il presidente Manzo in campo alla fine della partita con il Ghiviborgo

Domenica il presidente è sceso in campo per stringere la mano a giocatori e tecnici. L’Arezzo ha cambiato marcia dopo la sconfitta di Terranuova e la ramanzina della società, interpretando le partite con un atteggiamento più battagliero. Restano a galla alcuni difetti ma gli amaranto sono primi e il piglio è quello di chi non vuole mollare

L’ultima volta era successo a Città di Castello, a fine ottobre. Guglielmo Manzo scese in campo al termine della gara per salutare uno a uno tutti i giocatori e i membri dello staff, contento per il 2-0 con cui la squadra aveva archiviato una trasferta ostica. Domenica, dopo un altro 2-0, la scena si è ripetuta. Il successo sul Ghiviborgo aveva il sapore dell’esame superato e il presidente ha reso merito al gruppo, quel gruppo che lui stesso aveva sferzato dopo la cocente sconfitta di Terranuova.

Il punto d’inizio del nuovo corso amaranto, imperniato sulla concretezza più che sull’estetica, può essere considerato proprio quel martedì in cui Manzo si presentò allo stadio, definendosi “umiliato” per la disfatta di due giorni prima e mettendo calciatori e tecnici con le spalle al muro.

“Se qualcun altro sarà più bravo di noi, gli batteremo le mani – disse poi alla stampa – ma perdere partite e campionato per negligenze nostre, non lo accetto”.

Il resto ce l’hanno messo squadra e allenatore. Indiani ha accettato l’idea che andare sempre e subito “di là”, cioè nella metà campo avversaria, stava diventando troppo rischioso e si è regolato di conseguenza: ha abbassato il baricentro in alcuni frangenti di gara e nelle ultime due partite ha blindato il risultato con un difensore in più e un attaccante in meno, disegnando un 352 utilissimo alla causa.

I giocatori si sono resettati mentalmente, anche perché cambiare il proprio dna tecnico di punto in bianco non sarebbe stato possibile. Questo è un Arezzo costruito dal dg Giovannini puntando soprattutto sulla qualità, ma che ha saputo approcciare, gestire e interpretare gli ultimi 270 minuti in maniera più consona alla serie D.

Non è un caso che, al netto di alcuni episodi fortunati, siano arrivate 3 vittorie di fila con 6 gol segnati e uno solo subìto, con il sorpasso sulla Pianese al primo posto in classifica che ha rappresentato la ciliegina sulla torta.

L’Arezzo ha sempre avuto buona gamba (merito non da poco), ha conservato un’identità di gioco riconoscibile e in più adesso ha un Gaddini in stato di grazia che segna un gol a partita. La difesa è la migliore del girone (dopo il giro di boa ha giocato 4 gare in casa, beccando solo un gol) e, per quanto banale possa sembrare, l’apporto del pubblico è spesso un’arma in più.

Il rovescio della medaglia è rappresentato da quelle magagne che accompagnano la squadra da inizio stagione: gli esterni d’attacco a piede invertito non sempre sono incisivi, tendono a portare molto la palla, frenando la fluidità della manovra e convergendo quasi sempre al centro del campo, dove c’è traffico e dove bisogna inventarsi il numero per creare pericoli.

Con il centravanti di turno, il dialogo è ridotto all’osso. Poche volte i laterali del tridente combinano con la prima punta, lasciandolo in una sorta di limbo da dove non è semplice venire fuori e costringendolo a svolgere quasi solo un lavoro di sponda e raccordo.

Eppure, nonostante questo, l’Arezzo ha vinto più di tutti, ha fatto più punti di tutti e ha preso meno gol di tutti. E qui si torna alla qualità di cui si diceva prima, che tiene il motore su di giri e che è il vero tesoretto da spendere fino al termine della stagione.

Adesso mancano dieci giornate. Gli amaranto sono a +2 sulla seconda, +7 sulla terza, + 10 sulla quarta. C’è tanta strada da fare ma l’andatura è quella giusta.