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Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
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Serse Cosmi: "Il mio cuore amaranto"

"Il legame con Arezzo è ancora molto forte, l'accoglienza che mi hanno riservato i tifosi quando sono tornato al Comunale me la porterò dentro tutta la vita. La partita di Ancona nei play-off vorrei rigiocarla, non mi è andata giù. E comunque quella squadra con Bazzani, Rinino e gli altri mi ha dato libidine calcistica"



il ritorno di Cosmi al Comunale, tra striscioni e applausiSerse Cosmi l’avevo intervistato decine e decine di volte quando allenava ad Arezzo. Poi ci ho lavorato per qualche anno insieme e, paradossalmente, ne conoscevo molto di più gli umori personali che le idee sul calcio. Spesso, quando parlava con i giornalisti di tivù o carta stampata, mi fermavo ad ascoltare domande e risposte, dalla prima all’ultima, giusto per capire se Serse stava cambiando il suo approccio al mondo del pallone o se era lo stesso allenatore che avevo conosciuto e apprezzato nei cinque anni trascorsi in amaranto. Posso dire che Cosmi oggi non è la persona di dieci anni fa: il tempo e le esperienze, della professione ma anche della vita, modificano punti di vista e modi di pensare. Però è rimasto uguale nell’anima, nei sentimenti, nei valori. Infatti, dopo cinque minuti di colloquio, mi sembrava di aver riavvolto il nastro e di essere tornato a quando gli chiedevo di Mosconi, di Pilleddu o di Bovini. La prima curiosità riguarda la sua estate, strana perché trascorsa sulle spiagge invece che in ritiro. “E’ la prima volta che mi capita – dice Serse – e il dispiacere è stato forte, per me e per tutto quello che di negativo è capitato nel calcio. Alla fine, non è una novità, gli unici penalizzati sono stati i tifosi”.

Pensi che nei tuoi confronti il vento sia cambiato?

“Non so. L’anno scorso l’Udinese mi ha affidato una squadra che doveva fare i preliminari di Champions, vuol dire che avevano fiducia. Però durante l’anno verso di me c’è stato un accanimento ingiustificato. Coi media si è rotto qualcosa e tutto è partito da Genova”.

Perché da Genova?

“Da allenatore del trionfo mi hanno fatto passare per uno dei colpevoli della retrocessione. Qualcuno ha raccontato alla stampa un po’ di bugie e tanti sono rimasti condizionati”.

L’esonero di Udine ti brucia ancora?

“E’ un’esperienza anche quella. Il pericolo è rimuginare sugli errori commessi, invece voglio pensare al futuro e basta”.

Ho letto da qualche parte che ti saresti imborghesito. E’ così?

“E’ il calcio che è cambiato in peggio e quindi anche per un allenatore è difficile fare progressi. Se ti metti a tavola in famiglia e tuo padre è un delinquente, devi essere veramente bravo per migliorare. Comunque imborghesito non sono: forse pensavano che continuassi a girare con una Dyane 6, ma non è che una macchina bella possono comprarla solo i presidenti, sennò ne venderebbero venti all’anno. Sai cos’è? Se ottieni i risultati, non sei tu che cambi, sono gli altri che ti vedono con occhi diversi”.

I media però ti cercano ancora. L’esperienza da commentatore per La7 è un rischio calcolato o uno stimolo in più?

“La7 è un’emittente seria, proverò a parlare di calcio come piace a me. Mi servirà per vedere le partite, per mantenere certi contatti. La mia vita è sul campo, chiaramente, non voglio fare l’opinionista in eterno”.

Ormai quando si parla di allenatori giovani, emergenti, si fa riferimento ad altri e non a te. Il tempo passa in fretta.

“E’ normale che sia così. Bene o male ho messo insieme 162 presenze in serie A e ho fatto tutte le coppe internazionali: Intertoto, Uefa, preliminari di Champions, Champions League. In più, tutte le coppe nazionali: coppa umbra, coppa toscana, Coppa Italia dilettanti e Coppa Italia professionisti. Non sarò più un emergente ma non mi sento vecchio. Un allenatore è vecchio se non ha più niente da proporre”.

Ti fa piacere che ci siano tanti debuttanti tra i tuoi colleghi?

“L’importante è che se lo meritino, mi riferisco ai risultati. Se i risultati non sono più il metro di giudizio, me lo facessero sapere che mi adeguo”.

A proposito: Donadoni in Nazionale è una scelta felice?

“E’ in controtendenza rispetto alla storia del calcio italiano. Donadoni in ogni caso mi sembra uno saggio nonostante abbia cominciato da poco”.

Un nome, uno solo, che simboleggia la vittoria dei Mondiali.

“Materazzi. E’ stato decisivo”.

Anche perché in finale ha fatto cacciare Zidane…

“Va beh, l’Italia avrebbe vinto lo stesso”.

Tu hai allenato tre campioni del mondo: Materazzi, Grosso e Iaquinta. Bello, no?

“Tre storie diverse: in quella di Grosso c’è molto di mio, anche se la vera amicizia ce l’ho con Materazzi”.

Però il gol di Grosso alla Germania è stato il più emozionante di tutti.

“Sì, in quel gol c’è tutto il nostro Mondiale”.

Prima hai fatto cenno a calciopoli. Anche tu ti sei sentito tradito dal sistema?

“In questi giorni ho riletto un po’ di articoli con alcune mie dichiarazioni post partita. Molti moralisti che mi bacchettavano, ho scoperto che erano collusi col sistema e ancora lo sono. Se pensiamo di aver eliminato il marcio con la squalifica di Moggi, commettiamo un grosso errore. Lo scandalo più grande del dopoguerra sai qual è stato?”.

Quale?

“La retrocessione del Perugia nel 2004, lì si toccò il fondo. E tralascio gli spareggi con la Fiorentina perché quelle furono due partite da Holli e Benji”.

Di Moggi cosa pensi?

“Ho sempre creduto che finché c’era gente che gli attribuiva un potere così grande, lui ne avrebbe acquistato ancora di più. Come persona, era uno simpatico, almeno con me”.

Lo vedi più vittima o carnefice?

“Moggi lo hanno giudicato un corruttore. Ora mi spiegassero chi sono i corrotti perché non l’ho capito. Due designatori non mi bastano”.

in piazza Grande col costume da SbandieratoreGiusto assegnare lo scudetto dell’anno scorso all’Inter?

“Fossi stato Mancini lo avrei accettato. Però la Federazione non doveva assegnarlo. O meglio, concedendo lo scudetto all’Inter bisognava anche riportare in A chi era retrocesso e nelle coppe chi non si era qualificato. Mica è stata l’Inter l’unica società penalizzata”.

Ci pensi mai a Gaucci?

“E’ stato uno dei pochi presidenti che ha pagato un certo tipo di potere. Ha commesso i suoi errori, ma nei suoi confronti avrò sempre riconoscenza umana e professionale. So che mi vuole bene”.

Di Piero Mancini che opinione hai?

“Non lo conosco a fondo. Mi sembra stia facendo bene, con lo spirito giusto, e poi è il presidente che ha riportato l’Arezzo in B, che ha lanciato allenatori bravi. E’ un merito da sottolineare”.

Di Pieroni?

“Capisce di calcio, conosce i giocatori, sa gestire tutte le situazioni”.

Una volta mi dicesti che ad Arezzo e Perugia non saresti tornato ad allenare. E’ ancora così?

“Mai dire mai nella vita. Però nel calcio ci sono dei cicli: la mia presenza aveva senso in un determinato momento, ora sono cambiate troppe cose. A fine carriera, forse…”.

Al Genoa invece torneresti.

“Sì, l’ho detto subito. E’ un capitolo che non è chiuso”.

Il legame con Arezzo però è ancora molto forte, mi pare.

“E’ vero. L’accoglienza che mi hanno riservato i tifosi quando sono tornato col Genoa me la porterò dentro tutta la vita. Incredibile”.

Il coro che ti hanno cantato a Perugia, durante la partita di Coppa Italia, ti ha messo veramente in difficoltà?

“Non me l’aspettavo, soprattutto in quel contesto”.

So che anche a Perugia la tifoseria ti ha apprezzato, però a differenza di quella di Arezzo ti ha sempre accolto con freddezza. Perché?

“Perché a Perugia da avversario ci sono tornato troppo presto, la ferita della retrocessione era ancora fresca. E anche lì, quando me ne andai, qualcuno soffiò sul fuoco della polemica. Dovevo lasciare l’anno prima, avevo capito che mantenere certi rapporti con l’ambiente era dura”.

Ad Arezzo non ti era mai successo?

“No, era una situazione diversa. Quando venni via per approdare in serie A, la gente di Arezzo era contenta per me. Al di là della rivalità con il Perugia, i tifosi sapevano che se facevo carriera era anche merito loro”.

Come ti sembra Antonio Conte?

“La panchina dell’Arezzo porta bene, gli auguro di avere in futuro le stesse soddisfazioni che ho avuto io, che hanno avuto Somma, Marino e anche Gustinetti. E poi devo fargli i complimenti: dopo la partita di Coppa con l’Udinese ho visto che è corso sotto la curva insieme ai giocatori. E’ il segno che sta cercando anche un rapporto di pelle con i tifosi, l’ho apprezzato”.

Dopo di te nessun allenatore è rimasto più di un anno sulla panchina dell’Arezzo. Hai una spiegazione?

“No. Ricordo che quando arrivai, mi dissero che nei due anni precedenti c’erano stati sei allenatori e poi io ho fatto cinque stagioni di fila. Il calcio è strano”.

Mi dai un giudizio su Floro Flores e su Ranocchia?

“Quando arrivai a Udine, Alessandro Gaucci mi mandò un sms: prendi Floro Flores. Per me, fra quelli della sua età è l’attaccante più forte di tutta la serie B. Io alla Roma avrei portato lui e non Vucinic, tanto per intenderci. E può migliorare ancora. Di Ranocchia conosco benissimo il padre, siamo amici. Considerando che ha solo 18 anni, che gioca con personalità, che in Italia ci sono pochi difensori, può fare strada”.

Hai seguito la vicenda che ha portato alla penalizzazione dell’Arezzo?

“Le cose sono due. Se si crede che non ci sono i millantatori, 6 punti di penalizzazione sono anche pochi. Se invece si ammette che i millantatori esistono, e io ti dico che nel calcio l’ottanta per cento delle persone millanta, mentre il diciannove per cento dice falsità, allora il -6 è assurdo”.

Saresti rimasto alla Juve in B?

“Io sì. Le sfide nuove mi intrigano, anche se non biasimo chi è andato via. La società ha dovuto fare delle scelte: Ibrahimovic in B non avrebbe avuto senso, tenere Del Piero e Buffon invece ha una logica”.

La Juve tornerà subito in A?

“Sì”.

Ad Arezzo oggi c’è Floro Flores. Tu hai allenato Battistini, Scichilone, Pilleddu, Bazzani, poi sono arrivati Benfari, Frick, Abbruscato, Spinesi, tutta gente che ha chiuso i campionati in doppia cifra. C’è un perché?

“Arezzo ha sempre avuto una certa predilezione per i bomber, penso anche a Gritti o Tovalieri. Dipende un po’ dal caso, un po’ dalle scelte della società”.

La prima cosa che ti viene in mente quando pensi ad Arezzo qual è?

“La vittoria dell’Interregionale. Neanch’io mi rendevo conto di quanto la gente ci tenesse a cancellare l’umiliazione di giocare tra i dilettanti, soprattutto i tifosi più anziani. Poi mi ricordo l’ultimo allenamento di Minghelli”.

Lui era già malato ma non lo sapeva.

“No, non lo sapeva nessuno. Si allenava a parte, un giorno provò a fare la partitella, ma era come una macchina che viaggiava con qualche cilindro di meno. Impossibile dimenticare quei momenti”.

l'Arezzo della stagione 1999/2000Una tua formazione ideale di quei cinque anni ce l’hai?

“Ne ho due che riguardano la mia carriera, l’ultima di Arezzo e la prima di Perugia”.

Te le ricordi a memoria?

“Facile. Tardioli, Di Loreto, Ottolina, Bacci, Martinetti, Di Sauro, Rinino, Caracciolo, Bazzani, Antonioli, Tarana”.

E quella di Perugia?

“Mazzantini, Di Loreto, Materazzi, Rivalta, Ze Maria, Tedesco, Liverani, Baiocco, Pieri, Saudati, Vryzas”.

Due moduli diversi.

“Ad Arezzo giocavamo col 4-2-3-1, che cercai di riproporre a Perugia prima di passare al 3-5-2. Quelle due squadre mi hanno dato libidine calcistica vera, mi sembrava quasi di non essere l’allenatore ma un semplice accompagnatore”.

C’è un giocatore che poteva fare più di quello che ha fatto?

“Bifini, aveva le qualità per arrivare molto più in alto”.

Quale partita del tuo periodo amaranto vorresti rigiocare?

“Il ritorno dei play-off ad Ancona, vorrei rigiocare con la squadra in condizione. Vinta quella partita, saremmo andati in B”.

I calciatori nei tuoi confronti hanno riconoscenza?

“Alcuni sì, altri per niente. Non faccio nomi, ma ce ne sono due o tre che dovrebbero mandarmi un vitalizio, a me e al mio staff, e invece hanno ingrassato soltanto i procuratori”.

Non tutti saranno così, spero…

“Ovviamente no. Prima ho citato Materazzi, per esempio. Di Loreto l’ho allenato nove anni, mi sento con Grilli, Antonioli, Rinino, Martinetti. Anche con Massara”.

Tutti giocatori che hai avuto in C. E’ un caso?

“No, in A i giocatori sono spaventati. Delegano tutto al procuratore, alla moglie, al dirigente e quando c’è da instaurare un rapporto umano, si tirano indietro”.

Mi fai il nome di un tecnico giovane che ti sembra veramente bravo?

“No, non parlo più di nessuno. L’ho fatto quando ero in A e loro allenavano in C, poi mi hanno esonerato e non mi ha chiamato nessuno. Tra allenatori c’è una forma patetica di invidia, invece siamo tutti dentro un acquario e chi ha i denti più affilati si mangia gli altri, facendo solo il gioco dei procuratori. L’unico che resterà sempre lo stesso è il mio amico Castori”.

Hai qualche detrattore in più oggi?

“Basta vincere due partite e i detrattori crescono esponenzialmente”.

Facciamo il gioco della torre. Chi butti giù: Rossi o Carraro?

“Butto Carraro, nella migliore delle ipotesi è stato un presidente distratto”.

Matarrese o Galliani?

“Boh… Butto giù la torre”.

Lippi o Donadoni?

“Non butto nessuno. Materazzi mi ha parlato benissimo di Lippi: credo che Marcello abbia dato il meglio di sé quando ha dovuto soffrire dentro”.

Pozzo o Preziosi?

“Pozzo mi ha deluso di più. Il giorno che ho firmato la rescissione del contratto avrei preferito ci fosse lui, non il suo commercialista e il suo avvocato”.

Quando tornerai ad allenare?

“Non lo so. Di sicuro non andrò sulla prima panchina che si libera, sceglierò con molto raziocinio”.

Le ultime delusioni ti hanno cambiato?

“No, per me il calcio resta un sogno. C’è chi vive per togliere i sogni agli altri, ma sono dei disgraziati e basta”.



scritto da: Andrea Avato, 25/09/2006





Serse Cosmi e l'Arezzo, una bella storia