Le conversioni a U di tanti compagni di fede calcistica, un’amministrazione comunale che dovrà sostenere con i fatti la società e non solo festeggiare a buon mercato, la fiducia nei confronti della dirigenza inversamente proporzionale a quella di pochi mesi fa, quando Manzo fu addirittura aggredito in tribuna. Il carro della vittoria è affollato e va bene così, in nome di quell’unità indispensabile per arrivare in alto. Ma che la storia sia d’esempio

Registro, con piacere, tante conversioni a U di compagni di Fede (e di alcuni amici), testimonianze di una ritrovata unità sul nostro Arezzo, risorto tra i professionisti dall’inferno della D. Impresa mai riuscita, se non ai tempi del mitico convento di Ciccio & Serse, ma allora con il concorso di Guidotti. Stavolta no. L’Arezzo ha vinto senza alcun concorso. Per la prima volta nella sua storia centenaria, la promozione è tutta sua e va festeggiata alla grande, senza puzza alcuna sotto il naso, da botoli che abbaiano alle zanzare.

Dunque popolo e Comune, società e giocatori, cittadini e istituzioni varie, gente da web e da Museo, tutti insieme sotto il Duomo e palazzo Cavallo, diventato palazzo Cavallino per l’occasione. Ai tempi così si fabbrica il consenso, che è il sale della Pollitika (no refuso) e nottetempo si era imbrachettata la Maratona, come si imbrachettò Michelangelo dopo il Concilio Tridentino. Noi? Siamo restati a casa a godere non di meno dei festanti in piazza, per non mischiarci ai tanti ex contestatori saliti sul carro della vittoria, senza memoria e senza pudore alcuno.

Sia ben chiaro e senza equivoci. Bene la festa di popolo e bene tutto, anzi benissimo, a parte qualche brontolio di stomaco. Tutto si sopporta per il nostro Arezzo e per l’unità cittadina, che è un valore fondamentale e da proteggere come i panda, a patto che duri e la storia che si racconta, sia fondata sui fatti. Solo così questa promozione, come ha detto il numero uno della società amaranto Guglielmo Manzo, sarà un punto di partenza. A questo proposito vogliamo vedere finalmente protagonista l’amministrazione comunale, non solo per festeggiare a buon mercato. Chi vivrà vedrà.

il presidente Guglielmo Manzo sotto la curva

Quello che è sicuro e che conta di più, è che la fiducia della piazza nel nostro presidente, oggi, è inversamente proporzionale a quella di ieri. Alleluia, alleluia, perché occorre partire proprio dalla società, per costruire un futuro all’altezza delle ambizioni, se non dei sogni (meglio sempre restare con i piedi per terra). Per questo e per togliermi qualche sassolino aguzzo dai piedi, sono venuto a dire la mia.

Il sottoscritto è stato tra i pochissimi che non ha voluto buttare a mare questa società, quando tutti invocavano la cacciata dei romani (come fossero tutti Matteoni) e l’unico (con Manzo) a prendersi i cori di vaffa, dall’Aventino della Minghelli in collina. Chi ha definito per primo l’arrivo della “Mosca Bianca” Giovannini (e poi di Indiani), una svolta a 360 gradi, faceva critica vedendo lontano. Quella dei primi due anni ai Manzo (& Co.) era già radicale e spietata nei fatti, che sono sempre ben più importanti delle parole. O no?

Nei fatti Guglielmo Manzo (giusto un anno fa vergognosamente aggredito in tribuna insieme alla sua signora in presenza dell’assessore, che non mosse un dito) era ed è lo stesso signore di oggi, che ha dimenticato, che ha resistito, che si è perfino doverosamente scusato per i primi due anni e che, comunque, ha sempre pagato i suoi formidabili errori di tasca propria. Non era affatto cosa da poco, per una società reduce da quattro fallimenti e con l’impresa totale ancora calda calda.

La critica? Chi mi conosce un zinzinino sa. Una cosa, però, è farla contro vento e contro tutti e un’altra farla per compiacere il popolo, a costo anche di buttare il bambino con l’acqua sporca. Per fortuna del nostro Arezzo, stavolta, il bambino si è salvato da solo, nonostante una critica (così autodefinita), che oggi si è ribaltata in consenso. Meglio, mille volte meglio così, cari compagni e amici di Fede, ma ristabiliamo la verità dei fatti, per consolidare quella unità di intenti che ha portato la città in piazza, a festeggiare il ritorno tra i professionisti del nostro amato Cavallino. Solo così possiamo arrivare in alto e, forse, anche lassù dove arrivano i sogni.