Serse Cosmi in "Solo Coppi temo" (foto Karen Righi)

Uno spettacolo in cui l’allenatore più amato di tutti parlerà di sé stesso e un po’ anche di tutti noi

Domani sera, 7 agosto, Serse Cosmi si esibirà in piazza Grande con lo spettacolo “Solo Coppi temo”, dove il calcio è una parte della vita, ma non tutta. L’allenatore sul palcoscenico racconterà se stesso, come ha sempre fatto, senza filtri e senza pose ma sarà impossibile che il pubblico veda in lui qualcosa di diverso da ciò che è sempre stato: un simbolo. Ecco dieci cose da sapere sul suo rapporto con la città e con l’Arezzo.

COSMILANDIA – Dal 1995 al 2000, Cosmi è stato l’allenatore della rinascita. Un quinquennio in cui ha lasciato un segno indelebile non solo per i risultati, con due promozioni all’attivo, ma per la passione, l’identità, il legame umano con la piazza che resiste anche oggi. Nessuno, dopo di lui, ha più rappresentato tanto.

TANTO DI CAPPELLO – All’inizio il berretto perennemente calzato in testa era un porta fortuna. Poi divenne un tratto distintivo, un marchio di fabbrica. Quando lo mise per la prima volta, nessuno o quasi sapeva chi fosse Serse Cosmi. Quando lo tolse, tutti lo conoscevano. Il lancio del cappellino alla sud divenne un rito collettivo di cui ogni tifoso ancora conserva memoria.

QUESTIONE DI FEELING – Con la sud fu amore a seconda vista. Superata l’iniziale diffidenza, sbocciò rigoglioso come poche altre volte nella storia amaranto. Le esultanze, la gestualità, le parole mai banali: Serse non era un allenatore con il distacco sussiegoso del professionista. Ha sempre fatto l’allenatore tifoso in panchina. E la curva lo ha trattato di conseguenza.

10 E LODE – Cosmi si è laureato a Coverciano, al master per allenatori, con una tesi sul trequartista. Lui stesso, quando giocava, era un rifinitore dietro le punte. Ad Arezzo ha valorizzato Bifini, un talentuoso dribblomane che amava l’assist più del gol; ha dato lustro a Mattoni, piede di velluto e cecchino infallibile su punizione; ha consegnato alla storia Balducci, il tacco di dio, ma anche l’estroso Campanile; ha affidato ad Antonioli le chiavi della squadra che giocava con il 424 e sfiorò la B. Dietro la scorza del duro, Cosmi è sempre stato un cultore della tecnica.

BAGNO DI FOLLA – Il 14 giugno 1998 resta una domenica epocale per il calcio amaranto. La finale di Pistoia, i tempi supplementari, la vittoria contro lo Spezia, il ritorno in C1, la gradinata stracolma, “noi la spezia si mette nella nana” e “la cicala deve essere amaranto”, Pirrone di Messina, l’invasione di campo, la festa. E quel coro prima della partita: “il primo treno, è solo il primo treno”. Memorabile.

4 GIUGNO 2000 – Ad Ancona la curva puzzava di pesce. Chi c’era sa. Fu l’ultima panchina di Cosmi in amaranto: lasciò Arezzo per allenare il Perugia in serie A e, nonostante la rivalità e il derby, nessuno gliene fece una colpa. Perché se lo era meritato. E perché, in fondo, tutti sapevano che non se ne sarebbe mai andato veramente.

RECORD – Cinque anni di fila su una delle panchine più bollenti di tutte. Più di Andrei, più di Meucci, più di Tognon, più di Ballacci, più di Angelillo. Prima e dopo, nessuno come Serse.

ABBRACCIO INFINITO – Lauro Minghelli era un fratello minore, un punto fermo nello spogliatoio e poi nella vita, nella malattia. Quando Lauro se ne andò, troppo presto, fu uno dei dolori più grandi. Da allora, ogni volta che torna ad Arezzo, un pensiero di Cosmi per lui non manca mai. Sono passati 21 anni da quando Lauro non c’è più e il tempo, in questi casi, non cancella niente.

AREZZO-GENOA – Quando tornò da avversario, fu accolto con una standing ovation. Nessun fischio, solo applausi, le sciarpe amaranto al collo. Non succede spesso nel calcio, non succede quasi mai. Ma con Cosmi era inevitabile. Un privilegio concesso a pochi.

FOREVER – In 30 anni Serse ha girato l’Italia, ma Arezzo non l’ha mai dimenticata. E Arezzo non ha mai dimenticato lui. Domani salirà sul palco per parlare di Coppi e di sé. Ma tra le righe, inevitabilmente, parlerà anche un po’ di noi.