Guglielmo Manzo tra presente e futuro: “Vincere il campionato il 16 aprile, a trent’anni dalla radiazione, sarebbe uno schiaffo alla storia. Ma non ho preferenze, basta che la promozione arrivi. Così finalmente cadrà la maldicenza secondo cui non volevo tornare tra i professionisti. Le trasferte con Ostiamare e Terranuova ci hanno fatto svoltare: si impara prendendo schiaffi, non complimenti. Giovannini resta con noi, è il nostro faro: lui e Indiani sono stati bravissimi nei periodi difficili. La C la considero solo di passaggio, questa piazza può ambire a molto di più e io penso in grande. Per questo stiamo investendo sui giovani, sugli impianti d’allenamento e presto anche sullo stadio: ai risultati sportivi dobbiamo unire quelli finanziari. Buona Pasqua a tutti i tifosi: le contestazioni mi hanno fatto bene, oggi applaudo la curva e mi emoziono”
Presidente, lo 0-0 con l’Ostiamare le è rimasto sullo stomaco? O l’amarezza è passata?
Era già tutto alle spalle dopo mezz’ora. Lì per lì ero dispiaciuto, poi ho parlato con il direttore e con il mister e abbiamo convenuto che un pari ci poteva stare. Per noi non cambia molto.
Nel senso che il 16 aprile sarebbe servita comunque la vittoria.
Esatto. Io non ho preferenze, mi interessa che la promozione arrivi. Se sarà già nella partita con la Pianese, meglio. Altrimenti penseremo ad Altopascio.
Però lo scontro diretto ha un fascino particolare.
Su questo non discuto. Anzi, sapendo cosa significa il 17 aprile per i tifosi dell’Arezzo, vincere domenica prossima avrebbe un valore simbolico enorme. Riconquistare la serie C trent’anni dopo la radiazione, sarebbe uno schiaffo alla storia. E credo che renderebbe onore anche alla Pianese, l’avversario che ci sta dando battaglia fino alla fine.
C’è stata una partita che lei considera quella della svolta?
Ne dico due. Quella di Aranova contro l’Ostiamare, dove perdemmo male. Fu un campanello d’allarme forte, mandai i ragazzi in ritiro, ci confrontammo, lì scattò la prima scintilla. E poi aggiungo Terranuova. Da quel giorno in poi, non a caso, è stato tutto più semplice.
Ha citato due sconfitte in un campionato d’alto livello. Non lo trova un paradosso?
No. Io ho imparato tante cose quando prendevo gli schiaffi dai miei genitori, non quando mi facevano i complimenti. Nel calcio funziona allo stesso modo.
Oggi, a fine partita, scende in campo ad abbracciare i giocatori e a salutare i tifosi. L’anno scorso, con il clima ostile che c’era, era una cosa impensabile. Che effetto le fa?
Torno a quel che dicevo prima. Gli schiaffi mi sono serviti, senza quelli non mi sarei convinto a gestire il club in prima persona. Adesso l’Arezzo è sano e con una visione aziendale. E’ merito anche delle contestazioni che ho ricevuto.
Lì per lì però non le aveva prese bene.
E’ normale, ho il mio carattere. Le dico questo: io sono tifoso del Napoli, ho visto decine di partite in curva, ero al Comunale quando Maradona giocò la sua prima amichevole segnando due gol. Eppure le emozioni che provo adesso, da proprietario e presidente dell’Arezzo, sono molto più coinvolgenti e appaganti di prima.
Merito del pubblico, di un coinvolgimento personale diretto o c’è dell’altro?
Io al pubblico devo dire grazie per l’amore con cui segue la squadra. Per quelle due ore trascorse sotto il diluvio a Ponsacco. Per lo spettacolo che ha dato a Livorno. Per la presenza fuori dallo stadio a Poggibonsi. Vi siete accorti cos’è successo quando sono arrivati i tifosi? La squadra aveva cominciato la partita così così ma appena i giocatori hanno sentito i cori, si sono accesi. E abbiamo vinto.
Non la spaventa l’umoralità che c’è nel calcio?
No, anche perché sto cercando di far passare un concetto: al di là dei risultati sul campo, questa società punterà sempre al meglio, a crescere, a mettere le basi per un futuro sereno. Il pallone è tondo, ogni partita può andare in cento modi diversi. Fuori però servono continuità e programmazione. Per questo stiamo facendo investimenti mirati sui giovani, sui centri sportivi e presto anche sullo stadio. Il calcio va gestito a 360 gradi, poi è ovvio che vincere è bello per tutti.
Non è un compito facile.
Ma non è nemmeno impossibile. La storia centenaria dell’Arezzo insegna che a grandi salti in avanti hanno spesso fatto da contraltare cadute rovinose. Questo non deve più succedere, io vorrei riportare la piazza tra i professionisti e scongiurare ritorni all’indietro.
Ha già iniziato a pensare alla prossima stagione?
Dal punto di vista finanziario sì, dal punto di vista calcistico è tutto in mano a Giovannini, con il quale ho un rapporto di grande stima, improntato sulla massima sincerità. Alcuni giorni fa, non a caso, mi ha confessato che è stato avvicinato da altre società. Le sirene cantano.
Normale, fa parte del gioco.
Lo so, ne abbiamo parlato. Ma il direttore resta con noi al cento per cento perché il progetto che c’è qui, e che lui ha contribuito a mettere in piedi, non può trovarlo altrove. Ha un rinnovo di contratto di tre anni già firmato. Dal settore giovanile alla prima squadra, il referente tecnico è lui. E’ il nostro faro, diciamo così, e ha l’entusiasmo che ci serve per aprire un ciclo.
L’altro giorno lei ha pubblicato una foto sui social che la ritrae insieme a Giovannini e ha scritto “grande direttore”.
Sì, perché ha una serietà e una professionalità che non si trovano spesso. Mi sta insegnando molto di questo ambiente e io lo apprezzo. Lui e mister Indiani, nei momenti difficili, sono stati bravissimi a fare un grande lavoro di raccordo con la squadra.
Quando dice che la serie C per l’Arezzo dovrebbe essere solo di passaggio, a cosa si riferisce esattamente?
Sa come ho iniziato a lavorare da ragazzo? Portando i sacchi di carbone sulle spalle. Ancora oggi mi sembra di sentirne il peso, pensi un po’. Da lì sono riuscito a creare un gruppo di lavoro serio, solido e con buone prospettive imprenditoriali. Perché non dovrei coltivare quest’ambizione anche nel calcio?
Quindi?
Quindi non voglio vivacchiare, altrimenti me ne sarei rimasto a casa mia. Non faccio tutto questo per l’ambizione di essere chiamato presidente, non mi interessa. Lo faccio perché sogno di portare l’Arezzo a grandi livelli, alla serie A. Quando ne parlo, molti manifestano scetticismo e un po’ li capisco. Ma i limiti sono solo nella nostra testa, bisogna pensare positivo.
Le Caselle e Rigutino: a che punto sono i lavori?
A Le Caselle dobbiamo aspettare l’ok della Figc per la posa del nuovo campo sintetico. Purtroppo i tempi si sono allungati ma non dipende da noi. A Rigutino abbiamo dato incarico alla ditta Galardini Sport di rifare completamente il manto erboso. Lì sorgeranno anche campi di padel e di calcio a 5 oltre al punto ristoro.
I campini verranno sicuramente abbandonati?
Vediamo, probabilmente sì. Dobbiamo investire su strutture nostre, anche sullo stadio. Ho intenzione di presentare, nel giro di due mesi, un progetto di ristrutturazione all’assessore Scapecchi e all’amministrazione comunale. Un impianto moderno è indispensabile per guardare lontano.
In molti ci hanno provato presidente, nessuno c’è riuscito. Lo sa?
I tempi sono cambiati. Comprendo ci sia diffidenza verso i romani, anche perché ad Arezzo negli ultimi anni hanno combinato danni seri. Ma io mi sento diverso, sono diverso. E spero di mettere a tacere anche l’ultima maldicenza, secondo cui questa società non ha intenzione di tornare in C. Mi ha sempre fatto arrabbiare questa cosa, non ha mai avuto fondatezza.
Buona Pasqua.
Buona Pasqua ai tifosi amaranto. Siamo vicini al traguardo, mi auguro di festeggiare presto tutti insieme.