Per il capitano un attestato di stima dal valore speciale, come era capitato in epoca recente soltanto ad Abbruscato e Moscardelli. Un’eccezione alla linea della sud che tifa sempre la squadra e la maglia ma solo di rado riserva striscioni ai singoli calciatori. Stavolta però c’è una comunione d’intenti e una vicinanza che vanno al di là dei risultati sportivi
Gioie e delusioni, se sei un aretino che gioca nell’Arezzo, sono dilatate e raddoppiate. Se porti anche la fascia di capitano, le emozioni lievitano ulteriormente e saperle gestire diventa un secondo lavoro. La promozione dell’anno scorso, dopo aver rinunciato al professionismo per sposare una causa fascinosa e rischiosa in egual misura, dev’essere stata una scarica di adrenalina potentissima. La striscia di sei panchine consecutive di quest’anno, invece, un tuffo nella depressione.
Per Andrea Settembrini, 32 anni e mezzo, la maglia amaranto è un moltiplicatore di stati d’animo. Giocare con la squadra della propria città è una fortuna che non capita a tanti in carriera, anche se c’è pure l’altra faccia della medaglia: sovraesposizione emotiva, doveri più ampi dei compagni, parafulmine numero uno quando le cose non vanno dritte. E quando l’allenatore ti tiene fuori perché il sistema di gioco ti penalizza, devi morderti la lingua e pensare solo a sgobbare, perché il bene della squadra viene prima del resto e perché poi la ruota gira.
Eppure fino a oggi l’etichetta di uomo simbolo non gli ha pesato, né sui campetti di periferia della serie D né sui palcoscenici di quest’anno, più consoni alla storia dell’Arezzo. Originario di Montagnano, centrocampista d’assalto capace di rubare palla, smistare il gioco e attaccare gli spazi, è sempre stato un calciatore con il background del tifoso, una mezz’ala che ha saputo dosare le due anime senza perdere né l’una né l’altra.
Alla festa per il ventennale della promozione in B, al teatro Mecenate, Settembrini riannodò il filo dei ricordi fino a quella magica stagione 2003/04, quando da adolescente scoprì l’amaranto seguendo la squadra di Somma in casa e in trasferta. Dev’essere questo mix di sfaccettature, oltre all’abilità con i piedi, che ha catturato la benevolenza della tifoseria, ad Arezzo allineata da anni su un principio inderogabile: sostegno sì, in casa e fuori, ma solo per la squadra e la maglia. Per i singoli giocatori, che oggi ci sono e domani chissà, vanno bene stima, ammirazione, riconoscenza e qualche coro se lo meritano ma niente striscioni.
Nell’epoca recente ci sono state solo tre eccezioni. La prima risale a vent’anni fa, proprio al periodo del grande salto in serie B, con la curva che dedicò un messaggio d’incoraggiamento a Elvis Abbruscato. La seconda è dell’8 aprile 2017, giorno dell’omaggio a Davide Moscardelli (“Uomo vero, atleta e capitano. Qua la mano”). E l’altra, fresca fresca, è di domenica scorsa. In curva è comparsa la scritta “Grinta, cuore e spirito battagliero: numero 8 aretino fiero”. Un attestato di stima dal valore speciale, la conferma di una comunione d’intenti, di una vicinanza che va al di là dei risultati sportivi. E che Settembrini ha salutato sui social scrivendo un post breve ma significativo: “Uno di voi”.