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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
Flaminia4 set15Livorno
Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
MONDO AMARANTO
Marco e Niccolò a Campo Tures - Bolzano
NEWS

Le passioni di Mauro Seppia

L’ex parlamentare ci ha raccontato della sua politica, quella vera, e del suo legame con l’Arezzo, che segue fin da ragazzino. “Del calcio si potrebbe fare a meno, la politica invece è decidere della nostra vita”. Allo stadio però non manca mai ed è per questo che ha parlato a ruota libera di Mancini e Ceravolo, di Galderisi e Siro Giannini, di rimonte subite e del sogno serie A. Senza scordare Arezzo, la città a cui è legatissimo. Nonostante tutto.



Mauro Seppia, ex parlamentare del PsiMauro Seppia è una sorta di coscienza critica della città. Profondamente aretino, di nascita e di indole, è stato un sindacalista di successo, parlamentare del Psi, ha vissuto i palazzi romani quando la politica era diversa rispetto a oggi e il senso delle istituzioni, la necessità di tutelare gli interessi dei cittadini era assai più sentita. Meno giochi di potere e più spirito civico. Sono in tanti a pensare che la Politica con la P maiuscola, quella vera, si sia liquefatta da anni ormai e probabilmente sarebbe d’accordo anche Seppia. Con lui però di questo tema abbiamo parlato solo di sfuggita, perché il fulcro dell’intervista era un altro, più leggero forse ma non meno appassionante. Il calcio, l’Arezzo sono entrati nel cuore di Seppia quando Mancini era il nome dello stadio a Campo di Marte e vi sono rimasti fino a oggi che Mancini è il cognome del presidente più longevo della storia amaranto. Proprio Piero Mancini, appena rilevato il club, gli aveva affidato la carica, più simbolica che altro, di responsabile delle relazioni esterne. Mauro Seppia, per inciso, non si perde una partita e allo stadio non manca mai.

Quanta importanza ha avuto e ha il calcio nella sua vita?

“Come molti ragazzi ho iniziato giocando. La Fortezza era il nostro stadio. Il pallone era il mio impegno quotidiano e la domenica facevo la coda per entrare allo stadio Mancini. Oggi il calcio si è trasformato in uno spettacolo sportivo, con interessi economici così sproporzionati che indignano”.

Lei tifa solo l’Arezzo o anche qualche altra squadra?

“Il calcio lo vivo senza grandi slanci: giudico lo spettacolo. In questi anni sono stato coinvolto dalle squadre che giocavano meglio: ultimamente il Milan, ma oggi sono critico verso la società che non ha un progetto e acquista i giocatori con le figurine della collezione “Panini”. Sono appassionato della Nazionale, perché rappresenta il Paese e contribuisce, in qualche modo, a darci prestigio nel mondo. Questo vale anche per l’Arezzo, una città che non ha una disciplina sportiva collettiva nella massima serie. Il calcio è lo sport più diffuso e può dare notorietà alla città. Il mio interesse verso la squadra è un modo per sostenere Arezzo”.

Calcio e politica sono due passioni in egual misura, oppure ci sono delle differenze?

“Calcio e politica sono termini non comparabili. Il calcio è un’attività sportiva a cui ci si appassiona, ma si può farne a meno. La politica è decidere della nostra vita, partecipare alla scelta dei valori, degli obiettivi, delle persone che organizzano lo Stato e influenzano le nostre vicende quotidiane. Abbiamo un primo modo per influenzare la politica: con il voto e la preferenza. Poi ce n’è un secondo: facendo sentire il nostro pensiero tramite le associazioni, i partiti, i mass media. Un terzo modo più impegnativo è quello di partecipare personalmente. L’ignavia, il disinteresse, la protesta generica e confusionaria, spesso favoriscono gli interessi di coloro che vorremmo contrastare”.

Tifoso amaranto da moltissimi anni, segue le partite dalla tribunaMi racconta qualche episodio curioso relativo al sua rapporto con l’Arezzo?

“Rispetto alla società sono un estraneo, uno spettatore. Rispetto alla squadra, al calcio, il mio rapporto è iniziato al Mancini, dove grazie al terzino Guerra riuscivo a entrare gratis. Dopo ho fatto la trafila tra i ragazzi e ho avuto i primi contatti con i giocatori veri, quando il giovedì partecipavamo alla partitella di allenamento. In una di queste occasioni mi capitò un episodio che ricordo sempre: venne ad Arezzo, in prova, un calciatore della Fiorentina molto tecnico ma lento nella corsa, reduce da un lungo infortunio. Si mormorava avesse un ginocchio di vetro. L’allenatore Andrei m’incaricò di marcarlo. Io giocavo terzino, ero scarso tecnicamente ma molto veloce e quindi durante la partita lo anticipavo con facilità. Questo giocatore, si chiamava Biagiotti, a un certo punto mi prese da una parte e mi spiegò che lui si giocava il pane, mentre io mi stavo divertendo, e poi mi minacciò. Rimasi colpito dalla sua disperazione e gli giocai alla larga, anche se ero indispettito per le sue parole. Peraltro ero un giovane un po’ focoso”.

Chi c’è sul suo podio personale dei migliori presidenti?

“Il podio è fatto dai risultati ottenuti. Una menzione è d’obbligo per i presidenti del dopo guerra, che con mezzi scarsi riuscivano a costruire squadre che appassionavano”.

E tra i giocatori, chi ha amato di più?

“Il mio mito di gioventù era Siro Giannini, poi negli anni Guerra, Peruggia, Tassinari, Pecchi: la vecchia scuola insomma”.

Cosa pensa dell'Arezzo di Piero Mancini?

“Gli dobbiamo essere grati, perché ha consentito e consente la sopravvivenza dell’Arezzo a certi livelli”.

Mancini è un presidente contro tutti: tifosi, giornalisti, amministratori, allenatori. Che valutazione dà del suo decennio alla guida dell'Arezzo?

“Mancini è il primo tifoso della squadra ed è un impulsivo. Sostenendo importanti sforzi finanziari, vorrebbe essere apprezzato dalla gente, dalla stampa. La realtà è che i tifosi hanno delle aspettative e valutano sulla base dei risultati, andrebbero coinvolti di più sugli obiettivi e sulla situazione societaria”.

Il presidente si lamenta anche di essere stato abbandonato dalla città, riferendosi in particolare alla politica. Che idea si è fatto su questo tema?

“La città, e questo vale per il calcio e altre discipline sportive, è stata sempre refrattaria verso lo sport. Parlo delle istituzioni, delle attività economiche. Alcuni anni orsono l’assetto societario più forte che abbiamo avuto ad Arezzo, con importanti imprenditori, provò la strada dell’azionariato diffuso, cercando di coinvolgere tutte le imprese per sottoscrivere delle azioni della società di calcio, ma il tentativo fallì. Poi bisognerebbe domandare a Mancini cosa intende per abbandono della politica”.

Quanto tempo è che non parla con lui? E c’è un consiglio che vorrebbe dargli?

“Ci vediamo ogni tanto, quasi sempre allo stadio. Gli suggerirei di essere meno impulsivo”.

Le è piaciuta la scelta di Ceravolo, ingaggiato con un contratto quinquennale?

“Una soluzione stabile e proiettata nel tempo è la condizione necessaria per una buona gestione e per realizzare dei programmi. Non conosco il progetto specifico, ma certamente sarà quello di coniugare equilibrio finanziario con performance sportive e valorizzazione dei giovani”.

Alla Giostra del 1984 con Sandro Pertini e Amintore FanfaniCome le sembra l'Arezzo di quest'anno?

“Il mio non è un giudizio tecnico, ma di uno spettatore della tribuna a cui piacciono anche i risultati. La società ha scelto Galderisi ma per il suo schema di gioco mi sembra manchino dei giocatori adatti sulla fascia, salvo Croce. Le partite con il Lumezzane e la Cremonese sono molto significative, gli avversari hanno capito i nostri limiti e con i cambi giusti ci hanno messo alle corde. Una squadra che vince nel primo tempo per 2-0, non può correre il rischio di perdere. La panchina e i giocatori debbono saper gestire la partita”.

L'Arezzo ha sempre galleggiato tra serie C, spesso, e serie B, qualche volta. Perché secondo lei? Davvero il salto in serie A è destinato a rimanere una chimera?

“La struttura sociale, economica della città e la cultura sportiva e societaria alle spalle della squadra non sono adeguate per un impegno di serie A. Non abbiamo neanche la fortuna di avere una banca internazionale come il Monte dei Paschi, che a Siena favorisce e sostiene i cambi di proprietà della società di calcio, anche con scelte discutibili”.

Arezzo città le piace?

“Pur non vivendo qua tutta la settimana, sono legato profondamente alla città, alla provincia, anche con venature campanilistiche. Arezzo vive la profonda crisi del comparto manifatturiero, di quello orafo, della moda e delle piccole e medie aziende, nate per genesi dalle grandi aziende che sono scomparse. Si tratta di una crisi strutturale che si sta trascinando da molti anni. Questa situazione influisce sulla città, la incupisce e la rende ancora più sciatta, scettica”.

Cosa apprezza e cosa non sopporta degli aretini?

“Gli aretini sono intelligenti e operosi ma troppo individualisti, retaggio di una cultura contadina e del self made man. La famosa definizione botoli ringhiosi mi sembra appropriata, anche se non è tutta negativa”.

Arezzo tra vent'anni come se l’immagina?

“Non saprei, non riesco a leggere nella mia palla di vetro. Siamo in presenza di cambiamenti epocali, rapidi, che per la mia generazione non è facile leggere”.



scritto da: Andrea Avato, 25/02/2010