai la Castiglionese”.

Il problema qual è. Chiedi troppi soldi?

“Macché. Non ho chissà quali velleità, mi andrebbe benissimo una squadra nei dilettanti. Non sono uno a cui è venuta la puzza sotto al naso per aver toccato il professionismo”.

E allora?

“Forse il problema sono le cose che dico, che penso. Il calcio è un mondo in cui ci vuole la maschera, ma io non riesco a negarmi la libertà di parlare senza sotterfugi”.

I risultati poi dovrebbero parlare per te. O no?

“Ho quasi trent’anni di attività alle spalle. Ho fatto bene venticinque campionati, ne ho sbagliati tre. Qualcosa di buono ho combinato”.

E allora devi imparare a dire qualche bugia in più.

“Impossibile, non voglio piegarmi. Oggi gli allenatori sono tutti dei replicanti, dicono le stesse cose dalla serie A alla prima categoria”.

Dai.

“L’unico diverso è Mourinho, il più intelligente di tutti”.

Per qualcuno è più bravo ad allenare i giornalisti che i calciatori.

“Balle. Senti cosa dicono i giocatori di lui. Ne parlano tutti bene”.

Di sicuro il ruolo dell’allenatore, rispetto a quando hai cominciato tu, è molto cambiato. Sei d’accordo?

“Fino a un certo punto. Per me l’allenatore è quello che si prende le responsabilità, non quello che gioca bene o male. In Italia c’è una mediocrità assoluta”.

Sei cattivissimo con i tuoi colleghi.

“Non ce n’è uno che stimo. Vai a vedere gli allenamenti e ti renderai conto. Hanno letto nel libro di Sacchi e copiano tutti da lì”.

Quindi non hai nemmeno un modello cui ispirarti.

“Ce l’ho, ce l’ho. Corrado Viciani. Il Barcellona di oggi gioca il calcio che insegnava Viciani quarant’anni fa”.

Sulla panchina dell'Arezzo come vice di BeruattoParliamo di te. Sei arrivato all’Arezzo, al top, e poi il buio. Ma che ti è successo?

“Non lo so, mi è crollato il mondo addosso. Pensavo che quell’esperienza in amaranto sarebbe stata un trampolino, invece è andata diversamente”.

Come ci arrivasti all’Arezzo?

“Mi chiamò Walter Sabatini, avevano preso Beruatto e non aveva il vice. E’ stata una gran bella esperienza, quattro mesi splendidi in cui ho conosciuto alcuni dei pochi amici che ho nel calcio”.

Chi?

“Sordo. E Testini. Due ragazzi eccezionali, ci sentiamo ancora”.

Ricordi di quel periodo?

“Entrai in punta di piedi, avevo un bel rapporto con la squadra. Dal punto di vista tecnico è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere. Rispetto ai dilettanti si lavora di più e meglio, c’è più attenzione per i dettagli, dai giocatori si ottengono risposte più professionali. C’è un bel lavoro di staff, ecco. Nei dilettanti sei solo”.

Beruatto venne esonerato, poi Mancini lo richiamò ma senza di te. Perché?

“Mi dissero che il presidente non mi aveva rivoluto, che gli avevano riferito cose negative sul mio conto. Non so se andò veramente così, con Mancini non ho più parlato. Ci rimasi malissimo. I giocatori fecero una riunione per farmi tornare, ma ormai la decisione era stata presa”.

Ripensandoci oggi, che cosa vuoi dire?

“Che fu un dolore vero. Lavorare per l’Arezzo era un sogno che si realizzava, non mi detti pace per giorni. Pensa che qualche anno dopo Mancini mi ha pure negato l’ingresso allo stadio. Ero accreditato come osservatore del Crotone, non mi fecero passare. Che brutta cosa”.

Con Beruatto in che rapporti sei?

“Normali”.

Quell’anno lì poi l’Arezzo retrocesse, purtroppo.

“E ti giuro che vedere altra gente seduta su quella panchina fu una coltellata”.

E adesso?

“Adesso ho voglia di lottare come sempre, ho voglia di allenare. Penso di poter dire la mia”.

La tua carriera è lunghissima, Roberto. Hai allenato mezza provincia di Arezzo.

“Ho cominciato nel ’76 con le giovanili della Castiglionese. Mandammo Faralli alla Roma, poi passai alla Tuscar. Sei stagioni e Della Scala ceduto alla Fiorentina. Tornai alla Castiglionese, vincemmo l’under 19, poi mi misero a dirigere la prima squadra. Dovevamo salvarci, arrivammo due volte tra le prime quattro”.

Da lì il salto a Bibbiena. In rossoblù sei diventato un allenatore vero, giusto?

“Era l’86, per la prima volta la Bibbienese salì in Interregionale. Avevamo sempre un gran pubblico al seguito, facevamo un bel calcio. A Coverciano, in amichevole contro l’Italia di Vicini, resistemmo sullo 0-0 per tutto il primo tempo. Sono stati anni belli”.

Alla Tuscar negli anni '70, a inizio carrieraE’ vero che stavi per andare all’Arezzo?

“Il presidente della Bibbienese, Seri, era nel consiglio direttivo con Butali, Caldelli e Fabbroni. Era tutto fatto, invece Nassi si impuntò e portò Rampanti. Luglio del 1988, per due giorni sono stato allenatore dell’Arezzo”.

Peccato.

“Fu l’estate dei rimpianti. Dopo l’Arezzo mi chiamò la Turris, in C2, ma mio padre stava male e rifiutai. Pensavo che il treno sarebbe passato di nuovo. Non è stato così”.

E poi?

“Andai a Foligno a stagione cominciata. La società non esisteva, retrocedemmo per un pelo. Da lì ho girato molto: Tegoleto, di nuovo Bibbienese, due anni all’Argentario con salto in Eccellenza, altra promozione a Vaiano. Ci mettemmo dietro anche il Prato di Oddo, Godeas e Albino”.

Beh, mica male.

“Aspetta. Sono stato a Cortona, ma lì fu una brutta annata purtroppo. A Capolona ho vinto la Coppa e siamo saliti in Promozione. Ho allenato la Baldaccio Bruni e la Castiglionese cinque anni fa. Adesso eccomi qua”.

Che allenatore sei?

“Uno che sa gestire il materiale umano a disposizione. Ormai ho una certa esperienza, so affrontare tutte le situazioni”.

Più importante il giocatore o il modulo?

“Il dialogo. Se non hai un buon rapporto con la squadra, i risultati non arriveranno mai. Ed è fondamentale trasmettere una certa filosofia di gioco, la mentalità. La didattica conta molto, non tutti gli allenatori ce l’hanno”.

Tatticamente come giocano le tue squadre?

“Quando ho cominciato, si giocava con il libero. Oggi no, i quattro dietro sono una costante, poi davanti posso cambiare: tendenzialmente 4-4-2 o 4-3-3. Ma non mi piacciono gli schematismi, preferisco che i calciatori siano liberi di esprimersi”.

L’Arezzo di Semplici come ti sembra?

“Una bella squadra che sta facendo buoni risultati. Mi auguro che lo facciano lavorare in santa pace. Semplici è bravo, conosco anche il suo preparatore dei portieri, Nencetti. Gli faccio un grande in bocca al lupo”.

E di te cosa diciamo?

“Sono qua. Ho una mia dignità professionale, ho un curriculum alle spalle, ho voglia di allenare. Se sono fuori da un po’ forse è anche colpa mia. Ma il mio carattere non lo cambio per una panchina”.



scritto da: Andrea Avato, 25/11/2009