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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
Flaminia4 set15Livorno
Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
MONDO AMARANTO
foto amaranto di gruppo a Bruxelles - Belgio
NEWS

I mille scemi e ad Arezzo il calcio non si può fare. La favoletta buffa che non regge più

Chi vorrebbe, non può. Chi potrebbe, non vuole. Ma quella del pozzo senza fine, della crisi, della rimessa sicura è una storiella. Ed è una storiella pure quella dell'aretino che contesta sempre, comunque e a prescindere, utilizzata da politica e imprenditoria per defilarsi e rinunciare a un progetto sportivo che invece potrebbe portare grandi benefici. Anche economici. In realtà qui da noi ci sono gli stessi difetti che ci sono ovunque: manca soltanto la volontà di superarli. E non certo per colpa della gente, che ha sempre riservato grandi slanci d'affetto a chi ha saputo meritarseli. Gli striscioni appesi ovunque in città sono l'ulteriore riprova che a portare l'amaranto nel cuore, non siamo mille ma molti di più. E non siamo neanche tanto scemi



striscioni amaranto in ogni angolo di cittàC'è una favoletta buffa che viaggia di bocca in bocca. E le voci, si sa, corrono come un cavallo al galoppo. Parlane oggi, parlane domani, alla fine tutti ci credono anche se non sono vere. La favoletta racconta che ad Arezzo il calcio non si può fare perché gli aretini, satanassi e malmostosi, nulla perdonano e contestano sempre, contestano comunque, contestano a prescindere. Soprattutto i presidenti. E dunque, con questa premessa, balzare alla conclusione è scontato: ''ma figurati se uno spende i soldi per farsi mandare affanculo da mille scemi''

La favoletta è la toppa che copre ogni buco, specie quando, come adesso, la società non se la passa granché e ci sarebbe bisogno di qualcuno che investisse denari ma anche energie, tempo e anima in quel bene comune che è la squadra di pallone. Invece no. Chi vorrebbe, non può. Chi potrebbe, non vuole. E viaggia con la scusa sottobraccio, si porta l'alibi al guinzaglio e gira e rigira ritorna al punto iniziale. Il gioco non vale la candela, non ho rientri, il pozzo senza fine, la rimessa sicura, sono sempre all'estero, c'è la crisi e poi, immancabilmente: ''ma figurati se apro il portafogli per farmi mandare affanculo da mille scemi''.

 

inverno 2013, il presidente Ferretti applaudito dalla tribuna Di solito, spesso, praticamente sempre, la favoletta è condita da un'anti aretinità subdola e fastidiosa, secondo cui questo è un posto di merda, con gente di merda e, più di tutto, con tifosi di merda. Nella vita è giusto essere obiettivi e in effetti qualche magagna ce l'abbiamo, come tutti gli abitanti di una città grande ma non grandissima, che si gode ancora qualche benefit della sana provincia italiana e che a tratti è troppo provinciale. Riguardo lo sport, che è l'argomento che ci sta a cuore, non siamo aquile: continuiamo, ma sarebbe meglio dire continuano, a ignorare che una società di calcio potrebbe produrre grandi vantaggi (anche economici, sì). Il casino è che bisognerebbe fare le cose per bene e quindi servirebbe denaro ma anche energia, tempo e anima di cui sopra. Dura eh.

I difetti ci sono, è vero. Come ce ne sono ovunque, anche a Crotone o Benevento, a Pescara o Empoli, a Frosinone e Cesena. Però i difetti si possono correggere, a patto di averne voglia. Là ce l'hanno fatta, perché non potrebbe succedere pure qui? E anche la storiella dei botoli ringhiosi, diciamolo, ormai ha fracassato le palle il giusto. Ad Arezzo saremo inclini alla polemica e geneticamente portati a trovare il pelo nell'uovo, tant'è che i verbi bubare e botecare non sono stati coniati a caso, ma abbiamo tanti pregi che, quando in ballo ci sono calcio e soldi, vengono artatamente sottaciuti e nascosti come polvere sotto il tappeto, sia dalla politica che dalla crema dell'imprenditoria.

 

 

Eh, no. La favoletta va presa per quel che è: una storiella che convince solo i paladini del partito preso. Attualizziamo il discorso. Quante volte si è sentito dire, nell'ultimo periodo, che Ferretti se ne va per colpa dei tifosi (anche dei giornalisti in verità, ma lasciamo stare)? Mille. ''Ha tolto i soldi di tasca per sentirsi dare del cazzaro da mille scemi'': questo sostengono in tanti. Trattasi di un sillogismo che non regge, tirato per i capelli da chi ha la memoria corta. Quanti ricordano i tappeti rossi stesi sotto i piedi del presidente dopo il passaggio di consegne con Severini? E l'applauso della tribuna durante la partita con lo Spoleto, nell'anno 2013? E Ferretti con la sciarpa in mano prima di Arezzo-Gualdo? E l'idillio di fine stagione al termine del primo torneo di Lega Pro, con tanto di lettera del pres per annunciare urbi et orbi la volontà di puntare alla B?

 

lo striscione del Piero Mancini Fans ClubAltra boutade: Piero Mancini ci ha fatto sfiorare la serie A e ha dovuto chiudere la baracca perché i soliti tifosi ubriachi, senza cervello, maleducati, cafoni e amanti del remare contro (il remare contro torna ciclicamente fuori ogniqualvolta spunta qualche testa pensante che si sottrae all'idea comune), lo hanno sfanculato ripetutamente e senza motivo. Altro falso storico, perché evidentemente si finge di non ricordare che Piero Mancini venne accolto in pompa magna dopo la gestione Bovini, portato in palmo di mano dopo la prima annata alla guida della società, chiusa con un play-off amaro contro il Livorno, riverito dopo la promozione in B e osannato da uno stadio intero dopo Arezzo-Vicenza del 2005. 

Ad Arezzo la gente non è stupida. Può sbagliare, e l'attacco frontale a Benito Butali durante Italia-Grecia di fine anni '80, fu in effetti un errore con conseguenze nefaste dal punto di vista tecnico, sportivo, ambientale e gestionale. La gente può tracimare oltre i limiti del buongusto a volte, eccedere nella foga e condire con qualche volgarità uno striscione o un coro. Ma non è stupida. Non è ignorante. Non apre bocca tanto per dare aria all'ugola. E soprattutto non rema contro. La gente è proprietaria delle società di calcio, amministrate economicamente dai presidenti, ai quali va portato il rispetto che si deve a una figura imprescindibile, ma che sono transitori come i direttori sportivi, gli allenatori e i calciatori. I tifosi invece restano.

 

 

Arezzo non è diversa, sotto questo aspetto, da Perugia, da Siena, da Terni, da Livorno, da Pisa, da Torino, Roma, Napoli o Milano. Anche lì il calcio è un'altalena, oggi vinci e sei bravo, domani perdi e sei somaro. Anche lì oggi ti osannano e domani ti fischiano. Anzi, lì ti tirano pure le pietre, cosa che ad Arezzo non succede più da quel dì (e meno male). Quindi la favoletta che fare il presidente ad Arezzo è sinonimo di rotture di coglioni, parolacce, improperi e calci alla macchina, non ha proprio fondamento. Ferretti è stato applaudito e sostenuto spessissimo, Severini anche, Massetti pure. Per non dire di Mancini e di Terziani. In periodi e contesti diversi. Poi il credito non è eterno da nessuna parte, figuriamoci nel calcio. Ma se uno se lo merita, la gente gli riconosce il giusto tributo.

Per tutti questi motivi non devono venirci a dire che ad Arezzo il calcio non si può fare. No, si può fare eccome. Bisogna pensare non solo all'oggi e al domani, ma anche al dopodomani. Mettere su strutture all'altezza, gestire le spese e i ricavi, valorizzare le giovanili, interagire con la città, tenere a mente che il pubblico è una risorsa e non un nemico. Allora cambierebbero molti scenari e, forse, non ci sarebbe bisogno di appendere striscioni in ogni angolo di strada per sollecitare le persone a venire allo stadio. Anche se, va detto, girare in macchina in queste ore e imbattersi in un drappo colorato dopo l'altro, è veramente una bella sensazione. Che sfata anche l'ultimo luogo comune: a portare l'Arezzo nel cuore, non siamo mille ma molti di più. E non siamo neanche tanto scemi.

 

scritto da: Andrea Avato, 27/10/2017





Arezzo-Viterbese, tutti allo stadio
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