Silvano Fiorucci, qui con il dg Fabrizio Mortolini, sabato torna da ex

Il tecnico tifernate nel 2002/03 allenò gli amaranto in una stagione poco fortunata, culminata con la retrocessione. “Dell’esperienza al Comunale ho bei ricordi, purtroppo le sconfitte fanno parte della vita. Ma se il presidente Mancini non mi avesse mandato via, ai playout avremmo detto la nostra. Sono tornato per la quarta volta sulla panchina dell’Orvietana: la situazione era molto difficile, ora abbiamo una testa diversa. Convinto che faremo una bella partita contro la favorita per la promozione”

“Sono felicissimo di tornare a Orvieto. Se il mio periodo al Foggia lo posso considerare come l’apice della mia carriera, Orvieto la considero la mia seconda patria. Qui sto bene, l’ambiente lo conosco, conosco tutti, e quando ti richiamano per la quarta volta a dirigere una squadra non puoi che essere orgoglioso, evidentemente hai lasciato un buon ricordo, evidentemente hai fatto del tuo meglio”. Così Silvano Fiorucci parlava lo scorso 21 ottobre al Messaggero, in occasione della sua presentazione come nuovo allenatore dei biancorossi.

Tifernate di nascita, 65 anni, sta tentando la rimonta salvezza con la sua Orvietana, che dopo aver ottenuto un punto nelle prime sette partite, ha cambiato marcia con tre vittorie, quattro pareggi e tre sconfitte. Solo 7 i gol subiti e striscia di quattro risultati utili consecutivi. L’ultima battuta d’arresto è datata 27 novembre con il Ghiviborgo. Tutta un’altra storia insomma.

Mister, sabato tornerà ancora una volta al Comunale, come sta vivendo i giorni prima della gara?

Li vivo serenamente perché sarà una normale partita da tre punti, sia per noi che per loro. E’ ovvio che l’emozione c’è e ci sarà sempre ogni volta che ripenserò ad Arezzo, che è stata casa mia e ci ho lasciato amicizie importanti. Sono passati venti anni, sono un ex datato ormai.

Nonostante sia arrivata una retrocessione, possiamo dire che Arezzo e l’Arezzo rimarranno sempre nel suo cuore ?

Ovviamente sì. Le sconfitte fanno parte della vita, a volte può andare bene, altre volte male. In quel caso ci furono diversi cambi di panchina e non si poteva dare continuità nel lavoro. Eravamo in zona playout e credo ancora, a distanza di anni, che ci saremmo potuti giocare quella salvezza. Purtroppo il presidente Mancini fece altre scelte.

Silvano Fiorucci in panchina con l’Arezzo nel 2002/03

In che rapporti è rimasto con Mancini?

In buoni rapporti, ci siamo visti a Città di Castello a dicembre in occasione della partita e ci siamo salutati come due persone che hanno avuto un normale rapporto di lavoro.

Lei ad Arezzo indossò in panchina una maglia con la scritta “barcollo ma non mollo” che è sempre stato il motto della sua carriera. A distanza di anni, lo reputa ancora valido?

Quella maglia ha avuto un valore simbolico e una simpatia che sinceramente non mi aspettavo che suscitasse. Una mattina, mentre facevo colazione, vidi la maglia e me la misi nella partita contro la capolista Lucchese, vincemmo 2-0 con doppietta di Emiliano Testini. Da allora pensai che potesse portare fortuna. Il motto è quello che mi ha sempre accompagnato durante la mia carriera e sempre lo sarà. Ho 65 anni e sono ancora nel calcio, qualcosa vorrà dire. Oltretutto avendo sempre o quasi allenato squadre che lottavano per salvarsi, dico che è una frase che mi calza a pieno.

Tornando all’attualità: che idea si è fatto dell’Arezzo e cosa pensa di Indiani?

Indiani è il numero uno, un allenatore fantastico che ha un curriculum che parla per lui. In queste categorie è un assoluto maestro, anche se non lo conosco personalmente. Ma nella gara di Coppa Italia mi ha fatto un’ottima impressione dal punto di vista umano. L’Arezzo è una squadra fortissima che è lì a pochi punti dal primo posto. C’è un campionato da giocare e nonostante qualche passo falso, l’Arezzo rimane la favorita principale, poi è altrettanto vero che in campo non ci vanno i nomi ma le motivazioni e la fame di vincere. Mi auguro che da dopo il 7 gennaio possano fare benissimo (ride).

Che partita vorrebbe vedere da parte della sua squadra ?

Vorrei vedere una squadra senza paura e che se la gioca in maniera sbarazzina, senza pensare a difendersi ad oltranza. Stiamo crescendo e sono fiducioso, poi è ovvio che loro sono molto forti e può succedere di tutto, ma noi siamo carichi e affronteremo la partita sulla falsa riga della Coppa Italia. Queste sono gare che vorrebbero giocare tutti.

L’Orvietana è un’altra squadra da quando è arrivato lei, come è riuscito a cambiare passo?

L’esperienza è utile per lavorare sulla testa dei giocatori, qualche trucco credo di averlo imparato. Inoltre sono in un ambiente in cui sto benissimo, sono in totale sintonia con staff e società e anche questo è importante. Il destino ha fatto un giro strano ricomponendo l’accoppiata Fiorucci-Mortolini, il direttore che mi chiamò nel 2009: siamo due persone che si stimano sia a livello calcistico che umano. Il merito però va ai calciatori, qualcuno ha svoltato e il presidente Biagioli mi dà una grande mano e ci segue spesso. Tutto questo fa la differenza.

E’ giusto dire che Orvietana, Arezzo e soprattutto Foggia (come più volte ha dichiarato) sono le squadre più significative che ha allenato?

Ci metto pure il Benevento, con cui mi sono salvato ai play out contro la Nocerina da esordiente di serie C1, un’emozione unica, indescrivibile. Anche Città di Castello è stata importante per me, essendo la squadra della mia città e insieme all’esperienza di Benevento mi hanno dato la spinta per approdare ad Arezzo. Fra tutte però Foggia la definisco come la punta della mia carriera, il momento più alto che ho vissuto come allenatore. L’Orvietana per me è amore, dove ho il cuore e dove ho trascorso più tempo. Ottenere la salvezza chiuderebbe un cerchio.