Nonostante non siano arrivati i tre punti, Sassari entra nel novero delle partite dal grande fascino: come Ponsacco, come Livorno 2023 o Carrara 2019 o Pisa 2017. Due notti sul traghetto, il trasferimento da Olbia allo stadio Vanni Sanna, affettatrici a manovella, un pranzo per duecento persone con vista su una splendida chiesetta romanica. Gente con una passione così, chi gestisce il calcio in Italia dovrebbe coccolarla, agevolarla, proteggerla come una specie in via di estinzione invece di accusarla, reprimerla e osteggiarla con ogni mezzo. Quando non ci sarà più nessuno su quei gradoni, che farete?
Ogni trasferta ha il suo fascino ma qualcuna ne ha un po’ di più. Può esserlo per condizioni ambientali ai limiti dell’impossibile come Ponsacco, o per il risultato roboante come Livorno 2023. Può esserlo per il valore della partita come Carrara 2018, perché è uno scontro diretto come Ravenna o Ascoli nei mesi scorsi, o per un gesto tecnico eclatante come Prato con la rovesciata di Moscardelli. Oppure può essere per un mix di cose come Pisa del dicembre 2017, sotto il diluvio, con problemi societari già evidenti, la corsa a perdifiato di Pavanel e i gol mozzafiato del solito Mosca.
Com’è facilmente intuibile, di solito restano impresse le vittorie, ma per stavolta faremo uno strappo alla regola. Perché Sassari non sarà certo ricordata come la miglior partita dell’Arezzo, né come una sequela di emozioni senza soluzione di continuità, né tantomeno come una partita da dentro o fuori. Ma nei cassetti della memoria troverà un posticino speciale per tante, troppe cose. Quando varchi l’ingresso del settore e pensi che hai fatto dieci ore di traghetto più circa tre di macchina (e te ne attendono altrettante per tornare a casa) per arrivare su un’isola ad assistere a novanta minuti di partita, che se lo dici a parenti e amici quasi non ti credono, ti rendi conto che questa passione forse la spiega meglio il tempo che le dedichi che qualsiasi parola che posso scrivere qui e ora.

E che condividerla con altre duecento e rotte persone che hanno fatto la tua stessa identica scelta rende tutto più appagante, ti fa sentire parte di qualcosa, elemento integrante e cuore pulsante di un “mondo”. E per stavolta passi il risultato, la squadra un po’ in flessione, la difesa che prende qualche gol di troppo e tutto il resto. Mi viene anche da pensare che gente con una passione così, chi gestisce il calcio in Italia dovrebbe coccolarla, agevolarla, proteggerla come una specie in via di estinzione invece di accusarla, reprimerla e osteggiarla con ogni mezzo. Quando non ci sarà più nessuno così che farete? Chissà se e quando ci arriveranno a capirlo. Ma sto divagando.
La trasferta più lunga della mia vita ha avuto come principale scenario la Grimaldi Lines che ci ha portato da Livorno a Olbia e viceversa. Lì, all’andata, sono cresciute piano piano attesa, speranze, aspettative e tensione tra fiumi di birra, partite di carte, assunzione senza alcun ordine precostituito di qualsiasi forma di cibo, affettatrici a manovella, sacchi a pelo, cori e risate. Una volta usciti dalla bocca della nave il mattino dopo, con poche ore di sonno, via verso il pranzo in un posto grandioso poco fuori Sassari, con vista su una splendida chiesetta romanica e con un graditissimo open bar. Mi riecheggia ancora nella mente il coro “Curva Sud Lauro Minghelli” che ha aperto il banchetto, amplificato dal senso di appartenenza e dalla gratitudine per chi aveva organizzato il tutto (grazie, di cuore).

Allo stadio ci arriviamo carichissimi, e non può essere altrimenti. Il settore è caldo e colorato come sempre, più di sempre. La voce non può mancare, dopo tutta la strada fatta per esserci. Neanche la voglia di continuare a lottare dopo il gol subìto subito. Di mollare non se ne parla. Il gol di Ravasio è una liberazione: almeno una volta meritavamo di esultare, dai. Finisce 1-1, la Curva giustamente ribadisce alla squadra che l’obiettivo, ora che siamo in ballo, lo vogliamo centrare costi quel che costi e poi un boato di incoraggiamento, per i giocatori e forse anche un po’ per noi, per affrontare il ritorno. In quello stesso traghetto di poche ore prima, è ovvio, ora c’è dispiacere per non aver vinto, non manca qualche chiacchiera su cosa non ha funzionato e perché, ma c’è anche la consapevolezza che non sempre può andare tutto come si desidera e che comunque ne è valsa la pena. Se non altro per la compagnia della propria seconda famiglia, quella più che allargata della curva, dello stadio, di Orgoglio Amaranto, di chi tifa l’Arezzo nel modo in cui lo tifi tu. La prossima volta andrà meglio, ma intanto che bello esserci stati!
P.s. Complimenti ai ragazzi della Under 17 e della Under 15 che si sono sobbarcati il lungo viaggio insieme a noi e hanno vinto le loro partite. E poi sono venuti nel settore e hanno cantato, esultato, sofferto proprio come noi!












