Intervista a uno degli uomini simbolo del calcio aretino, protagonista di un’epoca vissuta in maniera viscerale e che fece innamorare la città. La mitica rovesciata al Campobasso, la serie A rifiutata per amore dell’Arezzo, la vicepresidenza del Museo Amaranto e una certezza: “Quest’anno il campionato si può vincere per davvero”

Secondo calciatore di sempre per numero di presenze, nell’Arezzo ci ha giocato, lo ha allenato e vi ha vissuto un paio di brevi esperienze da dirigente (prima sotto la presidenza di Piero Mancini, all’inizio degli anni duemila, e poi sotto quella di Marco Massetti, nel 2010). Aretino, considerato una delle pochissime bandiere senza macchia, oggi è vicepresidente del Museo Amaranto.

Domenico “Menchino” Neri è molto più che un ex. E’ uno degli ultimi simboli di un calcio che fece innamorare la città, vissuto in maniera viscerale e senza barriere. Nato a Sant’Andrea a Pigli, cresciuto al Gattolino, dopo l’esordio in prima squadra (1972, Arezzo-Sorrento 1-2 e gol da predestinato) venne ceduto in prestito a Empoli, poi a titolo definitivo alla Massese (due stagioni) e alla Reggiana (tre stagioni).

Dopo pochi mesi in B al Como, l’allora ds Giuliano Sili lo riportò a casa e l’addio venne cancellato. Correva l’anno 1979. Neri vestì la maglia del cuore per altre otto annate, conquistando la Coppa Italia semipro (1981) e la promozione in B (1982). Ad Amaranto Social Club ha raccontato: “Ero un trequartista, bravo tecnicamente. Un paio di volte mi cercarono dalla serie A, ma d’accordo con il presidente Narciso Terziani rifiutai. Troppo forte il legame con Arezzo. Rimpianti? Mai avuti”.

La carriera la terminò nel 1988 a Montevarchi, vincendo la C2. Poi la parentesi da allenatore, anche in amaranto, prima di dedicarsi ad altro e tenere il calcio soltanto come svago. “E’ un mondo che non fa per me, troppi compromessi” ha sempre detto.

A “Menchino” resterà appiccicato addosso il marchio della mitica rovesciata con cui segnò il gol vittoria al Campobasso, il 9 giugno 1985, un minuto e mezzo dopo aver fallito un rigore nella partita decisiva per la salvezza in B. Ma intorno a lui e al suo passato c’è molto altro, tant’è che allo stadio un gruppo di tifosi espone spesso la “pezza” con la sua immagine e la scritta “brigate Neri”. Un legame viscerale che non si spezzerà mai.

“L’anno prossimo con il Museo Amaranto proporremo alcune idee per celebrare il centenario. Se l’Arezzo sarà in serie C, ancora meglio. Ma devo ammettere che non ho grandi dubbi: quest’anno il campionato si può vincere veramente”.

Nato nel 1972, giornalista professionista, ha lavorato con Dahlia, Infront, La7 e Sky. Scrive anche per Arezzo Notizie e Up Magazine, collabora con Teletruria dal 1993. E' il direttore di Amaranto Magazine