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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
Flaminia4 set15Livorno
Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
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Paolo a Capo Nord - Norvegia
NEWS

"Serie B, sto arrivando"

Pasquale Sensibile, direttore sportivo del Novara, ci svela i segreti della squadra che sta dominando il campionato. “Senza una società alle spalle, i risultati non arrivano. Da noi c’è tutto: organizzazione, regole semplici, un centro sportivo da favola e stipendi puntuali”. Una lunga intervista tra presente e passato: “I miei sei mesi da calciatore ad Arezzo sono un ricordo splendido”. Cosmi e Bazzani, la carriera da dirigente, il Palermo e l’esperienza alla Juventus, Ceravolo e un modello da seguire: “Walter Sabatini è il migliore in Italia, a lui devo tutto”.



Pasquale Sensibile, 39 anni e tappe bruciatePasquale Sensibile ha soltanto 39 anni ma il suo curriculum luccica e parla da solo. Pro Sesto, Verona, il grande salto alla Juventus, quindi Palermo e adesso Novara. Potremmo definirlo un direttore sportivo emergente, se non fosse che dopo anni trascorsi in piazze del genere è già un professionista fatto e scafato. Figlio d’arte (suo padre Aldo è stato calciatore di serie A, allenatore e ora è un talent scout apprezzato), Pasquale è transitato in amaranto giusto dieci anni fa, quando Walter Sabatini lo portò nell’ultimo Arezzo di Cosmi, quello per intendersi che perse la semifinale play-off contro l’Ancona. Centrocampista con visione di gioco e un calcio preciso e potente, ha giocato anche con Castel di Sangro, Pistoiese, Alzano e Pro Sesto. Dall’estate scorsa, come detto, è il diesse del Novara che veleggia solitario in testa alla classifica e che vede da vicino la serie B.

Pasquale, di te si diceva che avevi la stoffa del dirigente già quando giocavi. Questa tua seconda carriera quindi possiamo considerarla un approdo naturale. O no?

“Diciamo che l’equilibrio e la capacità di riflettere sulle cose sono state da sempre due prerogative del mio modo di essere. Forse in questo senso sono stato agevolato nell’intraprendere il percorso da dirigente”.

Da calciatore pensi di aver ottenuto il massimo? O potevi fare di più?

“Io credo che quando un’avventura dura più di dieci anni, come è stato per me, mediamente si raccoglie ciò che è giusto raccogliere. In alcuni passaggi della mia carriera mi è forse mancato un pizzico di spregiudicatezza e di personalità”.

Che ricordo hai della tua esperienza ad Arezzo?

“Sei mesi meravigliosi in un gruppo condotto in maniera fantastica da Serse Cosmi e diretto splendidamente da Walter Sabatini”.

Aneddoti?

“Diciamo consuetudini. Finito l’allenamento, spesso invadevamo l’ufficio del direttore e trascorrevamo ore intere a farci “insultare” da lui. Sabatini aveva la straordinaria capacità di coinvolgerci. La seconda cosa che ricordo bene è che quando arrivai a gennaio, ero l’unico appassionato di computer. Nel giro di poche settimane, durante i ritiri pre partita di Sansepolcro, la mia stanza diventò meta di pellegrinaggi. Non solo tutti avevano comprato il pc, ma venivano da me a chiedere spiegazioni. Mauro Antonioli mi aveva ribattezzato maestro e ancora adesso mi chiama così quando ci sentiamo”.

Perché quell'Arezzo fallì la promozione in serie B?

“Perché forse la cavalcata trionfale di quel campionato aveva spremuto alcuni giocatori cardine. Venturi, Bonadei e il sottoscritto eravamo stati acquistati a gennaio per dare supporto ai titolari, ma complessivamente eravamo un organico un po’ ridotto numericamente”.

Quanto è stato importante Walter Sabatini per te?

“Lui è il Direttore con la maiuscola, un uomo che mi ha sempre dato consigli nel mio interesse e mai nel suo, che mi ha insegnato tanto, soprattutto ad essere onesto e a non mettere mai in gioco la dignità. Sotto il profilo professionale lo considero di gran lunga il migliore in Italia e credo che Zamparini se ne sia accorto. L’unico neo è che fuma troppo, dovrebbe avere più riguardo di sé”.

E con Cosmi invece che rapporto hai avuto?

“In quei sei mesi ci fu una straordinaria schiettezza. Sapevo di essere stato ingaggiato come riserva di Caracciolo e Martinetti, cercai di coprire quel ruolo al meglio. A Cosmi lego una delle mie più grandi soddisfazioni: la mattina dopo l’eliminazione contro l’Ancona, Serse venne a salutarci. Di lì a poco sarebbe andato al Perugia. Ci disse: “il mio grazie va tanto a Bazzani che è il capocannoniere di questa squadra, quanto a Sensibile che la settimana scorsa è andato in tribuna per scelta tecnica e durante la gara era dietro la panchina a soffrire e lottare con noi”. Ancora oggi vivo di emozioni come questa”.

Arezzo 99-00, è il secondo da sinistra nella fila centraleUn padre nel mondo del calcio ti ha aiutato o ti ha penalizzato?

“Credo che il cognome non mi abbia penalizzato, ma neanche favorito. Quello che ho fatto e che non sono riuscito a fare è farina del mio sacco. Se avessi sfruttato meglio l’opportunità avuta in serie B con la Pistoiese, dopo l’annata di Castel di Sangro, magari qualche stagione ad alto livello l’avrei potuta disputare. Mi sto rifacendo da dirigente”.

Come è cominciata la tua seconda carriera?

“Avevo già smesso di giocare da un paio d’anni ma nessuno se ne era accorto. Il mio presidente della Pro Sesto, sapendo quanto ero curioso e maniacale nel prendere nota di tutto, mi propose a stagione in corso di diventare il diesse dei miei compagni. E così fu. Era aprile, quell’anno perdemmo la semifinale play-off contro il Novara che poi vinse il campionato. Forse è destino…”.

Parlami un po’ della Juve. Come si crearono i presupposti per il tuo arrivo a Torino?

“La Juventus è un passaggio meraviglioso del mio percorso, ma oggi non ne parlo più molto volentieri. Devo dire grazie ad Alessio Secco, l’attuale direttore sportivo che mi affidò l’incarico di responsabile dell’attività di scouting. La Juventus mi ha permesso di girare il mondo e di crearmi un portafoglio contatti, un patrimonio di esperienza che ora è tutto mio”.

Esiste ancora quello che una volta era definito lo stile Juve?

“Non ho termini di paragone con la società del passato, quella per cui venne coniata l’espressione stile Juventus. E quindi a questa domanda preferisco non rispondere. O forse l’ho già fatto”.

Quanto e cosa hai imparato in un ambiente del genere?

“L’importanza dell’organizzazione societaria: una buona squadra con una grande società alle spalle può compiere imprese epiche, una grandissima squadra senza una società alle spalle no. Ma ci tengo a precisare che a livello personale ho imparato solo da Pastorello a Verona e da Sabatini a Palermo”.

Come mai da Torino sei venuto via all'improvviso?

“Avevo prolungato il contratto per altre due stagioni, ma dopo qualche mese Alessio Secco ebbe necessità di un altro tipo di collaboratore. Sono cose che fanno parte del nostro mestiere”.

Nel 2007 la tua Juve vinse il campionato ad Arezzo. Poi perse l'ultima partita con lo Spezia, in pratica facendolo salvare. A retrocedere fu proprio l'Arezzo di Antonio Conte e qua i tifosi non l'hanno mai dimenticato. Lo sapevi questo?

“Sì, lo so. Ti dico che Didier Deschamps fu un grandissimo gestore di quel gruppo, ma venne allontanato proprio alla vigilia di Bari-Juve e Juve-Spezia. Credo che le ultime due sconfitte siano da attribuire al calo mentale, fisiologico di tanti campioni che si erano calati a fatica in una realtà lontana anni luce dal loro livello di calcio”.

Palermo: che bilancio puoi fare di quella parentesi?

“La Juventus mi ha preparato e il Palermo mi ha esposto in vetrina. Si potrebbe pensare che sono in caduta libera, invece ritengo di aver fatto un grande percorso in ascesa. Walter Sabatini mi ha legittimato a sentirmi il suo vice e quindi insieme a Ricky Massara, altro ex amaranto, e Luca Cattani abbiamo fatto grandi esperienze in prima linea”.

Come è nato il fenomeno Novara? Soprattutto ti chiedo cosa c'è dietro ai risultati della squadra.

“Nasce tutto dal vertice, nel bene e nel male. La famiglia De Salvo ha messo il sottoscritto, i collaboratori e i calciatori nelle migliori condizioni di lavoro. Qui ci sono regole semplici che vanno rispettate, il resto è opera di Attilio Tesser, del suo staff e di un gruppo di buoni giocatori dotati di grande spessore morale. I soldi non mancano, ma al denaro viene riservato il giusto rispetto: la proprietà ci ha trasmesso una filosofia, noi l’abbiamo recepita, sposata e ci muoviamo entro i criteri stabiliti. Ogni 20 del mese, comunque, ci viene accreditato lo stipendio”.

In tribuna a Palermo con Carrozzieri, Liverani, Massara e SabatiniChe valore rappresenta un centro sportivo come quello di Novarello?

“La casa del club è fondamentale per sviluppare senso di appartenenza e responsabilità. Il fatto che dalla prossima stagione avremo tutto il nostro settore giovanile che si allenerà e giocherà le gare ufficiali a Novarello, ci rende orgogliosi”.

Come gestire il vantaggio in classifica fino al 9 maggio?

“Gestire? Non ci pensiamo nemmeno. Dobbiamo lottare come dei forsennati in ognuna delle gare che mancano da qui alla fine. I rischi sono quelli che ci hanno portato a soffrire contro il Como, contro la Pro Patria e anche a Pagani. L’ obiettivo non è chiudere imbattuti la stagione, ma difendere il primo posto. Non abbiamo mai perso, ma l’Arezzo e la Cremonese non ci consentono di gestire niente”.

Arezzo-Novara è la penultima di campionato. Che partita ti immagini?

“Ho vinto un solo campionato da dirigente, lo ricordavi tu poco fa. La certezza matematica arrivò in Arezzo-Juventus. Che sia ancora il destino?”.

Mi dai un giudizio sulla rosa di Galderisi?

“Gli organici di Arezzo, Benevento e Perugia sono i migliori di questo girone, ma questo non sempre basta per centrare obiettivi importanti. E’ la parte affascinante dello sport”.

Che opinione hai di Franco Ceravolo?

“Franco è un grandissimo uomo di calcio, la sua storia è lì a testimoniarlo. Non c’è bisogno di aggiungere altro”.

Infine, cosa vedi nel tuo futuro personale?

“Ogni giorno, entrando nel mio ufficio a Novarello, ho sempre più chiara la sensazione di essere capitato nel posto giusto al momento giusto. Sono stato alla Juve, non so se per meriti o se per circostanze, ma se penso a quella esperienza e a quella di adesso, mi convinco che per fare grande calcio non si deve necessariamente lavorare per un grande club”.

scritto da: Andrea Avato, 25/03/2010