Non è nato ad Arezzo ma è uno di noi. Classe ’61, originario di Lecco, abita qua dal 1980, quando il Como lo mandò in prestito per farsi le ossa. Doveva essere di passaggio, invece questa è diventata la sua casa. Le tappe del suo arrivo al Comunale, Angelillo e Terziani, le vittorie e le sconfitte, il rapporto con i compagni di allora che sono gli amici di oggi: il racconto di una carriera intrecciata con la vita vissuta

Stefano Butti non è nato ad Arezzo ma è uno di noi. Classe ’61, originario di Lecco, vive qua dal 1980, quando il Como lo mandò in prestito per farsi le ossa. Doveva essere di passaggio, invece questa è diventata la sua casa. Con le sue 302 partite è il primatista assoluto di presenze in amaranto e, considerando come va il calcio oggi, è difficile pensare che qualcuno possa superarlo.

Ex terzino sinistro, interpretava il ruolo con generosità, tanto cuore e sette polmoni. Lo definivano inesauribile per le sue sgroppate sulla fascia e proprio questa caratteristica ne faceva il pupillo degli allenatori. Ogni estate sembrava in procinto di fare le valigie e quasi mai figurava nei pronostici dell’undici titolare, salvo poi giocare con cadenza settimanale.

Con l’Arezzo ha vinto la Coppa Italia del 1981 e conquistato la serie B nel 1982, recitando un ruolo da protagonista nel periodo più bello del calcio aretino, quando lo stadio era sempre gremito e tra squadra e pubblico c’era un feeling magico. Merito del presidente Narciso Terziani, di mister Antonio Valentin Angelillo, di calciatori come lui e Pellicanò, Neri e Mangoni, Zanin e Zandonà, che non a caso sono in testa alla classifica delle presenze di tutti i tempi.

Oggi Butti è presidente del Museo Amaranto, responsabile del settore giovanile della Tuscar e attento osservatore delle vicende riguardanti l’Arezzo. Nell’intervista rilasciata ad Amaranto Social Club ha ripercorso le tappe del suo arrivo al Comunale, le vittorie e le sconfitte, il rapporto con i compagni di allora che sono gli amici di oggi.

“Eravamo un grande gruppo e non sono frasi di circostanza. I nostri successi, dalla Coppa Italia al sogno della serie A, passavano per il rapporto di fratellanza che avevamo nello spogliatoio. Era un altro calcio, oggi sarebbe più difficile. Ma questa piazza merita di tornare perlomeno in serie C e di ricominciare a coltivare le ambizioni che merita”.