L’ex attaccante amaranto ritrova il presidente con il quale visse anni di alti e bassi al Comunale: “Mi ha detto che lo feci tribolare all’epoca. Oggi sarebbe diverso, anzi il mio rimpianto più grande è non essermi fermato a vivere ad Arezzo. I ricordi più belli? Il primo gol al Pescara fu una liberazione, la doppietta alla Juve un’emozione. E poi la città. Il Castello partirà a fari spenti, io arrivo grazie a Paolo Cangi. Dovrò scovare talenti come faceva Pieroni, un modello da seguire”
Ad Arezzo arrivò a gennaio del 2006 per sostituire nientemeno che Elvis Abbruscato, ceduto al Torino nel bel mezzo di una stagione che si chiuse con i playoff per la serie A mancati di un gol, di un punto, di un niente. Daniele Martinetti, 41 anni compiuti da poco, ex attaccante di talento, ha segnato 32 gol in amaranto fino a gennaio del 2009, quando salì in B al Sassuolo. Dopo aver appeso le scarpe al chiodo, si è dedicato all’attvità di agente e osservatore. E da pochi giorni è stato annunciato dal Città di Castello come responsabile scouting. Nulla di strano, se non fosse che il patron del club tifernate è quel Piero Mancini che con Martinetti, ad Arezzo, ebbe un rapporto altalenante fatto di sviolinate e punizioni, rimasto nella memoria dei tifosi al pari della doppietta che l’attaccante segnò alla Juventus nella storica notte del 22 dicembre 2006.
Com’è nata la possibilità di arrivare a Castello a fare il capo scouting?
Grazie a Paolo Cangi, il presidente della società. Siamo amici da una vita, dai tempi di Arezzo. Era il mio agente, io sono stato uno dei suoi primi assistiti. Quando mi ha chiamato, ho accettato con entusiasmo.
Eppure la serie D è un mondo difficile.
Lo so bene. Quattro anni fa ho avuto lo stesso incarico alla Lupa Roma, ho toccato con mano la categoria però mi sono divertito. E’ un lavoro che mi piace.
Ce l’hai l’occhio lungo che serve per capire se un ragazzino farà strada oppure no?
Bisogna studiare, impegnarsi, fare esperienza. Di sicuro i miei dodici anni tra i professionisti, il fatto di essere cresciuto in un settore giovanile come quello della Roma, una certa attitudine me l’hanno data.
Chi hai preso a modello tra gli uomini di calcio conosciuti in carriera?
Ermanno Pieroni aveva un intuito formidabile. Sapeva scovare talenti sconosciuti e lanciarli nel calcio vero.
L’avresti mai detto che la tua strada si sarebbe incrociata di nuovo con quella di Piero Mancini?
Per diverso tempo non ci siamo più sentiti, anche se non c’è mai stata acredine tra noi. Poi, due o tre anni fa, sono venuto a trovare Paolo Cangi e a cena c’era anche lui. Di lì in avanti ci siamo rivisti, abbiamo parlato di un sacco di cose, compresi gli anni di Arezzo. Mi ha detto che sono stato uno di quelli che l’ha fatto tribolare di più.
Sempre per la storia della fuga dal ritiro di Pieve Santo Stefano?
Anche. Ma è una cavolata che oggi non rifarei, fu una mancanza di rispetto verso i tifosi di cui mi pentii subito. Era un momento particolare, il presidente mi aveva promesso che mi avrebbe lasciato partire per la B, mi cercavano il Bari, il Bologna, il Lecce. Invece alla fine mi fece restare. Acqua passata.
Del Martinetti attaccante si è sempre detto che avrebbe potuto fare di più. Hai rimpianti oppure no?
Forse potevo fare di più, è vero. Ma io vedo il bicchiere mezzo pieno e credo che alla fine ognuno ottenga ciò che merita. A Novara e Arezzo i miei gol li ho segnati. Mi sarebbe piaciuto arrivare in serie A, solo che a quei tempi se non segnavi una ventina di gol in B non salivi mai. E poi ho perso due finali playoff: una con il Sassuolo contro il Torino e una con il Varese contro la Sampdoria. Si vede che era destino.
L’Arezzo vuole vincere il prossimo campionato di D, Mancini ha detto che il Castello lotterà per la promozione. Tu cosa pensi?
Che l’Arezzo è favorito. Ho seguito sempre le vicissitudini della società, comprese quelle degli ultimi anni. Mi spiace che sia in D e mi auguro che il futuro regali tante soddisfazioni alla gente. Il direttore Giovannini è bravo. E mister Indiani è una garanzia. Il Castello partirà a fari spenti, poi vedremo cosa succederà.
Mi dici tre cose da ricordare della tua esperienza ad Arezzo?
Il primo gol a Pescara. Ero arrivato da poco, avevo fatto anche delle buone partite ma non riuscivo a buttarla dentro. Quel tocco di piatto destro fu una liberazione. Poi la doppietta a Buffon: ci fruttò un buon pareggio ma soprattutto fu un’emozione incredibile. E infine dico Arezzo città. Ecco, il mio rimpianto vero è di non essermi fermato a vivere lì.