dicembre 2021, il saluto di Gennaioli alla sud

Alfredo Gennaioli, oggi allenatore del Lucignano, è stato un curvaiolo doc. Ha seguito l’Arezzo in casa e fuori, con il tamburo e la bandiera. A Pistoia, nel 2003, un petardo difettoso gli esplose tra le dita: tre falangi perse, il pollice quasi staccato e ricucito a fatica. “Solo io so cosa ho sofferto e per fortuna non si fece male nessun altro, non me lo sarei perdonato. I ragazzi della sud li capisco, il botto è folklore e colore, è un segno di ribellione. Ma si può essere ultras anche senza”. Il 4 febbraio gli amaranto giocheranno con la Minghelli chiusa dal giudice sportivo per lo scoppio di Ancona che causò il ferimento di un fotografo

La curva Minghelli resterà chiusa nella partita contro l’Entella del prossimo 4 febbraio. E i 1.101 abbonati di quel settore non potranno accedere allo stadio, nemmeno in tribuna e nemmeno acquistando il biglietto. Lo ha deciso il giudice sportivo di Lega Pro, punendo l’Arezzo per un petardo lanciato da una mano anonima nella trasferta di Ancona del 26 ottobre. Il botto, scagliato dal settore dove erano sistemati i tifosi amaranto, stordì un fotografo, che poi si recò al pronto soccorso. Di qui la sanzione, penalizzante anche per chi non ha alcuna responsabilità per quanto accaduto.

“Io i ragazzi di curva li capisco. Il petardo fa folklore, fa colore e sottintende un messaggio: non ci pieghiamo ai divieti, alle imposizioni, non vogliamo un calcio spento, gestito dall’alto. Lo stadio non è un teatro, è un’altra cosa. Però datemi retta, i bomboni non servono. Si può essere ultras anche senza”.

Alfredo “Dedo” Gennaioli, 50 anni da compiere, ha fatto il portiere nei dilettanti per tanti anni e adesso allena il Lucignano in Promozione. Ma soprattutto è stato un curvaiolo vero. Ha vissuto l’Arezzo suonando il tamburo, sventolando la bandiera, intonando cori, sobbarcandosi chilometri di pullman per andare in trasferta. A settembre del 2003, a Pistoia, un petardo gli esplose in mano poco prima della partita.

“Era difettoso, ricordo ancora lo scoppio, il dolore, il sangue. Mi fasciai con la sciarpa, poi ci pensarono i medici dell’ambulanza. Persi tre falangi, mi ricucirono il pollice che si era quasi staccato”.

uno striscione della sud per il Dedo

E poi?

Solo io so quanto ho sofferto dopo. Per tre mesi, un giorno sì e un giorno no, dovetti andare in ospedale per le medicazioni. Quindi altri tre mesi di fisioterapia. Fui costretto a smettere di giocare, tornai a lavorare dopo due anni. Quell’incidente fu un trauma: non riuscivo a guardarmi la mano, era carne morta.

Come ne sei venuto fuori?

Piano piano, con la forza di volontà. Con l’amore per il calcio che mi spinse a tornare in campo, a riprendere la vita di prima. Oggi voglio più bene alla mia mano ferita che all’altra. Ma le cicatrici ci sono ancora, fuori e dentro.

Hai più maneggiato un bombone come quello?

Mai, nemmeno una miccetta per capodanno. Per questo dico che allo stadio i botti non servono. Magari ti esplode sotto al viso come capitato a me. Magari al fotografo di Ancona poteva andare peggio. Magari scoppia vicino a un ragazzino che fa il raccattapalle. Dopo non si torna indietro. Io ho ancora in testa l’angoscia dei primi momenti, quando temevo che oltre a me stesso avessi fatto male a qualcun altro. Non me lo sarei mai perdonato.

Trovi giusto che venga chiusa tutta la curva come è successo anche al Cesena?

Questa è semplicemente follia. E non voglio aggiungere altro.

in panchina da allenatore al Comunale

Non ce l’hai un po’ di nostalgia per i vecchi tempi, quando andavi allo stadio con la sciarpa al collo?

Ce l’ho, ce l’ho. Ma la vita va avanti, oggi ho tre figli, un’altra età. Il mondo ultras è cambiato, le curve sono diverse rispetto a vent’anni fa e io, da vecchietto di strada, a volte faccio fatica ad adeguarmi. Però la sud resta la sud, solo rispetto per quei ragazzi.

Con il tuo Lucignano sei in fondo alla classifica. Dovrai combattere fino all’ultima giornata per salvarti.

Non è una novità per me, io nella battaglia do il meglio. Sono sicuro che ce la faremo.

Contento dell’Arezzo?

Molto. L’altro giorno ho incontrato il preparatore Pecorari e Settembrini. Al capitano ho chiesto la maglia, è un aretino, lo stimo come ragazzo e come giocatore.

Quant’è che non vai allo stadio a vedere la partita?

L’ultima volta sono entrato al Comunale a dicembre del 2021, quando allenavo il Badesse. 3-3 in serie D, l’abbraccio dei miei amici della Minghelli prima dell’inizio, mille emozioni, un giorno speciale. Da semplice tifoso, ci andai nel 2016 a gennaio. Vincemmo 2-0 contro il Rimini. L’Arezzo lo seguo da fuori ma un giorno lo so che tornerò.