Simone Venturi in maglia amaranto

Il nome dell’ex terzino, oggi allenatore del Tau, è legato all’ultima vittoria interna contro gli emiliani: “Pierobon chiamò la palla ma io entrai in scivolata e la buttai dentro. Per colpa mia ci mandarono tutti in ritiro. A Ferrara ho respirato clima da calcio vero, in amaranto ci arrivai grazie a Sabatini, un artista assoluto. Domani sera è delicata per tutte e due le squadre, potrebbero deciderla Gucci o Antenucci. Giovannini e Indiani sono una garanzia, i risultati verranno. Io non demordo, mi piacerebbe arrivare tra i prof”

Oggi allena il Tau Altopascio in serie D dopo essersi costruito una lunga e apprezzata esperienza nella massima categoria dilettanti. La settimana scorsa ha fatto il colpaccio all’Ardenza contro il Livorno e la sua squadra è in piena zona playoff, nelle prime posizioni di quel girone E che qua ben conosciamo. Il nome di Simone Venturi, 52 anni, ex terzino destro di grande spinta e forza fisica, è legato a doppio filo alla sfida con la Spal. L’ultima vittoria amaranto al Comunale è datata 9 novembre 1997 e lo zampino ce lo mise proprio lui, che all’epoca giocava in biancazzurro e che deviò nella propria porta un cross di Baiocchi all’87’. Venturi, due anni dopo, si trasferì ad Arezzo, dove rimase per tre stagioni.

Te lo ricordi quel pomeriggio di 26 anni fa?

Benissimo. Pioveva, faceva freddo. Fu una partita equilibrata fino a quando non arrivò quella palla nella nostra area. Pierobon, il portiere, la chiamò ma io entrai in scivolata lo stesso e la buttai in porta. Venne fuori un casino.

Perché?

De Biasi a fine partita era furioso. Non avevamo giocato bene, ci tolse il giorno libero e ci fece tornare in pullman a Ferrara. Io mi ero organizzato per andare a casa, in tribuna c’era mia moglie. E invece saltò tutto.

Impressioni di Arezzo e dell’Arezzo?

Mi colpì una cosa. Che tra pubblico e squadra c’era un feeling molto forte, in campo si avvertiva questo. Cosmi invece quel giorno non lo notai. Fu stranamente moderato in panchina…

Oggi sei un allenatore, vedi il calcio da un’altra prospettiva. Le tre stagioni con la Spal cosa ti hanno lasciato?

Il ricordo di un ambiente dove si respira calcio vero. La Spal aveva fatto la serie A prima che ci arrivassi io e l’ha rifatta anche dopo. C’era già all’epoca un’organizzazione perfetta, un centro sportivo di livello. Prima squadra e giovanili si allenavano insieme, avvertivi un senso d’appartenenza incredibile. Difatti i tifosi a Ferrara non dicono “vado allo stadio” ma “vado alla Spal”. Lì sono cresciuto tecnicamente, tatticamente, umanamente.

Perché poi venisti via?

Con De Biasi eravamo andati alla grande. Vincemmo la C2 e una Coppa Italia. E se non si fa male Cancellato, che era il nostro bomber, forse facciamo anche il salto in B… Poi arrivò D’Astoli e con lui non legai per niente, non per colpa mia. In estate dovevo andare al Genoa, non mi lasciò partire e poi mi fece giocare pochissimo. Così a gennaio, quando mi cercò l’Arezzo, accettai.

Ti prese nientepopodimeno che Walter Sabatini.

Un artista del calcio. Vede autostrade dove gli altri vedono i sentieri.

Come i grandi trequartisti.

Ma lui in effetti è un fantasista. Quando parla, sa toccarti nel profondo. E oltretutto mi prese rotto.

E’ vero. Arrivasti infortunato.

Il caso volle che una delle poche presenze, D’Astoli me la fece fare a Cremona, a ridosso del mercato. Giocai e mi strappai. Impiegai tre mesi per rimettermi in sesto.

Da Ferrara ad Arezzo. Quanto fu grande il cambiamento?

Abbastanza. Alla Spal, l’ho detto, era tutto organizzato nei dettagli, quasi asettico. Il primo giorno in amaranto entrai nello spogliatoio e dopo poco arrivò Serse. Mise un cd di musica brasiliana a volume altissimo e tutti cominciarono a ballare. Io rimasi spiazzato, capii che lì funzionava diversamente. Ma ci misi poco ad ambientarmi.

Qualche flashback interessante?

Il primo che mi viene in mente è Tardioli che sta due ore a consolarmi mentre piangevo. Ero disperato, non riuscivo a guarire dall’infortunio.

Però rientrasti in tempo per i playoff.

Le partite con l’Ancona mi fanno rosicare ancora oggi, specie quella di ritorno. Arbitrava Ayroldi di Molfetta: fermò Tarana mentre stava andando a segnare il 2-0, buttò fuori Bacci, nel primo tempo Rinino l’avevano preso a cazzotti e lui niente. Perdemmo 2-1, fu un peccato.

Più amaro quel playoff lì o quello dell’anno dopo perso con il Livorno?

Quello con l’Ancona. L’anno dopo arrivammo cotti a fine stagione, non c’erano tanti ricambi in rosa. Il Livorno invece aveva due squadre. All’Ardenza i tifosi livornesi misero lo striscione “grazie per l’allenamento” per prenderci in giro. Ancora ce l’ho qua.

Cosmi o Cabrini?

Come faccio a scegliere? Con Cosmi sono stato pochi mesi, con Cabrini di più. Tutti e due sapevano coinvolgerti, fare gruppo, darti qualcosa al di là del calcio.

Bazzani o Frick?

Una coppia spettacolare, insieme avrebbero fatto sfracelli. Fabio era un uomo d’area, dentro i sedici metri era immarcabile. Mario invece dava il meglio a campo aperto. Due bravissimi ragazzi.

Venturi esulta dopo il gol al Brescello

A Ferrara quell’anno ci tornasti da ex e vinse la Spal 2-1. Come ti accolsero al “Mazza”?

Bene, mi fece molto piacere. Quando me ne andai, nacquero polemiche forti. I tifosi non gradirono ma poi capirono le dinamiche di quella cessione. Mi hanno anche invitato per il centenario, non me l’aspettavo.

L’ultimo anno di Arezzo fu meno bello, sia per te che per la squadra. Cos’è che non funzionò?

Cambi di allenatore, spogliatoio diviso in gruppetti. Mi presi tante situazioni sulle spalle, per fortuna ci salvammo ai playout a Carrara.

Eri il capitano.

Sì e ne vado orgoglioso. La prima volta che indossai la fascia, l’anno prima, feci gol al Brescello. Frick segnò una doppietta e dopo il gol di testa venne ad esultare da me, perché gli dicevo sempre che di testa non era capace.

Domani sera c’è Arezzo-Spal. Che partita ti aspetti?

Delicata per tutte e due le squadre, forse di più per la Spal. In rosa ci sono giocatori importanti, deve dare un segnale di riscossa dopo un avvio di stagione deludente. L’Arezzo è sull’altalena ma ci sta, ha tanti ragazzi giovani al debutto in categoria.

Indiani lo hai affrontato diverse volte in carriera. Che idea hai di lui?

In Toscana è un punto di riferimento, ha vinto dieci campionati e quando un allenatore ha questi numeri, non puoi che pensarne bene. Poi il tandem con Giovannini è garanzia di successo. Le difficoltà ci stanno ma l’Arezzo ne verrà fuori.

Giocatori decisivi domani sera?

So che ci saranno un po’ di assenti su entrambi i fronti. Dico Gucci da una parte e Antenucci dall’altra.

E il Tau quali obiettivi ha?

Far maturare i giovani del vivaio, disputare un campionato tranquillo. L’età media della rosa è di 21 anni, dobbiamo crescere piano piano.

Dopo dieci anni di serie D, ti senti un po’ sottovalutato come allenatore?

Qualcuno me lo ha detto che sono sottovalutato e non so se sia un complimento o un’offesa. Credo di essere migliorato nel corso degli anni e quindi mi sentirei pronto per lavorare tra i professionisti. Però ho imparato che per qualche allenatore il percorso è rapido e virtuoso, per qualcun altro è lungo e tortuoso. Io appartengo alla seconda schiera. Ma non demordo.