16 aprile 2023. Veni, vidi, vici, il motto di Paolo Giovannini e Paolo Indiani. Una gestione tecnica riportata dal direttore generale dentro i binari della normalità e per questo apprezzata dalla gente. La decima promozione in carriera di un allenatore con una simbolica stella sul petto. Una squadra di giocatori senza puzza sotto al naso, attaccati alla maglia e con un aretinissimo capitano. 6.500 spettatori a godersi lo spettacolo. E il presidente Manzo che sperimentò in prima persona che il passo dell’alpino, corto, lento e costante, è quello che porta lontano. Chi corre troppo, si stanca e cade

Ogni tifoso portò con sé una bandiera, una sciarpa, un vessillo da sventolare. Alla fine dentro lo stadio si stiparono in 6.500 per celebrare il ritorno dell’Arezzo in serie C, uno dei pochi nella storia arrivato con i favori del pronostico. “Passione viscerale, orgoglio popolare” stava scritto nel lunghissimo striscione che campeggiava in curva sud, riconquistata dalla società mettendo le persone giuste al posto giusto.

Veni, vidi, vici è un motto che il 16 aprile 2023 trovò realizzazione nella parabola professionale di Paolo Giovannini e Paolo Indiani, sbarcati ad Arezzo con una postilla nel contratto: vincere. Un’impresa non facile in assoluto e a maggior ragione in una piazza scossa dalle peripezie del biennio 2020-2022, sfiduciata da una gestione troppo allegra dei bilanci e costretta a misurarsi per la terza volta in trent’anni con l’inferno della serie D, dai cui miasmi si era riusciti a venir fuori con una promozione rocambolesca nel 1996 e con il ripescaggio nel 2014.

Il direttore generale aveva riportato il calcio aretino dentro i binari della normalità, passo fondamentale per invertire il rovinoso trend del passato. Normalità nella gestione, nelle scelte tecniche, nei rapporti con l’ambiente: volare bassi e mai staccare i piedi da terra, con trasparenza, buonsenso e semplicità. Grazie a quest’acqua era di nuovo germogliata la credibilità tra i tifosi. L’allenatore si era invece cimentato con la specialità della casa: salire di categoria. Gli era riuscito già nove volte in carriera, mancava la decima per appuntarsi sul petto la simbolica stella del primato. E stella fu, non senza qualche saliscendi, qualche spigolo, qualche buccia di banana. Ma quel che contava era andare di sopra e l’Arezzo centrò l’obiettivo, facendo lievitare rendimento e valore dei giovani.

La gente che venne a festeggiare con una bandiera, una sciarpa, un vessillo apprezzava la squadra fatta di “ragazzi come noi”, giocatori bravi, bravissimi e bravini senza puzza sotto al naso né smargiassate da fenomeni. Gruppo sano, spogliatoio unito, un capitano aretinissimo come Settembrini, la rassicurante sensazione che in campo si lottasse veramente per la maglia, a prescindere dal risultato.

Oggi, un anno fa, tirava un venticello fresco come il 25 aprile 2004, giorno in cui l’Arezzo aveva vinto l’ultimo campionato sul campo, con Somma in panchina e Serafini capitano, con Abbruscato in attacco e Scotti in difesa. Sono date che si rincorrono, ricordi che si intrecciano anche nella celebrazione degli anniversari. Oggi, un anno fa, si completò la prima tappa di un percorso virtuoso che ci ha portato fino a oggi, alla salvezza raggiunta in C e ai playoff a portata di mano.

Il presidente Guglielmo Manzo ha avuto il merito di cambiare la rotta dopo gli errori iniziali e ha sperimentato in prima persona che il passo dell’alpino, corto, lento e costante, è quello che porta lontano. Chi corre troppo, si stanca e cade.