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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
Flaminia4 set15Livorno
Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
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Rischi grossi e parole forti, l'Arezzo è dentro un frullatore. E domenica è già decisiva

La nomina del 29enne Tromboni a direttore sportivo, la piazza in fibrillazione, le scelte tecniche che vanno contro la razionalità, il ruolo di Muzzi, un campionato da vincere a tutti i costi e una conferenza stampa che poteva e doveva essere gestita meglio. La società stava rimettendo insieme i cocci con iniziative apprezzabili. Ha buona volontà. E a Manzo non sembra appartenere la protervia di qualche suo predecessore. Ma c'è sempre qualche ostacolo di traverso, con la partita contro il San Donato che è sempre più fondamentale



''Ho vissuto spogliatoi, anche di serie D, ho gestito la Primavera tra i professionisti, ho cominciato a vent'anni a fare il ruolo di dirigente. Sono dieci anni che porto avanti questo percorso. Mi sento di avere esperienza riguardo la gestione di uno spogliatoio, ho già parlato con i giocatori più rappresentativi e li ho sentiti molto positivi. Quindi non vedo la problematica. Mi sento di avere la personalità per gestire lo staff tecnico tranquillamente e mi sento soprattutto pronto per affrontare questo mercato e quelli che verranno''.

A metà strada tra l'autostima e l'incoscienza, Cristiano Tromboni si è insediato nel nuovo ruolo di direttore sportivo, catapultato al comando della prima squadra nel periodo più delicato della stagione, con uno scontro diretto alle porte da far tremare le vene dei polsi e una piazza in fibrillazione. Merita un grande in bocca al lupo. Con le giovanili ha fatto bene, la sua passione per il calcio è riconosciuta e di sicuro non gli mancherà l'entusiasmo. E' giusto che venga giudicato senza preconcetti né pregiudizi, anche se la sensazione è che sia stato spinto dentro la fossa dei leoni senza neanche un frustino da domatore.

 

 

La logica avrebbe suggerito un profilo completamente diverso dal suo. In un ambiente scottato dalla retrocessione, carico di aspettative per un campionato da vincere senza se e senza ma, sarebbe servito un uomo forte, capace di rassicurare la gente (e anche la proprietà) con la forza del curriculum e dell'esperienza, che fino a prova contraria resta una virtù e non una zavorra. Magari uno che avesse già lavorato in contesti simili ad Arezzo, con l'obbligo di vincere ogni partita e di trovare giustificazioni convincenti quando non succede, in grado di fare mercato ma anche di affrontare i tifosi e dire “tranquilli, ci penso io”, apparendo credibile. E, perché no?, in grado di governare una conferenza stampa, battendo i pugni sul tavolo o smorzando i toni all'occorrenza. E il riferimento a ieri non è casuale.

Le parole vanno soppesate con cura, specie se si parla in pubblico. A maggior ragione se si sta presentando una mossa impopolare, che si sapeva avrebbe sollevato dubbi e perplessità. L'aggettivo “predestinato” stava largo a Pirlo, uno dei migliori calciatori del mondo: eppure anche lui ha sbattuto la faccia sulla realtà, perché in panchina era un novizio. E' così. Quando cominci, che ci sia una squadra da allenare, un articolo da scrivere, un tubo da aggiustare o un'area tecnica da gestire, è fisiologico inciampare da qualche parte. E l'Arezzo quest'anno gli inciampi non se li può permettere.

 

Selvaggio, Tromboni e Muzzi a Città di Castello domenicaLasciamo perdere il fatto che nel calcio non vi sono garanzie: magari prendi Marotta e Guardiola e il campionato ti sfugge di mano comunque. Ma perlomeno ti copri le spalle, dimostri coerenza con gli obiettivi che hai, lanci un segnale forte. Invece no. L'Arezzo che deve solo arrivare primo si muove in modo incoerente e nell'anno in cui servono più certezze possibili, sfida la sorte. Rischia. Lo stesso modus operandi che ha portato alla scelta di Mariotti: un allenatore che conosce la D, che ha fatto anche bene in alcuni club, umanamente apprezzabile (il rapporto saldo con lo spogliatoio è un suo grande merito) ma che non ha mai dovuto convivere con la necessità di vincere e solo vincere, che non si è mai misurato con le pressioni che ci sono qua adesso e che, alle prime difficoltà, non si sapeva se avrebbe avuto le risorse per superarle di slancio. Eppure lo hanno messo su una barca in cui lui, tecnico di 60 anni, dovrà essere giudicato da un direttore di 29. Sono stranezze che si potevano evitare.

Tutto questo con una postilla che riguarda Roberto Muzzi, il quale ha avuto un peso determinante nella scelta di Mariotti e nell'arrivo di Tromboni ad Arezzo. I dirigenti giurano che Muzzi, il quale vede tutte le partite e molti allenamenti della prima squadra, non mette bocca sulle questioni tecniche, però poi va a finire sempre che la sua parola conta. Magari è un caso per davvero, magari no. Resta quel margine di ambiguità che dura dall'anno scorso e che va risolto in un modo o nell'altro. Muzzi non è un pinco pallino, ha giocato più di 300 partite in serie A, ha il patentino Uefa Pro, ha allenato all'estero e in B in Italia, conosce il calcio, è uno di cui la proprietà si fida: se deve decidere, che decida. Basta dirlo.

 

 

Per chiudere. Comunicare bene le cose è importante quanto farle. E a quest'Arezzo manca attitudine. In un momento così, se si convoca una conferenza su un tema bollente come il nuovo ds, sapendo che la platea non la prenderà nel modo migliore, si dicono quattro robe preparate prima con cura. E basta. Ai tifosi si dà ragione a prescindere, perché i tifosi nonostante la retrocessione sono presenti in massa a ogni partita. E si dà loro ragione per convinzione (meglio) o anche solo per diplomazia. Ciò che è successo ieri, con l'irruzione in sala stampa, è figlio di una frase equivocata, quella sui rumors della piazza che non aveva alcunché di accusatorio, e di una frase fuori luogo, quella sullo striscione. Il dopo nasce dall'incazzatura della gente, dalla reazione di Manzo, dalla tensione che si annusa nell'aria.

 

Tutti sanno che le società di calcio sono del popolo. Le proprietà amministrano un bene comune e lo amministrano pro tempore. Quindi lo stadio è casa di tutti. Lo sa pure Manzo, che deve imparare a mordersi la lingua ma al quale non sembra appartenere la protervia di qualche suo predecessore. Anzi, sulla buona volontà del club, ribadita ieri da Gentile con il cuore in mano, non ci sono troppi dubbi. L'Arezzo 2021/22 stava rimettendo insieme i cocci con apprezzabile costanza e iniziative condivisibili, ma è molto più razionale, lineare nelle scelte che riguardano il contorno (che pure è importante) piuttosto che il campo. E' un dettaglio che pesa purtroppo. E infatti la partita con il San Donato è già decisiva. Dita incrociate e speriamo bene. Magari da domenica svoltiamo.

 

scritto da: Andrea Avato, 17/11/2021





Presentazione del nuovo direttore sportivo Cristiano Tromboni
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