Piero Mancini ai tempi della presidenza dell'Arezzo

Dieci anni di montagne russe alla guida dell’Arezzo, come dentro un frullatore: 22 allenatori, 10 direttori sportivi, la promozione in B, il lascito della serie D, vittorie esaltanti, sconfitte cocenti, grandi calciatori acquistati e rivenduti a cifre milionarie, applausi e fischi, ovazioni e contestazioni. Adesso è consigliere d’amministrazione del Città di Castello

Domenica sarà allo stadio. O forse no. Ma conta poco. La notizia è che per la prima volta Piero Mancini potrebbe sedersi in tribuna da avversario dell’Arezzo. Ufficialmente veste i panni di un semplice consigliere d’amministrazione del Città di Castello, ufficiosamente è il deus ex machina che tira i fili. Il presidente del club tifernate è Paolo Cangi, suo amico, collaboratore storico e braccio destro (non solo nel calcio) ma il commendatore della Rassinata non è uno che ama il basso profilo, anche se ormai ha imparato a stare pure dietro le quinte.

Ad Arezzo sulla breccia c’è rimasto per dieci anni. Costantemente in prima pagina, metaforicamente e non, per le vittorie e le sconfitte, gli osanna dei fedelissimi e i fischi dei contestatori. A volte le due categorie si sono mischiate, come spesso accade nell’umorale mondo del pallone, e le stesse mani gli hanno tributato applausi e lanciato sassi.

Piero Mancini acquistò la società nell’autunno del 2000. Mise Corsi e Policano a capo dell’area tecnica, tenne Cabrini in panchina per tutta la stagione (una rarità). L’Arezzo era in C1, arrivò quarto e perse i playoff con il Livorno. L’anno dopo andò peggio: Discepoli in panca, poi sostituito da Ferrari, poi da Colautti, poi da Pellicanò. Fu salvezza ai playout dopo lo spareggio con la Carrarese. Era stato preso Sabatini a fare il direttore sportivo, ma l’annata 2002/03 fu un disastro: Beruatto allenatore durò poco, la squadra fu sballottata tra Rumignani, Fiorucci, Florimbi e non si salvò. Ultima in C1, retrocessa in C2. Sabatini aveva già alzato i tacchi, rimpiazzato da Iacobucci. La piazza bolliva.

Mancini fu criticato ferocemente ma la ruota girò con il ripescaggio in C1. Il nuovo dg Fioretti costruì una bella rosa, la affidò a Somma e ne venne fuori una cavalcata trionfale verso la promozione. Poteva essere la base per un ciclo vincente, solo che Somma fece le valigie e diversi giocatori pure. Nel primo campionato in B venne centrata la salvezza, in panchina si alternarono Marino, Tardelli e di nuovo Marino. Mancini festeggiò la permanenza in categoria congedando Fioretti e affidandosi a Pieroni. L’annata 2005/06 fu bella, poteva essere bellissima con un po’ di fortuna in più. Gustinetti guidò gli amaranto a un punto dai playoff per la A. E poi non venne confermato. Al suo posto fu scelto Conte, un debuttante all’epoca, che iniziò male e lasciò la panca a Sarri, per poi tornare a metà del girone di ritorno. Il suo rientro coincise con il commiato di Pieroni e, nonostante il gran finale, l’Arezzo andò giù. La penalizzazione per il processo di Calciopoli, i rigori sbagliati, gli infortuni, Juve-Spezia: il mix si rivelò fatale.

uno striscione a sostegno dell’ex presidente

Mancini in C riportò Fioretti e gli affiancò Tambone, un ds più giovane. La convivenza non poteva funzionare e infatti non funzionò. De Paola allenatore, per una scommessa simil Somma, fu giubilato alla svelta. Cuoghi venne silurato a tre giornate dalla fine, il campionato lo chiuse Fraschetti. Ma l’Arezzo non entrò nemmeno nei playoff. Altra estate, altra rivoluzione. Dentro Iaconi come direttore, Cari come mister. In inverno la crisi: via Cari, ecco Ugolotti. Tempo un mese e via Ugolotti, riecco Cari. L’Arezzo, quarto, perse ai playoff con il Crotone. Il tourbillon non finiva mai: estate 2009, ciao Iaconi, ciao Cari, Sili promosso a consigliere personale del presidente, Semplici in panchina. Poi l’all-in: arriva Ceravolo alla direzione generale. Contratto di cinque anni. “E’ il nostro Marchionne” disse Mancini. Il modus operandi però non cambiò: Semplici esonerato in autunno, ingaggiato Galderisi. Quindi Galderisi esonerato a primavera, richiamato Semplici. L’Arezzo, quarto, perde in casa l’andata dei playoff con la Cremonese. Riesonerato Semplici, staffetta-bis con Galderisi. Gli amaranto vincono 2-1 a Cremona ma sono fuori. Ceravolo si candida per restare, Mancini dopo pochi giorni chiude la società, stritolata da un monte ingaggi altissimo. E’ l’estate del 2010.

Dentro il periodo appena raccontato ci stanno l’alfa e l’omega del calcio aretino, la serie A sognata concretamente e la serie D lasciata in dote alla fine, le grandi speranze e le cocenti delusioni, una potenza economica che forse non tornerà più e una programmazione assente, testimoniata dai 22 allenatori e dai 10 direttori transitati in quel decennio.

L’Arezzo comprò e poi lasciò partire, dietro contropartite milionarie, calciatori del calibro di Frick e Ricchiuti, Spinesi e De Zerbi, Ranocchia e Pasqual, Abbruscato e Floro Flores, Baclet e Martinetti. Un gigantesco frullatore di emozioni, di soldi, di vittorie, di sconfitte. Un contorno forse troppo grande per un Arezzo-Città di Castello di serie D, ma Piero Mancini è sempre stato uno che ha provato a conciliare gli estremi di una vita vissuta costantemente all’attacco.