Loris Beoni con il trofeo dello scudetto vinto alla Juve (foto Lorenzo Pagliai)

Ospite di Amaranto Social Club martedì scorso, l’allenatore ha commentato gli ottimi risultati dell’Arezzo di oggi: “Giovannini e Indiani le persone giuste al posto giusto. Impressionato da Pericolini”. In questa intervista rilasciata a marzo ad Up Magazine, raccontò le tappe di una carriera cominciata sui campetti di città e arrivata fino al titolo tricolore con la Juventus

Martedì scorso Loris Beoni ha partecipato alla seconda puntata di Amaranto Social Club, sottolineando gli ottimi risultati conquistati finora, niente affatto casuali: “Giovannini e Indiani sono le persone giuste al posto giusto. La rosa è stata costruita con criterio, è allenata bene, le vittorie lo confermano. In squadra c’è tanta qualità e sono rimasto impressionato da Pericolini. Lo vidi per la prima volta in amichevole a Castiglion Fiorentino, mi colpì subito”.

Qui riproponiamo alcuni stralci dell’intervista che Loris Beoni rilasciò ad Up Magazine Arezzo lo scorso marzo, in cui raccontò anche la sua passione amaranto.

C’è molto di non raccontato nella sua carriera, lui che è uomo di campo poco incline alle pubbliche relazioni. E’ un allenatore moderno, aggiornato, fautore di un calcio organizzato e veloce, dove l’equilibrio tra modulo tattico e caratteristiche dei giocatori è l’alchimia che tiene su la squadra. Però meglio una parola in meno che in più, zero concessioni alle vanità da social e profilo basso. Una linea vecchio stampo che non ha cambiato mai, nemmeno quando avrebbe potuto gonfiare il petto per i risultati raggiunti e sollevare il cappellino dalla testa, allargando il sorriso. Aretino, classe ’58, ex centromediano metodista di talento, Beoni è stato da subito giocatore e allenatore insieme, tant’è che per un certo periodo ha ricoperto entrambi i ruoli in contemporanea. Vincendo. Poi, appese le scarpe al chiodo e abbandonato il mestiere di assicuratore, è partito dal basso, dai campi dilettanti, ha viaggiato sulle montagne russe come molti colleghi ed è arrivato a vincere uno scudetto con la Juventus nell’iper professionistico mondo della serie A. Stagione 2019/20, collaboratore tecnico di Maurizio Sarri. Campione d’Italia.

Quanto si sente aretino?

Moltissimo, totalmente. Qui sono nato, ci abito, non me ne sono mai andato. Ho questo sogno che mi rimbalza in testa da una vita: io che alleno l’Arezzo e saliamo in serie B, la festa, le bandiere. Forse un giorno succederà, non lo so.

Come mai l’Arezzo è sempre tormento più che estasi?

Perché è sempre mancata una cosa banale ma importante: la programmazione. Il settore giovanile non è stato mai sfruttato a dovere e invece sarebbe una risorsa fondamentale. L’organizzazione conta più del mecenate, come la scelta delle persone giuste nel ruolo giusto. Tutti portano a esempio l’Empoli. E l’Empoli vive grazie al vivaio e alle strutture.

Loris Beoni e l’amaranto in che rapporti sono?

Stretti. Ho iniziato ad andare allo stadio quando avevo 5 anni. Mio padre era un fedelissimo, in casa e in trasferta non ne perdeva una. Ricordo la classe di Meroi, anche se a me colpiva di più la visione di gioco di Fara.

Questione di ruolo.

Anche. Sai come sono arrivato alle giovanili dell’Arezzo? Giocavo per strada con Giuliano Giuliani e Alessandro Chiodini. Un signore, non so chi fosse, ci vide e ci portò alla Gabos. Eravamo ragazzini, ci misero in panchina contro il San Leo con i cartellini falsi. Poi entrammo, Giuliani parò anche le mosche, io feci due gol. Ci tesserarono subito, i nostri nomi giravano tra gli addetti ai lavori. Insieme andammo all’Arezzo.

Periodo?

Inizio anni ’70. Avevo fatto un provino con il Toro, ero piaciuto, ma i miei non mi mandarono. Troppo lontano. Comunque, in amaranto avevo Miro Scatizzi allenatore negli Allievi. Dopo poche partite passai alla Berretti di Talusi e successivamente alla Primavera con Battiston, Pierazzi, Cipriani, Bartalesi come compagni. A fine stagione perdemmo in finale un torneo a Cavriglia, io e Giuliani combinammo un disastro, prendemmo gol e mister Talusi mi rimproverò davanti a tutti. Me ne ebbi così a male che mollai tutto e smisi con il calcio. Mi ero fidanzato con Giovanna, che poi sarebbe diventata mia moglie, pensavo di poter stare senza pallone.

Invece…

Una tortura. L’Arezzo nel frattempo era retrocesso in C, era il 1975. Non mi cercò più nessuno e ricominciai dalla terza categoria. Poi è venuto tutto il resto.

Loris Beoni (quarto in piedi da sinistra) con la maglia del Tegoleto

La panchina amaranto è mai stata vicina?

Nel 2013, mi pare un giovedì, ebbi un colloquio con l’Arezzo, che giocava in serie D. Il direttore era Bonafede in quel periodo: trovammo l’accordo su tutto con lui e con il presidente Ferretti, fissammo per il martedì successivo la conferenza di presentazione. Invece, di punto in bianco, andarono su un altro allenatore. Ci rimasi male.

C’è un momento, un episodio, un flash di tutti questi anni che le fa piacere ricordare più degli altri?

Potrei rispondere che ascoltare la musica della Champions dal campo è stato inebriante. Ma la realtà è che sono legato a ricordi più semplici. A Messina, per esempio, vivemmo una stagione disastrata per le difficoltà societarie. Una sera dovetti pagare l’hotel a tutta la squadra, non sapevamo dove alloggiare. Però i tifosi mi chiamavano “professore” e lo facevano con un affetto che mi è rimasto dentro.

Quindi non è vero che Loris Beoni è un musone.

Sai quante volte l’ho sentita questa storia? Il mio problema è che sono fatto così, non amo apparire, e questo mi ha danneggiato. Anche se l’accusa di avere il muso lungo me l’hanno sempre rivolta persone che non mi conoscono.

Sono gli oneri di questo mestiere, purtroppo.

Che poi me ne importa fino a un certo punto. A me interessa essere apprezzato per il mio lavoro, le mie idee, l’empatia che riesco a creare con chi mi sta vicino.

La rivediamo in panchina mister?

Spero proprio di sì. L’ho detto, ho una voglia di allenare che mangerei il campo.

Nato nel 1972, giornalista professionista, ha lavorato con Dahlia, Infront, La7 e Sky. Scrive anche per Arezzo Notizie e Up Magazine, collabora con Teletruria dal 1993. E' il direttore di Amaranto Magazine