Alessio Bifini in azione al Comunale nella stagione 95/96

Grossetano di nascita, ex fantasista di talento, ha legato il suo nome all’unica vittoria amaranto nel campionato di serie D: “Eravamo un gruppo unito, tutti con grande personalità. E infatti molti di noi, compreso me, sono diventati allenatori. Con Lauro ho dormito per un anno nello stesso letto, sapere che la curva porta il suo nome mi dà i brividi. L’Arezzo lo seguo, ha una rosa super competitiva ma il vero segreto è stata la forza della società nei momenti difficili”

Alessio Bifini era un fantasista delizioso, dotato di tecnica e visione di gioco. Stoppava palloni impossibili, dribblava in un fazzoletto di terreno, segnava ma sapeva anche rifinire per i compagni. Oggi, a quasi 48 anni, è un allenatore in cerca della dimensione giusta. Si è seduto in panchina a Grosseto, a Poggibonsi, a Sanremo, tutte piazze dove aveva giocato lasciando un ottimo ricordo. L’ultima esperienza a Civitavecchia si è chiusa a fine gennaio con un esonero improvviso e particolarmente amaro, ma il calcio è questo e non c’è da stupirsi.

Come va Alessio?

Ho metabolizzato l’ultima delusione, sono più carico di prima. Vedo molte partite di serie C e serie D, ho seguito con costanza anche l’Arezzo, come faccio da sempre.

Che impressione ti ha fatto?

La rosa è super competitiva, il mercato è stato impostato per tempo e con razionalità. E il direttore Giovannini ha un rapporto solido con Indiani, si vede. Quando la squadra ha attraversato un momento di flessione, il mister ha avuto una società paziente a schermarlo. So bene quanto sia importante.

Tu sei stato un giocatore di Indiani. Che ricordi conservi di lui?

Belli. L’ho avuto a Grosseto nella stagione 2002/03. Giocava con il 4312, poi arrivammo io e D’Ainzara e cambiò modulo, passando al 4321. Attaccare in avanti, intensità nell’allenamento sono princìpi che ho fatto miei. Allenatori come lui dovrebbero stare in serie A.

Come mai non è successo secondo te?

Non lo so. Di sicuro il mister ha sempre badato solo ed esclusivamente al campo. Il resto gli interessa poco.

Quest’anno a un certo punto ha cambiato faccia alla squadra, l’ha resa meno bella e più concreta. Te lo saresti aspettato?

In serie D non sempre essere belli porta i risultati sperati. In certi campi non si può giocare e quindi bisogna fare in un’altra maniera. Però ripeto, quando si è trovato a -5 dalla Pianese ha avuto una dirigenza che gli ha coperto le spalle. E oggi è primo in classifica.

Bramante, Convitto, Gaddini, Pattarello. Chi ti somiglia di più?

Direi nessuno. Due sono mancini e io ero destro. E poi sono tutti più veloci di me. Io ero più caracollante, più assistman. E forse avevo uno stile di gioco più spettacolare.

Ti chiedo come va a finire secondo te la stagione.

Da fuori dico che è indirizzata, anche se di mezzo c’è ancora lo scontro diretto. Nel calcio non si sa mai, però dovrebbe succedere un cataclisma per rovesciare la situazione.

il Bifo con la storica maglia sponsorizzata da Caffè River

Sai che l’unico campionato di serie D vinto dall’Arezzo risale ai tempi in cui giocavi tu?

Lo so e sarei doppiamente contento se la squadra di quest’anno facesse il bis. Il pubblico amaranto l’ho vissuto da vicino, ne conservo un ricordo straordinario. Poi conosco bene Nannizzi, il match analyst di Indiani. Abbiamo collaborato a Poggibonsi, è un gran lavoratore, un ragazzo per bene.

Più forte la tua squadra o questa di oggi?

Impossibile dirlo, sono epoche diverse. Noi avevamo meno under in rosa, la qualità media era un po’ più alta. Ma sono confronti difficili da fare.

Alla ripresa c’è Grosseto-Arezzo. Per chi tifi?

Sono grossetano, spero di cuore che il Grosseto si salvi. Adesso c’è una società forte e il presidente Lamioni merita di ottenere subito dei risultati. E spero pure che l’Arezzo vada in C. Il risultato della partita passa in secondo piano.

Lo facciamo un po’ d’amarcord?

Molto volentieri. Ad Arezzo ci ha vissuto dai 18 ai 21 anni, è la città della mia adolescenza, lì ho firmato il primo contratto da professionista. C’è un legame fortissimo.

Ti dico Minghelli.

Abbiamo dormito nello stesso letto per un anno intero, siamo stati amici veri. Sapere che oggi la curva sud porta il suo nome mi mette i brividi.

Ti dico Cosmi.

Un grande. A Indiani ho cercato di rubare l’organizzazione di gioco, a Serse il carattere, la capacità di entrare in sintonia con lo spogliatoio. In panchina mi sono scoperto sanguigno come lui.

Ti dico Semplici.

Un bravo ragazzo Leo, uno che nel suo staff ha collaboratori con cui lavora da una vita, da Rubicini a Fabbrizzi. Sono dettagli che la dicono lunga.

Di quella squadra, in tanti oggi fate gli allenatori. C’è un motivo?

Per vincere i campionati serve personalità. Per fare l’allenatore idem. E’ la conferma che noi ce l’avevamo.

Ti senti ancora con i tuoi ex compagni?

Praticamente con tutti. Siamo stati un bel gruppo fin da subito e l’effetto dura anche oggi. Ricordo che in appartamento eravamo in cinque: oltre a me e Lauro c’erano anche Bruni, Borghi e Di Loreto. Facevamo casino ma nel modo giusto. Poi la festa per la promozione in C2 fu uno spettacolo.

A settembre ci sono le celebrazioni del centenario. Sei ufficialmente invitato, lo sai?

Parteciperò con piacere. Ma forse allo stadio vengo prima, tornare ad Arezzo per me è sempre un’emozione.