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Due notti insonni e un obiettivo: "vincere il campionato". La storia (da allenatore) di Michele Bacis

Dall'offerta australiana per Balbo alla scelta della società di affidargli la panchina. "Quando me l'hanno detto, ho barcollato" dice. I rapporti con Materazzi e Martucci, i giocatori che gli danno del tu ("ma solo a cena, in campo mi danno del lei"), la sostituzione sbagliata con la Sansovino, la settimana post Pontedera, il credo tattico, Martinez e Cissé, Bucchi e Pecorari, ma anche il bel rapporto con Mondonico. Il tecnico dell'Arezzo si racconta



Michele Bacis, 33 anni a ottobreA luglio, quando gli dissero che l’Arezzo avrebbe dovuto guidarlo lui, non ci dormì due notti di fila. Non più vice di Balbo, come prevedeva il programma base, ma allenatore in prima. Per essere l’esordio assoluto in panchina, un bell’inizio decisamente. Ma anche un rischio grosso per un debuttante e un azzardo per la società: questo pensarono in tanti nel momento in cui l’annuncio fu ufficiale. Con un campionato da vincere, uno spogliatoio pieno di giocatori esperti da gestire e una piazza tradizionalmente esigente da sopportare, poteva succedere di tutto. Anche che le pressioni fossero troppo grandi, che la situazione scivolasse di mano, che la ciambella non riuscisse col buco. Michele Bacis, però, un merito evidente ce l’ha: quello di essersi calato nella parte in fretta e senza scompensi, rovesciando con cura il rapporto che aveva con lo spogliatoio. Da compagno di squadra ad allenatore, da complice a guida: salire quel gradino nella gerarchia tecnica poteva diventare un problema. Invece, sotto questo profilo, intoppi non ce ne sono stati. L’Arezzo è in corsa per vincere il campionato in una stagione che, se dovesse finire bene, ha già diversi idoli da celebrare: Bucchi e le sue parate, Pecorari e il suo carisma, Cissé e il suo talento, Martinez e la sua potenza, Raso e i suoi gol. Ma se dovesse finire male, il colpevole sarà uno solo: l’allenatore.
Che effetto ti fa una situazione del genere?
“Non ci penso. E poi sono ottimista, credo che alla fine il campionato lo vinceremo”.
Ma i giocatori ti danno del tu o del lei?
“Nello spogliatoio mi danno del lei. A cena quasi tutti del tu. Fa un po’ sorridere questa cosa”.
Da compagno di squadra ad allenatore. Ti ha mai creato imbarazzi il salto?
“No, imbarazzo no. I ragazzi già l’anno scorso sapevano che c’era questa possibilità. Prima di cominciare li ho presi uno a uno da parte, ci ho parlato a quattr’occhi. I rapporti poi sono cambiati solo in campo, non fuori”.
Hai smesso di giocare a 32 anni. Perché così presto?
“Perché Balbo mi voleva come vice. Perché anche Martucci insisteva. E perché a me fare l’allenatore è sempre piaciuto. Però onestamente pensavo di iniziare con un settore giovanile”.
E invece…
“Invece a Balbo è arrivata l’offerta dall’Australia. Quando Martucci mi ha detto che sarebbe toccato a me, ho barcollato”.
Paura?
“No, quella no. Titubanze sì, però. Ho passato due notti insonni, mia moglie stava cominciando a preoccuparsi. E’ vero che siamo in D, ma allenare l’Arezzo non è come allenare una squadretta di paese”.
E poi?
“Martucci mi ha sempre incoraggiato. Ho ripensato a quello che mi diceva Abel e cioè che ciò che conta è farsi capire dalla squadra, spiegare in campo cosa hai nella testa. L’ho tenuto a mente dal primo giorno”.
Materazzi quanto ha contato?
“Ecco, qua volevo arrivare. Materazzi è stato fondamentale, è un grande uomo. Ha un carattere d’oro, mi ha dato un sacco di consigli preziosi. Spesso ci fermiamo a parlare delle cose di tutti i giorni, della vita, non solo di calcio”.
Raccontami un episodio.
“La telefonata che mi fece dopo la vittoria di Sansepolcro. Era stata una settimana difficile, ma la squadra aveva reagito bene. Parlammo una decina di minuti col cuore in mano”.
Prima hai citato Martucci, che passa per un rompiscatole, un perfezionista, uno attento a ogni dettaglio. Nei suoi confronti da parte tua cosa c’è? Riconoscenza, stima, che cosa?
“Il direttore va saputo prendere. Ma io e lui andiamo d’accordo perché sotto certi aspetti siamo simili. Se lui è rompiscatole e perfezionista, sono rompiscatole e perfezionista anch’io. E poi lo stimo professionalmente: vede i giocatori, ha occhio. Ovviamente devo ringraziarlo: non tutti avrebbero scelto un esordiente per la panchina”.
Borgogni, Chiarini e Speranza sono tuoi coetanei. Pecorari è l’unico più anziano di te. Quanto peso ha dentro lo spogliatoio?
“Con Marco ci conosciamo dai tempi di Trieste, una vita fa. Lui è fondamentale perché è un esempio per i più giovani. Mino Favini, un dirigente dell’Atalanta, quando ero in Primavera a Bergamo ci diceva sempre di guardare i grandi e di rubare i loro segreti con gli occhi. Pecorari è uno al quale rubare molte cose”.
C’è stato un giorno in cui hai capito che avresti fatto l’allenatore?
“Un giorno in particolare no. Il primo che mi disse questa cosa comunque fu Galderisi ad Avellino. E aveva ragione”.
Tu hai il patentino di base. Stai pensando di fare il corso di seconda a Coverciano?
“Sì, anche se non è semplice accedere. Serve un punteggio e le vittorie dei campionati, che prima contavano, adesso non contano più. Io ho fatto due promozioni a Trieste, una a Firenze, una ad Avellino, una a Genova, sarei stato a posto. Ma un modo c’è comunque”.
Andare in C2 con l’Arezzo.
“Esatto, in quel caso sarei ammesso d’ufficio”.
Ti cito due episodi. La sostituzione sbagliata con la Sansovino e il taglio agli stipendi dopo la sconfitta con il Pontedera. Qual è stato il momento più delicato?
“Entrambi. Con la Sansovino sbagliammo tutti, io per primo. Dal punto di vista tecnico, l’ingresso di Nofri era quello giusto. Ma l’età purtroppo era sbagliata”.
Dopo la partita fioccarono polemiche per le tue dichiarazioni. Tornassi indietro, diresti le stesse cose?
“No. Tutto fa esperienza, ma garantisco che non volevo fare il Ponzio Pilato. La responsabilità finale è sempre dell’allenatore”.
Quella notte hai dormito?
“Ma sì. Ho un paio di amici, Paolo Tocci e Alessandro Angiolini, con i quali mi vedo sempre dopo le partite. Mi dettero una mano loro, mi rincuorarono”.
Non ti viene mai il timore che quel punto perso alla fine potrebbe risultare decisivo?
“Il destino certe volte è maledetto. Però lo ripeto, sono convinto che il campionato lo vinceremo”.
insieme a Fabio Tocci, allenatore della JunioresE la settimana del taglio agli stipendi?
“Punto primo: se rigiochiamo col Pontedera altre cento volte, sono sicuro che non perdiamo mai. Punto secondo: io sapevo già prima della partita che la società aveva deciso i tagli. Quei giorni furono difficili: la testa era altrove, ci allenammo in pochi. Ma poi, a parte Marino, sono restati tutti”.
Perché secondo te?
“Perché l’Arezzo è l’Arezzo. E perché Severini e Martucci sono stati onesti. L’onestà paga sempre”.
Il timore di andare a Sansepolcro e fare una figuraccia non ce l’hai mai avuto?
“Mai. I ragazzi avevano due alternative: andarsene oppure restare e continuare a dare il massimo. E poi ero sicuro che quella domenica sarebbe successo qualcosa”.
Infatti il Pontedera perse.
“Me lo sentivo”.
Di te dicono che sei troppo introverso. Non perdi mai le staffe, non ti lasci andare, non vai ad esultare sotto la curva. I bergamaschi sono tutti come te?
“No, non c’entra il luogo di nascita. Io sono fatto così, me lo dicono anche a casa. Mi tengo tutto dentro, le gioie e le sofferenze. Poi non mi piacciono i ruffiani e se corressi sotto la curva, potrebbe essere interpretato come un gesto poco sincero. E’ giusto che con i tifosi facciano festa i calciatori, io li guardo da lontano e sono contento per loro. Quando mi verrà spontaneo, andrò ad esultare pure io. Se vinciamo il campionato, tranquilli che esagero”.
Parliamo di tattica. Sei partito col 4-4-2, adesso giochi col rombo a centrocampo. Perché?
“Con Balbo avevamo deciso di non stravolgere il modulo dell’anno scorso, almeno inizialmente. Avevamo finito bene col 4-4-2, non c’era motivo di cambiare. Però l’evoluzione verso il 4-3-3 era già prevista”.
E poi così puoi sfruttare tutto il potenziale d’attacco.
“Se hai Raso, Martinez e Cissé, devi farli giocare. Quando ho detto a Martucci che avrei giocato col trequartista, gli sono brillati gli occhi”.
Questa ricerca continua del possesso palla da dove nasce?
“Dal ritiro di Anghiari. La squadra è portata al fraseggio, anche con i difensori. A volte rischiamo, è vero, ma sono rischi calcolati. Se evitiamo il primo pressing, poi abbiamo tutto il campo a disposizione”.
E vengono fuori gol come quello al Castello.
“Fu una bella soddisfazione. Quando vedi applicare in campo le cose che provi in allenamento, ti senti appagato”.
Però non sempre, specie in serie D, si può giocare palla a terra.
“In questi mesi ho letto tante cose, anche che Mencarelli stava sulle sue perché gli dicevo di non spingere. Oppure che giochiamo troppo coi lanci lunghi. La prima osservazione è senza senso. Riguardo la seconda, è ovvio che a volte capita di buttarla su. Ma è sempre per necessità, mai per scelta. A me piace il bel gioco. E i giocatori la pensano come il sottoscritto”.
La tribuna però mugugna ogni volta che la squadra fa possesso.
“Io credo che dopo il gol di Martinez al Castello abbiano esultato pure in tribuna. E comunque di soluzioni ne abbiamo tante. Il fatto è che giocare a due tocchi è la cosa più semplice e più difficile allo stesso tempo. Possesso palla e smarcamento sono la base del calcio, ma vanno affinati”.
Il trequartista è un ruolo che sta tornando di moda, finalmente.
“Martinez per noi è l’ago della bilancia. Non aveva mai giocato in quel ruolo, ma lo sa fare bene. Quando si muove tra le linee e parte da lontano, diventa devastante. Lui e il mediano basso sono fondamentali per questo modulo”.
Modelli di riferimento?
“Se dico il Barcellona, poi mi accusano di essere matto e presuntuoso. Allora cito la Juve e la Roma, ma solo per far capire che l’azione deve partire dal portiere. La Roma ha anche la stessa impostazione nostra, un 4-3-1-2 di qualità”.
Prova a spiegare un paio di movimenti anche ai comuni mortali.
“Rinvio dal fondo del portiere. I nostri terzini salgono sulla linea dei centrocampisti, i difensori centrali si allargano, il centromediano si abbassa al limite dell’area per prendere palla e far cominciare l’azione. Diventa un 3-4-1-2. Se gli altri vogliono pressarti, devono avanzare con almeno cinque giocatori. Alle loro spalle il nostro trequartista resta libero. E da lì si riparte”.
Cissé cos’è: un predestinato, un ragazzo che deve farsi le ossa, un fuoco di paglia? Tu che dici?
“Che quando è arrivato ad Anghiari, me l’avevano descritto come un esterno alto. Invece è un attaccante a tutto tondo. La cosa che mi colpisce di più sono i progressi che ha fatto: i primi giorni correva dietro al pallone senza una logica, adesso sa tenere il campo con il cervello”.
E’ difficile gestire un ragazzo con la sua storia alle spalle?
“No, perché dentro il gruppo si è inserito alla grande da subito. Il consiglio che gli diamo spesso è di pensare con la sua testa. Arrivare da zero a uno è relativamente facile, da uno a dieci è difficile. Il calcio non ti perdona se sbagli strada”.
la figurina della stagione 2004/05 in serie BPerché col Deruta l’hai tenuto in panchina?
“Perché in quel momento mi sembrava giusto. Aveva bisogno di rifiatare e nell’Arezzo non c’è niente di scontato. Quando ho dato la formazione, gli ho detto che se fosse stato bravo, sarebbe entrato e avrebbe fatto gol. E così è successo. Si cresce anche con qualche panchina. E con il gruppo”.
Gruppo è una parola che usi spesso.
“Sì, perché è la nostra forza. Pecorari, Bucchi, Raso, Mencarelli sanno guidare uno spogliatoio. Adesso anche Chiarini e Borgogni ci daranno una mano. Con tanti under dentro, quelli più esperti sono fondamentali. Ci fosse stato questo gruppo nell’anno in cui arrivai qua da calciatore, Marino non sarebbe mai stato esonerato”.
Perché, cosa successe?
“Troppa rivalità tra vecchi e nuovi. Qualcuno non voleva giocare a tre dietro, qualcuno sì. Alla fine pagò l’allenatore”.
Restando in tema. Con Fabio Tocci, il tuo vice, che rapporto hai?
“Facciamo gruppo pure noi. C’è feeling sia con lui che con Pino Pellicanò e i preparatori. Se lo staff ha cento idee, tutte diverse, in campo non si vincerà mai”.
Arezzo o Pontedera. Chi è più forte?
“Dico l’Arezzo. Ma siamo squadre diverse, loro giocano più sull’avversario, sono solidi, sono terribili sui calci piazzati. Rispetto a noi hanno un vantaggio”.
Quale?
“Sono insieme da tre anni e con lo stesso allenatore. Hanno mantenuto l’intelaiatura, aggiungendo via via qualche innesto mirato. La stagione scorsa il Pontedera è arrivato secondo, non è una sorpresa che adesso sia lassù”.
E l’Arezzo cosa ha più di loro?
“Qualità e tecnica. Alla fine il gap in classifica nasce dallo scontro diretto, anche se 4 punti non sono un divario incolmabile”.
Il 29 aprile, giorno dello scontro diretto, come te lo immagini?
“Un giorno bello per noi”.
Hai avuto tanti allenatori in carriera. Chi ti è rimasto nel cuore?
“Mondonico. Ci sentiamo spesso, sono contento che è tornato in pista a Novara. Ne aveva bisogno, ha passato un brutto periodo. Mi ha anche chiamato perché non ha più un vice. Gli ho detto grazie, ma adesso devo vincere questo campionato”.
E’ lui l'esempio da seguire?
“Anche Prandelli. A livello tattico e psicologico è un maestro”.
Dove sarai l’anno prossimo?
“Non lo so proprio. Ma l’importante è che resti questa dirigenza e quest’ossatura di squadra. Serie D o Lega Pro cambia poco, l’Arezzo potrebbe vincere in entrambi i casi”.
Sì, ma tu?
“Spero di essere qua. E di fare quel corso a Coverciano”.

 

LA SCHEDA - Michele Bacis è nato a Bergamo il 22 ottobre 1979. Difensore centrale, cresciuto nel settore giovanile dell’Atalanta, ha vissuto la prima esperienza da professionista alla Triestina, dove ha giocato dal 1999 al 2003, salendo dalla C2 fino alla serie B. Nel 2003/04 è stato promosso dalla B alla A con la Fiorentina, quindi è sbarcato ad Arezzo. In quella stagione è stato allenato da Marino e Tardelli e ha conosciuto la futura moglie Cristiana, dalla quale ha poi avuto due figli, Manuel e Jacopo. Nel suo curriculum figurano altre due promozioni con le maglie di Genoa e Avellino, entrambe dalla C1 alla B. Negli ultimi anni di carriera è stato in forza a Cremonese, Monza e Paganese, prima di tornare all’Arezzo nel novembre del 2010, in serie D. La passata stagione ha dato un importante contributo d’esperienza al raggiungimento della salvezza e in estate ha accettato la proposta della società di entrare a far parte dello staff tecnico. Dopo l’addio di Balbo, gli è stata affidata la guida della squadra, con Fabio Tocci nel ruolo di vice e Giuseppe Materazzi in quello di direttore tecnico. Bacis risiede ormai da anni in città, in pieno centro storico.

 

scritto da: Andrea Avato, 05/02/2012





COMMENTI degli utenti

Commento 1 - Inviato da: piccolo 93, il 05/02/2012 alle 11:04

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bella intervista, pero averlo ammesso subito l errore con la sanso sarebbe stato meglio.

Commento 2 - Inviato da: bravoo, il 05/02/2012 alle 15:03

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Vincere il campionato resta l'obbiettivo piu importante....e dura e lunga ancora..ma l'unione fa la forza....e nello  lo spogliatoio la carica e quella giusta...non mollare è il motto fino in fondo....FORZA AREZZO OVUNQUE.....bacis sta crescendo giorno dopo giorno...una grande grinta e voglia di diventare un allenatore...di fiducia...

Commento 3 - Inviato da: bravoo, il 05/02/2012 alle 15:03

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Cool

Commento 4 - Inviato da: piccolo 93, il 05/02/2012 alle 15:58

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per Mino 76, senz altro è cosi, era solo una questione di coerenza a volte secondo me si fa più bella figura ad ammettere gli errori subito tutto qua:

Commento 5 - Inviato da: Amaranta, il 05/02/2012 alle 17:40

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Per me andrà via se non vinciamo il Campionato e a quel punto lo spogliatoio va a farsi benedire,

Va beh, se non vinciamo il campionato, andra' a farsi benedire ben altro che il solo spogliatoio.

Commento 6 - Inviato da: Andrea Avato, il 07/02/2012 alle 11:25

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Se non vinciamo il campionato, un terremoto gigantesco raderà al suolo l'intera città di Arezzo. I pochi superstiti saranno sterminati da un virus misterioso. Parenti e discendenti dell'aretina gente, dislocati nelle varie parti del mondo, cadranno uccisi da invasori alieni senza scrupoli né pietà. Libri, giornali, riviste di oggi e di ieri, riguardanti l'Arezzo e la sua storia, verranno impilati e bruciati, in modo da perderne la memoria. Tutti i filmati web sulla rovesciata di Menchino Neri saranno cancellati per sempre. Perfino il colore amaranto verrà eliminato dalla scala cromatica. Livorno e Reggina saranno costrette a giocare con la seconda e/o terza maglia. Se non vinciamo il campionato, di noi non resterà traccia.

Commento 7 - Inviato da: il ferro, il 07/02/2012 alle 18:09

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eh, AVATO.....è più facile andare a castello che a giorgione,vero????

Commento 8 - Inviato da: Andrea Avato, il 07/02/2012 alle 21:17

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Io sono stato anche a Giorgione, cioè a Castelfranco Veneto. Ricordo che un avamposto dei tifosi amaranto entrò dentro il campo sportivo un'ora e passa prima della partita, intonando cori contro la Lega Nord. Poi pareggiammo 0-0 e Minghelli, con la maglia numero 8, giocò una grande partita.

Però non ho capito la tua domanda, stavolta. Tongue out