La tribuna affollata per un’amichevole d’inizio agosto contro il San Donato si spiega con la curiosità di vedere all’opera i nuovi, ma anche con una voglia di calcio, di reinnamorarsi della propria squadra che negli ultimi anni è stata spesso tradita. Arezzo è tranquilla, forse troppo. E’ una bella città di provincia, forse un po’ provinciale. E’ ricca ma nel pallone non investe. Dà molto e potrebbe dare anche di più, serve solo qualcuno che ne tiri fuori il meglio

Scartabellando in archivio, ho ritrovato un pezzo del 2009 (come passa il tempo…) che però è ancora molto attuale. Si parlava di Arezzo e delle potenzialità di una città che, sul piano calcistico, non è mai riuscita a esprimerle compiutamente, se non a sprazzi e per periodi limitati. E’ sempre mancato qualcosa per fare il salto di qualità definitivo, l’ultimo gradino, lo scatto decisivo. Forse per difetti nostri, di sicuro per l’assenza di una stabilità societaria. L’articolo mi è tornato in mente vedendo la tribuna affollata dell’altro giorno per un’amichevole d’inizio agosto contro il San Donato. L’ingresso era gratuito, di gente in ferie evidentemente ce n’è andata meno, però è stata una sorpresa. Vi ho colto la banale e semplice curiosità di vedere all’opera i nuovi, ma anche una voglia di calcio, di reinnamorarsi della propria squadra che negli ultimi anni (tanti anni) è stata spesso tradita. Arezzo potrebbe dare molto, serve qualcuno che ne tiri fuori il meglio.

AREZZO E LE SUE CONTRADDIZIONI (marzo 2009)

Arezzo è una piazza ambita e appetita dai professionisti del calcio, siano essi giocatori, allenatori o dirigenti. Eppure sembra avere al suo interno un male invisibile (invisibile?) che le impedisce di decollare. Qua, in una città a misura d’uomo dove si può (potrebbe) fare calcio a misura d’uomo, si ripete costantemente, da anni, la storia della tela di Penelope. Si tesse di giorno, si disfa di notte. Ogni volta si ricomincia da capo. E il processo di crescita di tutto l’ambiente pare destinato a non avere mai fine. Anche perché, guardando bene, da noi è vero tutto e il contrario di tutto.

Uno pro. Ad Arezzo c’è la tranquillità ideale per lavorare in santa pace, senza pressioni negative.
Uno contro. Ad Arezzo c’è troppa tranquillità, i giocatori fanno la bella vita, spesso si adagiano e perdono motivazioni.

Due pro. Arezzo è una città ricca, con un tessuto economico che potrebbe garantire la presenza costante del club perlomeno in serie B.
Due contro. Arezzo è una città che non investe, agli imprenditori non gliene frega niente della società di calcio e non ce n’è uno che in questi anni si sia fatto avanti, seriamente, per prendere il timone.

Tre pro. C’è stato più di un presidente che ha investito un sacco di soldi nell’Arezzo.
Tre contro. C’è stato più di un presidente che ha investito un sacco di soldi nell’Arezzo, senza seguire mai un progetto tecnico preciso e a medio termine.

Quattro pro. Arezzo ha un pubblico che, se si crea il feeling giusto, è appassionato, caloroso e numeroso, anche in trasferta.
Quattro contro. Arezzo ha un pubblico che segue la moda. Se la squadra vince, va allo stadio. Se la squadra non vince, non solo non va allo stadio ma prende per il culo quelli che ci vanno.

Cinque pro. Gli aretini sono esigenti e criticoni, al punto che sono uno stimolo forte e se fai bene ad Arezzo, hai la patente per far bene ovunque.
Cinque contro. Gli aretini sono perennemente insoddisfatti, botoli ringhiosi nell’accezione peggiore, incapaci di godersi fino in fondo i risultati positivi e masochisticamente felici quando possono sguazzare nella contestazione contro tutto e tutti.

Sei pro. Arezzo, calcisticamente e non, è la classica, bella provincia italiana.
Sei contro. Arezzo è provinciale.

Sette pro. Arezzo è una piazza che potrebbe fare la serie A.
Sette contro. Arezzo è una piazza che in serie A, non per caso, non c’è mai stata e probabilmente, se non cambiano le cose, in serie A non ci andrà mai.

Otto pro. Arezzo, in quasi cent’anni di calcio, non è mai cambiata nel bene e nel male.
Otto contro. Arezzo, in quasi cent’anni di calcio, non è mai cambiata nel bene e nel male.

Nato nel 1972, giornalista professionista, ha lavorato con Dahlia, Infront, La7 e Sky. Scrive anche per Arezzo Notizie e Up Magazine, collabora con Teletruria dal 1993. E' il direttore di Amaranto Magazine