Il tecnico dell’ultima promozione in B è stato ospite del Festival del calcio: due ore di aneddoti e rivelazioni su Gelsi e Scotti, la Cavese e l’Empoli, Testini e Vigna, Bucchi e Chierico, Gigli e Cianci. “L’Arezzo di oggi è forte, costruito nel tempo, il mio venne messo su in un’estate con l’obbligo di vincere subito. Spero che l’epilogo sia lo stesso”. Poi il passo indietro: “Questa è la mia ultima uscita pubblica, basta interviste e conferenze. Resterò solo un tifoso e un appassionato”
Il solito fiume in piena tra ricordi, aneddoti, curiosità e spiegazioni tattiche. Mario Somma ha chiuso stasera il ricco programma del Festival del calcio, organizzato da Donato Alfani e che negli ultimi mesi ha portato in città personaggi di spicco del pallone italiano. L’allenatore dell’ultima promozione amaranto in serie B ha parlato per quasi due ore di Arezzo ma anche della sua carriera, degli esordi da predestinato, del presente e del futuro in cui non indosserà più i panni del tecnico né dell’opinionista televisivo ma solo quelli dell’appassionato.
CUORE AMARANTO – “Porto nell’anima questa piazza perché avverto grande affetto ogni volta che torno. Ed è un sentimento reciproco. Quando ripenso a quell’annata, quando riguardo i filmati di quelle partite, mi torna in mente l’alchimia perfetta che si era creata tra noi nello spogliatoio e tra noi e la città. Prima di Arezzo-Pavia venne giù una nevicata da record eppure si presentarono decine di tifosi per spalare il campo e consentirci di giocare: resta l’esempio più emblematico del legame che c’era. Sono sempre stato convinto, e lo sono ancora, che se fossi rimasto avremmo conquistato la serie A. Non c’era bisogno di grandi ritocchi, la rosa era super competitiva”.

SPOGLIATOIO – “Eppure non fu facile, specie all’inizio. Io ero un novellino, alcuni giocatori avevano già vinto campionati in piazze importanti. E ce n’erano tanti con una personalità spiccata: penso a Pagotto, a Scotti, a Venturelli, a Gelsi. Però ci trovammo in fretta, le mie idee si sposarono con i caratteri dei ragazzi e anche tra mogli e fidanzate si creò un feeling solido. Tutto questo ci consentì di stravincere il campionato, passando dai 500 paganti di Arezzo-Cittadella ai 13mila di Arezzo-Varese”.
GLI ESORDI – “Con la Cavese vinsi la serie D da subentrato. Presi la squadra alla quarta giornata, era l’autunno del 2002. Mettemmo insieme 28 vittorie, un pareggio e una sconfitta. I tifosi mi accolsero malissimo, da giocatore ero passato da Cava a Salerno e non mi ero comportato nel modo giusto. Fino al giorno della promozione in C2 mi trattarono con ostilità, poi finalmente la gente mi tributò un lunghissimo applauso e mi commossi. Per l’ultima partita facemmo giocare perfino Biagio Antonacci, il cantante. Quell’annata fu il trampolino per venire ad Arezzo”.
LA CARRIERA – “A Cava raggiunsi promozione e scudetto dilettanti, con l’Arezzo promozione in B e Supercoppa, a Empoli la promozione in A. Di lì in avanti non ho più trovato gli ambienti e gli spogliatoi giusti. Io sono sempre stato per le regole e non per le persone: questo mi ha bruciato tante possibilità, unitamente alle etichette che mi sono state ingiustamente appiccicate addosso. Ho cominciato ad avvertire diffidenza nei miei confronti e forse a volte non sono stato bravo a creare empatia, specie con le dirigenze. Ma sono una persona onesta, di questo me ne posso vantare senza timore di essere smentito”.

LA TATTICA – “Ho utilizzato moduli diversi in carriera, anche se il 4231 di Arezzo fu il più efficace e innovativo. Il rilancio di Pasqual, Passiglia e Serafini è uno dei miei fiori all’occhiello, così come la collocazione tattica di Serafini, l’esplosione di Abbruscato e la valorizzazione di Vigna. In quel ruolo inizialmente doveva giocare Testini ma non aveva le caratteristiche giuste per incastrarsi con i compagni, così scelsi Vigna che era perfetto anche per aprire il campo a Pasqual. Testini in quel periodo mi avrebbe ucciso e lo capisco. Ma poi ci siamo chiariti, l’ho avuto a Trieste qualche anno dopo e ha fatto benissimo”.
L’AREZZO DI OGGI – “Ho visto tante partite, la squadra è veramente forte, dà la sensazione di poter fare gol in qualsiasi momento. Ci sono quattro giocatori che stimo molto: Venturi è un ottimo portiere e un ottimo ragazzo, Gigli in passato avrei voluto portarlo con me, mentre Pattarello è fuori categoria. Cianci lo affrontai da avversario quando era ad Andria: mi colpì subito, tant’è che poi lo feci prendere al Potenza. Fece 12 gol nel girone di andata che gli valsero la chiamata del Bari. Chierico invece l’ho visto crescere nelle giovanili della Roma, gli avevo pronosticato una carriera importante e adesso è nel posto giusto al momento giusto”.
CHI E’ PIU’ FORTE? – “Se il mio Arezzo e quello di adesso si affrontassero, non so chi vincerebbe. La nostra squadra fu costruita in un’estate, avrebbe dovuto fare la C2 e invece si ritrovò in C1, aveva un allenatore giovane come me e una rosa nuova quasi al cento per cento. Questo è stato costruito nel tempo, senza l’assillo di dover vincere a tutti i costi come avevamo noi. Inoltre ha un allenatore bravo, esperto, che ha già fatto A e B. La nostra serie C aveva due gironi soli, la qualità media era più alta: nel nostro girone c’erano Pisa, Cesena, Reggiana, Spezia, Padova, Spal. L’auspicio è che Arezzo possa rivivere le emozioni di 21 anni fa”.
UN PASSO INDIETRO – “Questa è la mia ultima apparizione pubblica. Non ho più voglia di confrontarmi con il calcio, di indossare le vesti dell’allenatore né quelle del commentatore. Resterò un tifoso, un amante del pallone, continuerò a vedermi partite di tutti i livelli, però basta interviste, dichiarazioni, conferenze. Era giusto che la mia uscita di scena fosse proprio qui ad Arezzo, dove ho vissuto il periodo più intenso della mia vita. E lo porterò sempre con me”.












