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Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
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NEWS

Gli affreschi di Montano d'Arezzo

È singolare come certi artisti, quasi sconosciuti nella loro terra d’origine, altrove siano considerati personaggi di primaria importanza per l’apporto che hanno dato alla storia dell’arte. Questo è il caso di Montano d’Arezzo, ignorato in Toscana ma celebrato a Napoli e dintorni come figura chiave nell’evoluzione della pittura in Campania tra Duecento e Trecento. 



La Madonna di Montevergine, l'opera più famosa di MontanoÈ singolare come certi artisti, quasi sconosciuti nella loro terra d’origine, altrove siano considerati personaggi di primaria importanza per l’apporto che hanno dato alla storia dell’arte. Questo è il caso di Montano d’Arezzo, ignorato in Toscana ma celebrato a Napoli e dintorni come figura chiave nell’evoluzione della pittura in Campania tra Duecento e Trecento.

Del primo periodo di vita di Montano sappiamo poco. Nacque ad Arezzo, probabilmente nella seconda metà degli anni Sessanta del XIII secolo. Nella prima metà degli anni Ottanta, come tanti novelli dipintori, si recò ad Assisi per carpire i segreti delle principali correnti pittoriche del tempo, che si erano ritrovate nella cittadina umbra per decorare la basilica di San Francesco.

Per cause imprecisate, di lì a poco Montano si trasferì a Napoli durante gli ultimi anni di vita di Carlo I d’Angiò, importando per primo le straordinarie innovazioni artistiche tosco-umbre che scaturivano proprio dalla “fabbrica di Assisi”.

Sotto il regno di Carlo II d’Angiò, succeduto al padre nel 1285, Montano ricevette delle prestigiose committenze, come l’abbellimento, nel Duomo napoletano, della cappella voluta dall’arcivescovo Filippo Minutolo. Gli affreschi, raffiguranti Storie di santi e una Crocifissione, risentivano della lezione cimabuesca e furono realizzati intorno al 1285/1286. Oggi sono parzialmente visibili.

Nei primi anni Novanta Montano fece un nuovo viaggio ad Assisi, dove nel frattempo erano giunte le epocali novità di Giotto. Nelle pitture successive dell’aretino si scorgono così molti aggiornamenti stilistici, a partire dalla sua opera più famosa, l’imponente Mamma Schiavona di Montevergine, ovvero un’enorme Madonna in trono con il Bambino che domina l’altare maggiore del famoso santuario avellinese.

I tre santi nella parete sinistra della Basilica di San Domenico (uno dei tre è scomparso)Secondo Pierluigi Leone De Castris, noto storico dell’arte, il capolavoro fu commissionato intorno al 1296/1297 da Filippo d’Angiò. Per molto tempo l’attribuzione di questa opera e stata contesa tra Montano e il pittore romano Pietro Cavallini, ma oggi è assegnata quasi all’unanimità all’aretino. Gli unici dubbi vengono dal volto della Madonna, che per alcuni studiosi sarebbe di origine più antica. Alcune teorie tradizionali si spingono a ritenerlo parte di un’icona proveniente dalla Palestina e realizzata da San Luca in persona!

Tornando a Napoli, celebre è il ciclo mariano nel transetto destro della chiesa di San Lorenzo Maggiore, realizzato intorno al 1306 per Carlo II d’Angiò, del quale rimangono la Natività e la Dormitio Virginis. Fuori dallo stupendo edificio gotico, in una lunetta del portale fra la chiesa e il chiostro del limitrofo complesso conventuale, si trova una Madonna con il Bambino e un donatore. Sempre ai primi del Trecento risale la grande pala d’altare con la Madonna in trono con il Bambino, conservata nel Museo di San Lorenzo.

L’attività di Montano è ben documentata alla corte dei d’Angiò fino al 1313. Questa casata, una delle più importanti del Medioevo europeo, lo tenne così tanto in considerazione da nominarlo “familiare”, onorificenza che gli garantiva benefici e privilegi.

E in patria cosa ha lasciato l’artista aretino? La sua partenza per il Meridione in età giovanile e la scomparsa di gran parte degli affreschi cittadini del XIV secolo, vuoi per l’incuria, vuoi per la trasformazione degli edifici sacri nei secoli, vuoi per le spoliazioni ottocentesche, quando i mercanti d’arte stranieri giungevano ad Arezzo e facevano man bassa di opere, rende la ricerca assai difficile.

La Predica del Beato Ambrogio Sansedoni nella parete destra della Basilica di San DomenicoSolo nella basilica di San Domenico, il De Castris ha individuato due affreschi deteriorati attribuibili a Montano. Il primo si trova a metà della parete sinistra, in alto. Rappresenta i santi Pietro e Paolo con i loro rispettivi nomi. I due sono sormontati da sottili e sobrie arcate. Un terzo arco contiene il nome di San Domenico, ma del titolare della chiesa non vi è traccia. Si trovava in posizione di preghiera, nella parte di affresco crollata?

L’altra opera, di cui è meno sicura l’assegnazione, è visibile nella parete opposta. Si tratta della Predica del beato Ambrogio Sansedoni.

Ricercare queste testimonianze, nelle suggestive pareti istoriate della basilica dominicana, è un modo per riscoprire Montano d’Arezzo, artista di transizione tra il Duecento aretino, dominato dalla figura di Margarito, e i primi vagiti della scuola locale del XIV secolo. Non a caso, sono state riconosciute delle affinità tra i volti delle sue Madonne con quelle di Gregorio e Donato d’Arezzo. E la proficua bottega di questi ultimi due fece da preludio all’arrivo di figure capitali per l’arte aretina del Trecento, Andrea di Nerio e il cosiddetto Maestro del Vescovado.



scritto da: Marco Botti, 15/05/2009