Parto in treno da Arezzo, perdo la coincidenza di Orte per un minuto. Un tassista 78enne mi porta fino allo stadio di Terni, mentre ci scambiamo ricordi su Viciani e Somma. Gli steward mi guardano strano, poi mi fanno entrare in curva sud. Isso la mia bandiera su un manico di scopa, tifo, esulto dopo l’1-1 ma senza bicchieri di birra che rotolano, senza nessuno accanto, senza i ragazzi della Minghelli. Alla fine mi scortano alla stazione. Dico ai poliziotti che dobbiamo tutelare questo sport ma non sono sicuro di averli convinti
La trasferta di Terni era stata vietata dalla prefettura umbra ai residenti in provincia di Arezzo. Oggi però nel settore ospiti c’era un tifoso amaranto che da anni vive all’estero. E che ha voluto essere presente sugli spalti anche da solo, per testimoniare che la passione per la propria squadra è dura a morire. E che il calcio deve restare un patrimonio della gente. Gli abbiamo chiesto di raccontare la sua giornata speciale. Ecco il suo diario del 25 ottobre 2025.
Bandiera, sciarpa, cappellino, maglietta annata 2006/2007 a maniche lunghe e kway amaranto perché oggi a Terni sono previsti possibili rovesci. Partenza in treno da Arezzo, coincidenza a Orte persa per un minuto. Panico. Il centralino taxi di Orte, ovvero un tassista 78enne in pensione, mi comunica che gli unici due colleghi sono indisponibili, per cui si offre di portarmi lui fino allo stadio a Terni. 30 minuti di tratta rimbalzandoci memorie calcistiche, dalla grande Ternana di Viciani alla cavalcata gloriosa dell’Arezzo con Somma.
Ore 14.15 mi scarica allo stadio Liberati di Terni. Tento al primo steward: “Sono il tifoso ospite”. “Il settore ospiti oggi è chiuso”. “Ma io ho il biglietto per il settore ospiti, curva sud”. “Oggi il settore è chiuso, devi andare nei distinti, ora sento il collega”. Faccio per muovere un passo. “Fermo, ndo vai, stai qua. Fermo”. Mi manda all’ingresso distinti. “Salve, io sono il solo biglietto ospiti venduto. Il settore dovrebbe essere aperto ma il collega dice il contrario”. Parla alla radiolina. “Vai all’ingresso ospiti e vedi con la polizia, qui non ti posso far entrare”.
Ore 14.25 corro a perdifiato verso la curva sud. 8 poliziotti, 2 della Digos. “Scusa ma te che fai qui? Non ci sono tifosi ospiti oggi”. Mi presento a mani alzate: “Signori eccomi, sono io”. Presento biglietto e passaporto attestante la mia residenza all’estero. Occhiate, perplessità. Mi chiedono dove vivo, cosa faccio di lavoro. “Ma non ce l’hai la carta d’identità?”. Sorrido per la richiesta, nel frattempo arriva il “capo” Digos. “Sì, può entrare”.
Mentre isso la bandiera su un manico di scopa (grazie mamma) e comincio a farla volteggiare, respirando la desolazione di un settore vuoto, mi passano davanti 15 anni di tormenti ed estasi tifando l’Arezzo. Prendiamo gol nel primo tempo, ma oggi importa un po’ meno. Pareggiamo nel secondo, oggi vale tanto di più. Che strano caracollare giù per i gradoni, solo, senza gli amici da abbracciare, senza quegli sguardi vitrei da incrociare, i volti stravolti accanto, senza i ragazzi della Minghelli. Senza nemmeno una birra da far cadere mezza giù. Perlomeno i vigili del fuoco presenti sul terreno di gioco mi recapitano una bottiglietta d’acqua, molto gradita.
Fischio finale. Ripongo l’armatura e il corredo nello zaino. Mi scortano alla stazione con un’auto della polizia in borghese. Con l’adrenalina ancora in circolo provo animosamente a convincere i poliziotti di come l’Italia sia uno stanco, glorioso Paese sostenuto ancora da cardini quali cultura, natura e sport. “Per favore salviamo il Calcio, salviamo lo Sport!”. Sorridono, annuiscono. Non sono sicuro di averli convinti.












