La classe, l’eleganza, la grinta, i sorrisi, le difficoltà, il dolore, il coraggio, le lacrime, l’addio, il ricordo

Caro Lauro,

c’ero il 24 aprile 1994 a Corciano. La tua prima partita in amaranto. Ellera-Arezzo 3-0 in serie D: loro già retrocessi ma feroci, noi già salvi e in ciabatte. Segnò anche Nofri, tuo futuro capitano. Esordisti con la 10 sulla schiena. Caracollavi su e giù per il campo, con quella corsetta sdinoccolata che ti ritrovavi. Testa alta e palla attaccata al piede, un po’ regista e un po’ mezz’ala, un po’ dietro a impostare e un po’ avanti a rifinire. Verso la fine, Gabasio si guadagnò una punizione fuori area. La calciasti tu sopra la barriera. Portiere immobile e bum, traversa piena. L’allenatore Pietro Fontana, in panchina, fece un gesto con la mano come a dire: “Però, questo è bravo”. La tua storia con l’Arezzo cominciò quel giorno, con una debacle indecorosa, quasi anticipando l’assenza del lieto fine.

C’ero il 17 settembre 1995 a Chianciano. La tua prima da titolare con Serse Cosmi in panchina, l’allenatore del cuore e anche, purtroppo, l’amico dei momenti difficili. Maglia numero 4, non solo tecnica ma anche grinta, combattività. Un centrocampista moderno si direbbe oggi e, forse, si diceva anche allora. Finì 1-1, ti ricordi? Avanti loro e pareggio nostro con Battistini, di testa, davanti al settore. Per l’esultanza venne giù la rete di recinzione, Graziani si arrabbiò: una multa salata, a quella società, faceva più male di una sconfitta. Ma i tifosi festeggiarono lo stesso.

C’ero l’11 maggio 1997 a Castelfranco Veneto. La tua partita più bella con l’Arezzo. Maglia numero 8, tuttocampista vero, qualità e quantità nonostante i dolori, la schiena a pezzi, gli antinfiammatori, le terapie. Stavi già lottando contro il male e non lo sapevi. 0-0 con il Giorgione, un paio di gol solo sfiorati perché il destino, oltre a tutto il resto, ti stava riservando un altro sgarbo: mai un gol in amaranto. Mai.

C’ero il 12 ottobre 1997 a Pontedera. Il fallo da rigore, le proteste, l’espulsione. La tua uscita di scena, il passo d’addio. Il sipario si chiuse alle spalle mentre tornavi negli spogliatoi con i riccioli mossi e lo sguardo mesto. Tirava un ventaccio quel giorno, fastidioso, irritante, presenza scomoda in un malinconico pomeriggio d’autunno. L’Arezzo perse 1-0 per colpa di quel rigore e non poteva esserci epilogo diverso. Chissà se l’arbitro Tullio di Avezzano lo ha mai capito che quel cartellino rosso gliel’aveva messo in mano direttamente la sorte. Ma ormai che importa?

C’ero il 14 giugno 1998 a Pistoia, quando non volevano farti entrare negli spogliatoi dopo la finale vinta con lo Spezia. C’ero il 31 maggio 1999 al Comunale quando i tuoi ex compagni organizzarono un triangolare per aiutarti, per raccogliere soldi per le cure. Ti presentasti con le gambe indolenzite, il passo incerto, i movimenti rattrappiti. Ma scherzavi e sembravi felice. C’ero il 15 febbraio 2004 ad Arezzo, allo stadio, quando lo speaker annunciò che te n’eri andato. E furono angoscia e sollievo, dramma e liberazione. Non ci avresti più fatto compagnia, non avresti più sofferto. C’ero due giorni dopo a Maranello, quando Graziani depose la tua maglia numero 6 al cimitero. Avevamo tutti gli occhi lucidi, gli stessi tuoi di quando ti spostavi sulla carrozzina, non parlavi più, e non si capiva se volevi ridere o piangere.

A volte ripenso a quando mi dicesti che la malattia si poteva sconfiggere, che non ti consideravi sfortunato, che non volevi la compassione di nessuno. Avevi venti giorni meno di me, avevamo 27 anni insieme, eravamo giovani e a quell’età si dovrebbe badare a come vivere e non a come sopravvivere. Ma tu lo speravi davvero che saresti tornato a giocare e non so se era follia o coraggio, incoscienza o esuberanza. So solo che eri un ragazzo come me, come noi che seguivamo l’Arezzo e che nella tua forza d’animo, nel tuo spirito, vedevamo un esempio da custodire con cura.

Sono passati vent’anni Lauro e sono passati in fretta. Ma qua c’è ancora tanta gente che ti vuole bene, una curva che non ti dimentica, che porta in giro le pezze e le bandiere con la tua faccia, con il tuo nome. Fosse possibile, ti inviterei allo stadio un’ultima volta. Per rimandarti in campo. E far vedere a tutti, anche a chi non ti ha conosciuto, come giocava a calcio Lauro Minghelli.