Contro la Juventus Next Gen c’erano in campo elementi esperti, eppure la sensazione è che la squadra abbia peccato di superficialità e presunzione. Pagando con la sconfitta. C’è da battersi il petto e constatare che continuità di rendimento e solidità difensiva restano obiettivi non raggiunti. Intanto il consenso unanime di un anno fa su Indiani si è affievolito: l’allenatore ha le sue responsabilità sulla stagione altalenante della squadra ma è anche uno con 405 panchine di C alle spalle, che dalla C non è mai retrocesso e che quest’anno non è mai stato nelle ultime 5 posizioni. C’è da soffrire, bisogna farlo con equilibrio

COSI’ NO – L’impressione è che sia stata la classica partita presa sotto gamba. Un quarto d’ora apprezzabile e poi, dopo il clamoroso autogol dell’1-0, la squadra è sparita dal campo. Gli avversari sempre primi sulla palla, più vivaci, più combattivi, più volenterosi. Come se dalla parte amaranto ci fosse stata la presunzione di vincerla a prescindere. E invece i ragazzini della Juventus (nove giovani da minutaggio nella formazione iniziale) possono metterti in difficoltà, specie se l’asticella dell’agonismo non si alza. E’ andata proprio così.

MEA CULPA – L’espulsione di Mawuli (che in verità aveva rischiato il rosso in occasione della prima ammonizione) ha ulteriormente complicato le cose e le fiammate finali sono state aleatorie, anche se perlomeno qualche sprazzo di reazione si è intravisto. C’è solo da battersi il petto stavolta, nonostante l’undici scelto da Indiani fosse quello più logico, condivisibile ed esperto. Nell’ultimo periodo l’allenatore ha abbandonato il turn over profondo utilizzato a inizio stagione e si è indirizzato su un undici base, limitandosi a modificare un paio di pedine, spesso per cause contingenti. Il fatto che la prestazione l’abbiano steccata Foglia e Settembrini, Gucci e Pattarello, ma in generale quasi tutta la squadra, aggiunge delusione alla sconfitta con il più alto tasso di rimpianti dell’annata.

MERITAVANO DI PIU’ – E’ una brutta battuta d’arresto, che zavorra la classifica e lascia l’Arezzo su una scomoda altalena. Sarà banale, ma quei 40 tifosi che si sono sobbarcati 800 chilometri per andare ad attaccare gli striscioni ad Alessandria (“entrate in campo con la nostra rabbia”) e incitare la squadra senza mettere piede allo stadio, avrebbero meritato un atteggiamento diverso. Poi le partite si possono perdere (e vincere) contro tutti in questo girone, ma quella traccia d’indolenza emersa al “Moccagatta” è una pessima compagna di viaggio.

BUCO MANCINO – Con l’assenza di Coccia, operato a Bologna, va tappata la falla a sinistra. Poggesi su quel lato si trova a mal partito ma più tradisce imbarazzi nel giocare sul piede debole e più Indiani lo piazza lì. A parte il lampo di Chiavari (gran gol), si ricordano tante difficoltà e pochi guizzi. E allora, se nel lotto dei pretendenti alla maglia è Poggesi il più affidabile, meglio mandare lui a destra e Montini dall’altra parte, che sembra più disinvolto nel trattare palla con il mancino. Adesso torna anche Renzi, c’è sempre Lazzarini e c’è Zona. Vediamo cosa succederà.

GOL A GRAPPOLI – Quella amaranto è la penultima difesa del torneo con 24 gol al passivo. Peggio ha fatto solo la Fermana (26), non a caso ultima in classifica. 24 gol li ha presi anche il Rimini, che però negli ultimi 5 match ha blindato l’area di rigore e ha subìto solo una rete a Pescara, mettendo insieme 4 vittorie e un pari che l’hanno fatto schizzare fuori dalla zona rossa. Ciò significa che sui difetti si può lavorare, che certe pecche si possono correggere, che un’assestata alla squadra si può dare. Ecco, sotto questo punto di vista fa specie vedere l’Arezzo continuare a concedere gol a tutti senza il minimo segnale di ravvedimento. Al di là dell’autogol di Masetti con la Juve, episodico, c’è lo storico stagionale che allarma. E Indiani a questo deve trovare un rimedio.

INDIANISMO – Sull’allenatore, si nota dopo ogni sconfitta ma a volte anche dopo un buon risultato, non c’è più l’unanimità di consensi di una volta. L’indianismo era andato in cocci perfino l’anno scorso, figurarsi adesso. Ma il calcio è così ovunque. L’Arezzo poi ha in panchina un tecnico di 69 anni che ha vinto 10 campionati (8 tra i dilettanti, 2 tra i prof), che ha convinzioni ferree e che non è un grande comunicatore. In quest’epoca in cui l’immagine conta tanto, l’ultimo è un difetto non da poco. Anche se sugli alti e bassi della squadra pesa di più la mancanza di quella solidità che Indiani non è ancora riuscito a trovare.

BUONSENSO – E comunque, prendendo di petto un refrain che lo accompagna da qualche tempo, suona bizzarra la tesi secondo cui l’allenatore sia uno da dilettanti piuttosto che da professionisti. Paolo Indiani (fonte transfermarkt) ha alle spalle 405 panchine tra serie C1, C2 e Lega Pro e, udite udite, non è mai retrocesso. Ha vinto due volte la C2, mai la C1 o C unica, ma l’Arezzo quest’anno deve mantenere la categoria, non salire in B. Indiani finora non ha azzeccato tutte le scelte, la gestione della rosa in qualche circostanza non è stata coerente e, a dirla tutta, non sembra nemmeno un allenatore aziendalista. Però l’Arezzo qualche buona partita l’ha giocata, il gruppo è coeso e la squadra in 15 giornate non è mai stata nelle ultime cinque posizioni. Non è garanzia che non succeda più avanti ma è il segnale che lo spogliatoio, pur con i suoi difetti, ha dei valori ed è vivo. Che ci sarebbe stato da soffrire, si sapeva. Bisogna farlo con equilibrio e senso della realtà.