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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
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Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
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Alessio, Leonardo, Emanuele sulle montagne russe di Mirabilandia
NEWS

Giovanni Cappietti, l'uomo dei conti

L’amministratore delegato dell’Arezzo, affermato commercialista, è il nipote di Piero Mancini e ha il compito di far quadrare i bilanci: “La società costa dieci milioni all’anno, eppure ci criticano perché non spendiamo”. Pieroni, Fioretti, Somma, Gustinetti, Sarri, i giornalisti, i tifosi, calciopoli: pentimenti, ammissioni e rivendicazioni di merito



Giovanni Cappietti nel suo studio da commercialistaGiovanni Cappietti, amministratore delegato dell’Arezzo calcio, è un affermato commercialista con un elegante studio nel cuore della città. Nipote di Piero Mancini, leggenda vuole che rappresenti una sorta di coscienza critica all’interno della società. Laddove il presidente si lascia trasportare dall’irruenza e dall’impulsività del suo carattere, Cappietti interviene con il pragmatismo derivato dagli anni passati a far quadrare numeri e bilanci. La cosa gli riesce anche bene, se è vero che proprio grazie ai conti in perfetto ordine l’Arezzo si guadagnò il ripescaggio in C1, nell’estate del 2003, annullando la retrocessione appena consumata sul campo e gettando le basi per la clamorosa, inattesa ed entusiasmante promozione in serie B, quella di Mario Somma per intenderci, che però fu fatto fuori a fine stagione con un atto di puro masochismo. La responsabilità, per molti la colpa, fu di Vittorio Fioretti, l’allora diesse che oggi è di nuovo sulla bocca di tutti perché il suo ritorno in viale Gramsci viene considerato alla stregua dello scudetto all’Inter: molto probabile. Di tutto questo e anche di altro Cappietti ha parlato nell’intervista che segue. Un terzo grado a tutti gli effetti in cui non sono mancati pentimenti, ammissioni e orgogliose rivendicazioni di merito.

Dottor Cappietti, le chiedo innanzitutto se c’è un fondo di verità nelle voci che vogliono l’Arezzo in procinto di cambiare proprietario.

“Tutto falso, sono soltanto voci da avvoltoi di classifica. Quando una squadra si trova nella situazione attuale dell’Arezzo, deve fronteggiare diverse difficoltà e qualcuno evidentemente si diverte a martellarla ancora di più. Non c’è alcun fondamento in queste chiacchiere”.

Mai conosciuto Francesco Gaetano Caltagirone, immobiliarista nonché editore del Messaggero e del Mattino, che per qualcuno era a un passo dal rilevare l’Arezzo?

“Non lo conosco. Posso dire però che lo incontrerei volentieri, visto il suo ruolo nell’economia italiana”.

Mancini non lascia.

“No, anche se nelle società di calcio, a differenza di quanto avviene nelle altre aziende, la certezza che la proprietà duri nel tempo non esiste. Detto ciò, le esternazioni estive di Mancini sono state enfatizzate oltre misura. In realtà si trattava solo di uno stato d’animo figlio della stanchezza, dello stress che comporta fare il presidente in una città medio piccola come Arezzo. Lo sciacallaggio che ne è seguito non mi è piaciuto per niente”.

Mancini però sostiene in ogni occasione che, se arrivasse l’offerta giusta, l’Arezzo lo venderebbe pure domani.

“E’ una cosa diversa. Un conto è manifestare un disagio per le pressioni a cui è sottoposto Mancini, per le critiche anche feroci che arrivano. Di tutt’altra natura è l’accanimento contro la presidenza, che spesso ha radici extra sportive”.

La visibilità di un presidente di calcio offre più svantaggi che vantaggi?

“Diciamo che lo sport in generale e il calcio in particolare attirano un’attenzione fortissima, con le conseguenze che ne derivano e di cui parlavo prima. Certo, ci sono anche gli onori oltre agli oneri. Non posso negare che a livello di sensazioni, di adrenalina pura, il calcio è impareggiabile e rappresenta un importante biglietto di visita. Mi è capitato, in alcune riunioni di lavoro, di trovarmi a parlare di calcio per rompere il ghiaccio. E’ anche vero, d’altro canto, che gestire un club come l’Arezzo richiede tanti soldi e tanto tempo. Tempo qualificato, si badi bene. Con tutti i controlli che ci sono oggi da parte degli organi pubblici, federali, di Lega, bisogna curare alla perfezione ogni minimo dettaglio. E quando si arriva a fine stagione, la stanchezza è tanta”.

Mi chiedo allora per quale motivo un imprenditore che ha da curare le sue aziende decida di acquistare un club di calcio, ben sapendo che portarne avanti la gestione quotidiana è un lavoro improbo.

“Da fuori sembra che il calcio si esaurisca in quei novanta minuti allo stadio e negli allenamenti della settimana. Poi ci finisci dentro e capisci che così non è. Per quanto riguarda noi, fu un caso. Partimmo con la sponsorizzazione all’Arezzo di Bovini e in pochi mesi ci ritrovammo alla guida, Mancini come presidente e il sottoscritto nel ruolo di amministratore delegato. Posso dire tranquillamente che alla base del nostro ingresso ci fu l’incoscienza, oggi sostituita da altri sentimenti, fra i quali anche l’orgoglio di gestire una società così importante”.

Una domanda che si fanno in molti: con il calcio si guadagna o no?

“Non credo che ci sia in Italia un solo imprenditore che ha fatto i soldi con il calcio. Il calcio di per sé è una perdita, non ci sono alternative. Difatti stimo molto quegli imprenditori che, senza un impero alle spalle, riescono o sono riusciti a mandare avanti le società”.

Tipo?

“Pastorello del Verona per esempio”.

E allora perché in tanti si buttano in quest’avventura?

“Per la visibilità, che soprattutto in certe piazze diventa una risorsa inestimabile”.

Il ragionamento vale anche per l’Arezzo?

“In parte. Arezzo è una piazza sui generis e noi forse non siamo stati troppo bravi a comunicare. In questo recito il mea culpa, perché tante belle cose che abbiamo fatto sono passate quasi sotto silenzio. Di sicuro c’è che la presenza nostra nel club non ci ha portato chissà quali benefici, anzi. Gli aretini sono criticoni, anche se è il gioco delle parti e bisogna accettarlo”.

Tra le belle cose quali possiamo citare?

“Due soprattutto: l’organizzazione della società, che fa fronte a tutti i doveri nei confronti di Lega e Federcalcio, e il settore giovanile ampliato, rinnovato e potenziato. Mi auguro di aumentare ancora di più la collaborazione con le altre società della zona”.

Prima parlava di tempo. Quanto gliene porta via l’Arezzo?

“Ci sono delle giornate in cui lavoro solo ed esclusivamente per la società. Se il sabato la squadra perde la partita, è rovinato il mio weekend e l’inizio della settimana successiva. Ma al di là dell’aspetto sportivo, c’è tanta carta da fare. Documenti e formalità burocratiche sono le basi vere su cui costruirsi un’immagine”.

Che ha rapporto ha Cappietti con Mancini?

“Abbiamo due estrazioni quasi opposte. Lui è un imprenditore, un fantasioso che vola subito sull’idea del momento. Io sono legato alla concretezza, ai numeri. Tra noi c’è un rapporto d’affetto che va al di là della parentela, collaudato negli anni. Mancini è un passionale, io sto con i piedi per terra”.

Per qualcuno l’Arezzo spende poco, per altri fa il passo secondo la gamba. La colpa o il merito sono suoi?

“Il nostro dovere è salvaguardare il futuro della società e non è affatto vero che chi spende di più, ha più successo. Nel calcio non funziona così, non bisogna spendere tanto, bisogna spendere bene. Le risorse economiche investite nella nostra gestione sono state ingenti, credetemi, e hanno seguito sempre una precisa programmazione”.

Insieme allo zio Piero ManciniCurioso che una delle critiche più frequenti mosse alla gestione Mancini sia proprio la mancanza di programmazione.

“Mettiamoci d’accordo, cosa si intende per programmazione? Pianificare le risorse? Noi l’abbiamo fatto. Organizzare i quadri societari? Abbiamo fatto anche questo, sia per la parte amministrativa che tecnica. Poi è evidente che quando i risultati ti portano a sostituire il direttore sportivo, cambiano a catena molte altre cose. Questo è stato forse il nostro problema più grande. Se non ci fosse stata programmazione, per chiudere l’argomento, non esisterebbe un settore giovanile e da Arezzo non sarebbero passati i grandi giocatori che abbiamo avuto”.

Che però sono rimasti poco. Il discorso vale anche per gli allenatori: una stagione e poi via. Perché?

“Perché non è mai accaduto che gli allenatori potessero convivere per più di un anno con i direttori e i consulenti sportivi”.

Fioretti e Somma, Pieroni e Gustinetti. A rimetterci sono stati gli allenatori in entrambi i casi.

“La società ha dovuto schermare certe situazioni e di fronte all’incertezza se confermare o meno un tecnico, ha preso le sue decisioni”.

C’è pentimento da parte vostra per non aver tenuto Gustinetti?

“Diciamo che personalmente mi sto rendendo conto di una cosa: squadra che vince non si cambia. Optammo per un altro tecnico, giovane e smanioso di far bene, perché l’organico era stato confermato per tre quarti. C’erano fondamenta solide, ma è andata diversamente da come speravamo”.

Tornando ai numeri. Quanto costa all’anno la gestione dell’Arezzo?

“Dieci milioni”.

Le risorse invece a quanto ammontano?

“Di risorse certe ce ne sono poche. Ormai il calcio si fa soltanto con la cessione dei diritti televisivi. Mi duole ammetterlo ma è così. La B oltretutto è una cenerentola senza una precisa identità, che va avanti grazie alla mutualità straordinaria della serie A”.

L’Arezzo su quali ulteriori entrate può contare?

“Abbonamenti, incassi settimanali, ma sono cifre relative. Di pubblicità entra meno di un milione all’anno. E a fine stagione la proprietà deve far fronte alla situazione con un esborso notevole”.

Per fortuna che negli ultimi anni le cessioni di Pasqual, Spinesi e Abbruscato, per citarne tre, hanno fruttato diversi soldi.

“Anche qui devo precisare: un conto è la cessione del giocatore, un altro la riscossione del denaro, che avviene in modo dilazionato nel tempo. Le critiche che ci arrivano per i risultati del campo le posso accettare, quelle sulla società che non spende sono assurde”.

Esiste secondo lei, ad Arezzo, un altro imprenditore che possa prendere il posto di Mancini?

“Qualcuno potrebbe esserci. E aggiungo che la società, semmai, la lasceremmo solo a un aretino. La città ha perduto tante cose in questi anni, non deve perdere anche la squadra di calcio”.

Non pensa che l’Arezzo stia facendo poco per i suoi tifosi, poche iniziative, pochi segnali di distensione?

“Non sono d’accordo. Innanzitutto questa società ha fatto una cosa grandissima per i tifosi: ha riportato la squadra in serie B”.

Giusto. Io mi riferisco ad altro però, anche al costo dei biglietti per esempio o alla presenza di vostri punti vendita non solo in città ma anche in periferia.

“Disponibilissimo a muovermi in questa direzione. Purtroppo non ho la bacchetta magica, ai tifosi chiedo un aiuto concreto: che ci segnalino le loro esigenze. Io ho tentato di aprire punti vendita dell’Arezzo in provincia e non ci sono riuscito perché ho avuto collaborazione uguale a zero”.

Per Arezzo-Milan un biglietto di curva costava 20 euro. Non è troppo?

“Con ordine: la campagna abbonamenti estiva aveva prezzi contenuti e agli abbonati abbiamo concesso la possibilità di comprare i biglietti senza maggiorazioni. Gli altri hanno pagato di più, è vero, ma Arezzo-Milan era uno spettacolo speciale e solo per questo c’è stato un rincaro dei tagliandi”.

Estate 2006, nella sede di Banca EtruriaCome definirebbe il rapporto dell’Arezzo calcio con la stampa?

“Molto migliorato da due anni in qua. L’Arezzo in serie B ha portato un incremento del numero dei giornalisti e della qualità del lavoro nelle redazioni. La fortuna sportiva di una società è la fortuna di un intero territorio, non dimentichiamolo. La stampa deve informare in assoluta libertà e autonomia, spiegando e anche criticando, ovviamente nelle dovute maniere”.

La vicenda degli accrediti ritirati ad alcuni colleghi, però, tutto sembra fuorché un aiuto alla libertà d’espressione.

“Non è così. Accade purtroppo che qualcuno si nasconda dietro alla libertà di stampa per utilizzare l’informazione in modo distorto e lesivo della reputazione di altre persone. In tali casi la società non può non ricorrere a querele o denunce o, in estremo, al ritiro degli accrediti. Ma lungi da noi la volontà di imbavagliare i giornalisti”.

Quanto cambierebbero le prospettive dell’Arezzo nel caso di una malaugurata retrocessione?

“Cambierebbero drammaticamente. Sela B, come ho detto prima, è una cenerentola, la serie C è ancora peggio. La retrocessione sarebbe una botta tremenda per i tifosi e per la città, non solo per il club. Per questo non voglio nemmeno prenderla in considerazione un’eventualità del genere, preferisco confidare nell’aiuto e nel sostegno di tutti per risalire la classifica”.

E allora ipotizziamo che l’Arezzo riesca a salvarsi. Alla luce di quanto detto su Gustinetti, Sarri verrebbe confermato?

“Sarri è arrivato in un momento difficile e si è conquistato una considerazione importante da parte dello spogliatoio e della società, grazie a un lavoro lucido e meticoloso. In più ha il grande pregio di essere figlio di questa terra”.

La sua conferma quindi dipenderà dai risultati?

“Oggi abbiamo una spada di Damocle sulla testa, siamo concentrati solo su questo”.

La fiducia di Mancini e Cappietti nei confronti di Pieroni è sempre la stessa?

“Sì. Ho sempre detto, e lo ripeto, che Pieroni è l’uomo di calcio più competente che abbiamo avuto ad Arezzo. Conosce il mercato, conosce i meccanismi di una società, deve solo liberarsi del suo passato e conquistare con i risultati la piazza di Arezzo”.

La recente radiazione di Pieroni, disposta dalla Federcalcio, cosa comporterà nel rapporto tra lui e voi?

“Dal punto di vista umano non cambierà niente. Pieroni è un consulente esterno che stimiamo e sul quale facciamo conto per le scelte di natura tecnica. L’anno scorso sapevamo della sua squalifica, ma ci trovammo nella necessità di avere un uomo di calcio che ci desse una mano. Di Pieroni ci colpì il curriculum, pieno di vittorie, e la voglia di tornare al lavoro. Fu una scelta controcorrente la nostra, è vero, ma il coraggio non ci manca. Difendere chi è leale con noi non mi spaventa, l’Arezzo è una società pulita”.

Il ritorno di Vittorio Fioretti aleggia nell’aria da qualche settimana. C’è del vero o sono voci infondate anche queste?

“Fioretti è rimasto in buoni rapporti con Mancini e il presidente, secondo me giustamente, si confronta spesso con lui. Ma si confronta anche con altri”.

Qualche domanda su calciopoli. L’Arezzo inizialmente si costituì parte terza nel primo troncone del processo, poi è passato sul banco degli accusati. Non è stato contraddittorio questo atteggiamento?

“Il costituirsi parte terza fu deciso in mia assenza, io ero all’estero. Non ci ha giovato forse, ma ci è comunque servito per prendere visione delle carte e della modalità di svolgimento del processo”.

A distanza di settimane, come se lo spiega il -6 inflitto all’Arezzo? Accanimento della procura, complotto, giochi di palazzo: cosa?

“L’Arezzo è stato trattato come l’ultima ruota del carro e non è vero che l’avvocato D’Avirro ha sottovalutato i rischi che stavamo correndo. Piuttosto dico che ci hanno inflitto un -6 nonostante avessimo dimostrato che la partita Arezzo-Salernitana non era truccata”.

Complotto?

“Scarso peso politico della città, mancanza di potere a certi livelli”.

Quanto c’è di suo nell’Arezzo di oggi?

“Sono arrivato da estraneo, il calcio non lo conoscevo. Oggi sono un tifoso vero a tutti gli effetti. Non l’avrei creduto”.

Gioco della torre. Chi butta di sotto, Titomanlio o Meani?

“Li butto entrambi”.

Somma o Gustinetti?

“Somma. E’ bravo ma difficile da gestire”.

Fioretti o Pieroni?

“Uno è il passato, l’altro il presente. Non posso scegliere”.

Abbruscato o Floro Flores?

“Floro mi perdonerà, però tengo su Abbruscato perché con lui avevo un feeling particolare. L’ho visto crescere, ha lasciato un grande ricordo”.

scritto da: Andrea Avato, 25/01/2007