Il viaggio in pullman, uno stadio vero, i fischi all’ingresso all’Ardenza, gli sfottò con la nord. E poi il primo gol: ha segnato Castiglia, ma forse è Lazzarini, no è Gucci. Non importa, gli amici si abbracciano sui gradoni, Benassi va sotto la doccia, il 2-0, Lucarelli da rosso, l’intervallo, un secondo tempo liscio come mai nessuno avrebbe sognato. E dopo che Cantisani l’ha chiusa, è festa totale. La squadra viene sotto al settore, si gode di brutto. Sono dolci anche le code sulla Fi-Pi-Li al ritorno. In 500, tra tanti anni, potranno dire: “Quel giorno io c’ero”

«Ma ti ricordi quando s’è vinto 0-4 a Livorno?». Me lo immagino così, tra qualche anno, l’inizio di una normale conversazione tra tifosi nel rivivere i tempi andati, sperando che nel frattempo ne stiano vivendo di ancora migliori. E allora si partirebbe con gli aneddoti, i racconti, le istantanee nella mente di una trasferta che entra di diritto negli annali e nel novero di una delle più trionfali ed estasianti in cent’anni di amaranto. Anche perché, dopo quasi due di questi anni a girare tra Ardea e Ponsacco, Cannara e Montespaccato, passando per un «Armando Picchi» desolatamente vuoto per la trasferta contro la Pro Livorno Sorgenti di un annetto fa, rivivere finalmente un’atmosfera ribollente di tifo, calore e reciproci sfottò ha amplificato le emozioni, riaperto i cassetti della memoria e riannodato i fili col passato.

Da quanto tempo non si vedevano partire uno, due, tre, quattro, otto pullman dal piazzale dello stadio, seguiti da pullmini e mezzi propri: un popolo in viaggio alla conquista di un successo che manca da tanto, troppo tempo. E da quanto non si riassaporava il gusto di salire gli ultimi scalini del settore ospiti emergendo finalmente dentro lo stadio e sentire i fischi della tifoseria avversaria che non aspettava altro che il tuo arrivo. Una birra per smorzare la tensione e “scaldare” la voce, poi gli applausi al giro di campo dei bambini della scuola calcio del Livorno come ultimo raro momento di sportività, perché quando entrano i grandi, nessuna pietà.

il primo gol di Gucci

Tra curva nord e curva sud Lauro Minghelli è un botta e risposta continuo tra consueti sfottò e il ricordo dell’andata, con screzi e scontri prima e dopo la partita. I livornesi durante il derby racconteranno la propria versione, noi gli ricorderemo che la verità è un’altra: «06/11/22: Arrivati baldi e fieri, tornati a casa con gli occhi neri» è uno dei tanti striscioni tirati su dalla Sud da trasferta, che così bella e compatta non si vedeva da anni per ovvi motivi.

In mezzo a tutto questo colore si gioca anche, e non è un dettaglio da poco: pronti via arriviamo in porta senza far vedere palla ai labronici. Sembra una dichiarazione d’intenti e la Sud aumenta subito i decibel. Il palo di Lo Faso poco dopo, invece, ci riporta sulla terra, ma che goduria sentire tutto lo stadio che urla «nooooooo». L’estasi vera, però, è vedere quell’incornata e la palla che gonfia la rete cento e passa metri più in là, sotto la Nord: Castiglia, no Lazzarini, l’ha fatto Gucci, per me era Cantisani… Poco importa se all’inizio non avevamo capito chi l’aveva buttata dentro, contava solo che fosse entrata. Settore in estasi, gli abbracci agli amici di curva, il cuore che batte all’impazzata, il respiro che manca e la voce rotta per le urla sguaiate.

Siamo avanti e un minuto dopo siamo anche in undici contro dieci: bravo Benassi, doppio giallo e buona doccia. È il momento di massima spinta, in campo e sugli spalti: il sinistro da fuori di Zona sembra telecomandato, fiutiamo il gol dell’anno all’Ardenza, quello che farebbe venire giù il settore, ma la palla sbatte sul palo. Poi, per un attimo, l’Arezzo si scorda dell’uomo in più e soffre un po’ il moto d’orgoglio dei labronici. Ma Trombini c’è.

E proprio quando stiamo pensando che tutto sommato lo 0-1 all’intervallo va più che bene, Pattarello si trasforma in Alberto Tomba, salta due avversari come paletti e arriva a concludere. Parata, ribattuta vincente di Castiglia, pubblico di casa ammutolito, settore ospiti in paradiso. Salta tutto, ti guardi intorno e vedi volti trasfigurati dalla gioia, gente che corre qua e là, qualcuno che capitombola. Nessun problema, i lividi del giorno dopo saranno medaglie al valore. E la follia di Lucarelli a primo tempo scaduto che lascia i labronici in nove è la ciliegina sulla torta di un derby che sta andando esattamente come nei sogni migliori di quei pochi che sono riusciti a dormire la notte prima.

Nella ripresa, con queste premesse, è tutto fin troppo facile: quasi ti manca quella tensione che ti accompagna sempre quando le partite restano aperte fino all’ultimo. Non ho memoria di una trasferta in cui, come tifoso, non abbia dovuto stringere i denti fino all’ultimo minuto di recupero. Invece stavolta non c’è storia, ogni volta che loro si scoprono gli facciamo male. La traversa di Castiglia è solo il prologo al primo gol di Cantisani: un tiro lemme lemme che si adagia, piano piano, in porta, perfetto per godere di ogni fotogramma di quello 0-3 che sa già di trionfo.

«Ho preso la bandiera», «Chi non salta è livornese» e poi, immancabile, «Ricordo il primo giorno che ho visto Livorno…» a partita finita che chiude in bellezza un derby memorabile, mentre i monumentali ragazzi in campo esultano sotto il settore insieme a tutto lo staff. Non me ne sono dimenticato: nel frattempo Cantisani aveva fatto doppietta per entrare nell’Olimpo con mostri sacri come Meroi e Frick e firmare una batosta epocale per gli amaranto di mare.

«Ardenza» sbancato, gioia irrefrenabile che spazza via tutto il resto: poco importano le lunghe attese dentro e fuori lo stadio o i rallentamenti in Fi-Pi-Li, tanto era una domenica che avremmo voluto non finisse mai. Chi potrà dire «io c’ero» difficilmente se la dimenticherà.