La novità delle seconde squadre, introdotta nel 2018, è piena di contraddizioni. Presentata come un investimento sul futuro, ha solo scavato un solco più profondo tra élite e periferia, lasciando il calcio italiano fermo agli stessi limiti di sempre
Autunno 2017, l’Italia sbatte sulla Svezia e non si qualifica ai Mondiali in Russia. Shock, lacrime (di coccodrillo), isterie collettive. Fino all’idea geniale: per rilanciare il calcio azzurro servono le squadre B. Perché? Perché ce l’hanno in Spagna, in Germania, in Inghilterra e, santo Dio, sono la soluzione al problema. Il dettaglio che l’Italia avesse vinto fino ad allora 4 Mondiali e un Europeo, facendo serenamente a meno delle seconde squadre, venne bypassato con nonchalance. Così arrivò il semaforo verde.
La novità ebbe talmente successo che per ben 5 stagioni 5, il rilancio del calcio italiano fu affidato soltanto alla Juventus, unico club a iscriversi in serie C con la sua under 23. Ma anche oggi la situazione non è migliorata: al via ci sono Juve, Atalanta e Inter, mentre il Milan è retrocesso in D e giocherà con una rosa di professionisti contro i dilettanti di Scanzorosciate, Real Calepina e Brusaporto. Tutto molto bello.
Le contraddizioni di una pseudo riforma che doveva essere salvifica per il movimento e che invece è utile solo ai club interessati, sono evidenti. Del resto c’è un vulnus proprio alla base: per avere un impatto vero, reale e (forse) positivo sul calcio italiano, le under 23 dovrebbero allestirle tutte le società di serie A. Solo che a quel punto lo sbocco naturale sarebbe un campionato a parte riservato alle formazioni B. E quindi si arriva alla naturale conclusione che la Lega Pro, che già aveva le sue magagne, è stata utilizzata come cavia per fare un favore ai top club, dando un’ulteriore picconata a un calcio che, perlomeno in terza serie, conservava un barlume di “normalità”.
Basti pensare ai denari che servono per le iscrizioni: una società qualsiasi versa 60mila euro, mentre Juve, Atalanta e Inter ne hanno versati 840mila ciascuno. Pecunia non olet. Aggiungiamo: la Juve in rosa ha 8 stranieri, l’Inter 6, l’Atalanta 9, il Milan 10. Se l’obiettivo era, è veramente rilanciare il calcio italiano, non ci siamo proprio. Se i tifosi, compresi quelli dell’Arezzo, facciano bene o male a disertare le partite contro le squadre B, è tema spigoloso. Di sicuro fanno bene a protestare, per quanto il Palazzo sia notoriamente un muro di gomma.
A proposito: l’Italia al Mondiale non c’è andata nemmeno nel 2022. E la Lega Pro, è vero, non regge più 60 club. Ma il campionato va snellito con una riforma seria, non pompato artificialmente con le squadre B, presentate come un investimento sul futuro ma che hanno solo scavato un solco più profondo tra élite e periferia, lasciando il calcio italiano fermo agli stessi limiti di sempre.