Paolo Indiani confermato sulla panchina amaranto

Il 6 giugno 2022 il tecnico di Certaldo sbarcava nel mondo amaranto a modo suo. Senza ansie, con coraggio, auspicando di vincere il campionato con un mese d’anticipo e riportare cinquemila persone allo stadio. Impresa centrata. La capacità di stare sul pezzo, l’abilità nel valorizzare i giovani, la cura dei dettagli e quei concetti bruschi che hanno spinto il dg Giovannini, suo mentore, a muovere qualche rimbrotto nel corso della stagione: a quasi 69 anni l’allenatore amaranto ha raggiunto l’obiettivo della serie C e adesso è pronto per tentare un’altra sfida. Perché il calcio, come il destino, ha più fantasia di noi

Un anno fa Paolo Indiani sbarcava nel mondo amaranto e lo faceva a modo suo. Senza paure, con un coraggio sfumato nell’incoscienza. Il 6 giugno 2022 l’Arezzo non godeva del vento alle spalle come oggi, diffidenza e scetticismo viaggiavano a braccetto e le tossine delle due stagioni precedenti non erano state smaltite. Ma il mago di Certaldo aveva una fama che lo precedeva e un’età che gli consentiva di fregarsene delle contingenze. Con 9 promozioni nel curriculum, non esisteva ombra in grado di metterlo sulla difensiva, filosofia che ha sempre combattuto anche in campo. In più c’era l’altro Paolo a dargli quelle sicurezze che la gente, da fuori, poteva solo auspicare.

“La presenza del direttore Giovannini è stata fondamentale per portarmi qua – disse Indiani ai giornalisti. Ci conosciamo, ci fidiamo l’uno dell’altro ma questo non ci esime dall’ottenere i risultati. Ad Arezzo bisogna vincere e solo vincere. E non è una responsabilità che mi spaventa. Anzi, mi piacerebbe riportare tanti tifosi allo stadio: più gente c’è, meglio è”.

Chiaro e diretto, come d’abitudine. Indiani confessò che avrebbe voluto vincere il campionato con un mese d’anticipo e riportare cinquemila spettatori al Comunale. Sembrò una sboronata, invece il tempo gli ha dato ragione: promozione conquistata a tre settimane dalla fine, davanti a 6.500 persone in festa. Chapeau.

Il tecnico che l’Arezzo aveva corteggiato più volte in passato, è uno che avrebbe potuto (dovuto) arrivare in A e invece il titolo di maestro se l’è guadagnato tra serie D e serie C. Così va il calcio e non sempre c’è una spiegazione logica per quel che accade. Il luogo comune dice che alla fine ognuno ottiene ciò che merita ma è, per l’appunto, un luogo comune: vi è un fondo di verità che però non basta a incasellare tutte le variabili della vita.

Resta il fatto che mister promozione ha assicurato di non coltivare rimpianti, se non quello di aver trascurato la famiglia per il pallone. Ma è in buona compagnia e trattasi di un effetto collaterale che non può essere gestito. Quest’anno, come sempre, si è dedicato anima e corpo alla squadra, mentre Giovannini aggiustava e mediava, quando ve n’era necessità, dietro le quinte. “E’ per questo che andiamo d’accordo – ha ammesso Indiani. Lui mi toglie tutte le incombenze fuori dal campo e io posso dedicarmi a ciò che mi piace di più”.

Tra i due c’è una stima professionale di vecchia data che sconfina nell’amicizia personale, anche se gli approcci alle cose di calcio sono diversi. Non a caso, in stagione, il direttore generale ha dovuto muovere alcuni rimproveri al tecnico. Come quando, dopo la sconfitta interna con il Tau, chiese “meno parole e più autocritica”. Rimbrotti bonari ma fermi, interpretati nel modo giusto.

In questo anno di lavoro, Indiani ha confermato di essere sul pezzo. Si aggiorna, allena e non delega come certi suoi coetanei, ha ancora il sacro fuoco dentro che la squadra assorbe come una spugna. Riesce a conciliare bel gioco e risultati, cura ogni dettaglio, non è diplomatico, a volte è brusco nei concetti. Il merito più grande che si riconosce, ed è verità, è la valorizzazione dei giovani. Il che per l’Arezzo rappresenta un tesoretto prezioso, unito al fatto che l’allenatore è sì un fautore del 433 ma in carriera ha giocato pure con moduli diversi, dal 343 al 352, che l’anno prossimo potrebbero tornare buoni.

A dodici mesi dal suo arrivo in amaranto, Indiani ha fatto quello che doveva fare. Ha vinto, ha rinnovato il contratto, proverà a vincere ancora. Forse non subito, poi l’anno prossimo chissà. Dalla C alla B il salto non gli è mai riuscito, magari si toglie lo sfizio a 70 anni. Il calcio, come il destino, a volte ha più fantasia di noi.