Massimiliano Scichilone in azione con la maglia dell'Arezzo

L’ex attaccante oggi vive a Butera, un paesino in provincia di Caltanissetta. Ha segnato con la maglia dell’Arezzo contro il Livorno (“saltai anche il portiere davanti alla sud, ancora ho in testa quell’azione”) e con quella del Livorno contro l’Arezzo (“esultai in modo esagerato, è vero, ma solo per rabbia perché il mister mi aveva tenuto in panchina, quella gioia non fu polemica”). 51 anni, siciliano nell’anima, ci ha parlato della partita di domenica, del clima che ci sarà all’Ardenza, della serie D e del figlio Michelangelo, che gioca nella Juniores e che Indiani ha fatto debuttare in prima squadra

Le maglie amaranto del derby le ha vestite entrambe. Ha segnato con quella dell’Arezzo contro il Livorno e poi con quella del Livorno contro l’Arezzo. Dopo una carriera che lo ha portato in giro per l’Italia (Reggina, Trapani, Acireale, Ancona, Avellino, Cavese tra le altre), oggi è tornato nella sua Sicilia, momentaneamente fuori dall’ambiente del calcio. Massimiliano Scichilone, 51 anni compiuti da poco, vive a Butera, un paesino di quattromila anime in provincia di Caltanissetta.

Cosa ci fa uno con i tuoi trascorsi in una cittadina così piccola nel cuore dell’isola?

Vivo serenamente e lavoro. Spesso scendo a Gela, da lì guardo il mare e vedo la Tunisia. Mi rimette in pace con il mondo. Con il pallone ho chiuso una decina di anni fa.

Perché?

Avevo provato ad allenare nei dilettanti e nelle giovanili, anche lì ad Arezzo. Sono stato al Pescaiola, al Santa Firmina, due ambienti splendidi. Ma non era più il calcio che avevo conosciuto io. Poi mi sono separato da mia moglie, un’aretina, e sono tornato dove ho le radici.

Qua hai anche due figli.

I miei bambini. Ci rido perché li chiamo ancora così ma Francesco a dicembre compirà 25 anni e Michelangelo va per i 18.

Michelangelo gioca nella Juniores e Indiani lo ha fatto debuttare in prima squadra in Coppa Italia. Hai seguito?

Certo che ho seguito, anche se non gli ho mai messo il peso delle aspettative addosso. L’importante è che si diverta. Oggi i ragazzi delle giovanili hanno due grandi nemici: il cellulare e i genitori. Bisogna regolarsi di conseguenza.

Domenica c’è Livorno-Arezzo, lo sai?

Lo so, lo so. Sono le mie ex squadre a cui sono rimasto più legato. Credo e spero che sarà una gran bella partita, Livorno e Arezzo non meritano di stare in serie D. Quest’anno l’Arezzo ha imboccato la strada giusta e il Livorno invece no.

Te lo saresti aspettato a inizio stagione?

Diciamo che l’Arezzo ha costruito la rosa con l’obiettivo di tornare in C. Si è visto fin dall’inizio che c’erano tutte le componenti per salire di categoria. Il Livorno è una matricola, si è trovato in serie D per il ripescaggio e ne sta pagando le conseguenze.

Stagione 1996/97, serie C2, 13 gol con l’Arezzo. Che ricordo hai?

Meraviglioso. Era la prima volta che mi staccavo totalmente da casa e non finirò mai di ringraziare il presidente Graziani, Cosmi e il suo staff per come si comportarono con me. E aggiungo il direttore Gigi Falasconi, il mio scopritore.

Aveva l’occhio lungo.

Venne a visionarmi a Roma nello spareggio playout contro l’Astrea. Io giocavo con il Marsala, feci una buona partita e mi prese. Con l’Arezzo arrivammo quinti, fu un’annata positiva per me in campo e fuori. Conobbi Sara, la mamma dei miei figli, andai in doppia cifra.

Tre momenti che ti sono rimasti impressi di quel campionato.

La doppietta al Pisa nella prima partita al Comunale. Il playoff con la Maceratese dove ci girò tutto storto: all’andata giocammo sotto il diluvio, in dieci dopo mezz’ora per l’espulsione di Panisson. Al ritorno invece c’erano 40 gradi.

Il terzo ricordo?

Il gol al Livorno all’ultima giornata, sotto la curva. Saltai anche il portiere, se chiudo gli occhi rivedo tutta quell’azione.

una foto in bianco e nero della stagione 96/97 (Arezzo-Pisa 2-2)

Hai segnato di qua e hai segnato anche di là. Primavera 2001, all’Ardenza siamo sul 3-3. Dopo il 90′ la metti dentro due volte e finisce 5-3 per il Livorno. Tu esulti tanto e i tifosi dell’Arezzo non la prendono bene. Ventidue anni dopo che dici?

Che fu un’esultanza esagerata, è vero. E capisco se qualcuno ci rimase male. Ma la mia non fu una gioia polemica contro l’Arezzo. La verità è che ci tenevo tanto a giocare e invece Jaconi mi tenne in panchina fino a pochi minuti dalla fine. Mi giravano i coglioni come poche altre volte nella vita. Quando vidi la palla in rete, non riuscii a trattenermi. Ma giuro, l’Arezzo non c’entrava in nessun modo. Mi dispiace se ancora oggi qualcuno pensa questo. Poi io ho un carattere particolare, sono esuberante.

Questo è innegabile.

I gol li ho sempre festeggiati in modo forte, sono fatto così, contenermi non è mai stata una mia prerogativa. Mi piacerebbe che passasse questo messaggio, anche perché è trascorso tanto tempo e ad Arezzo torno spesso. Lì c’è un pezzo della mia vita.

Due compagni di Arezzo e Livorno che ti sono rimasti nel cuore.

Lauro Minghelli, per tutto quello che era come calciatore e come persona, e Igor Protti, il numero uno in assoluto.

Tornando all’attualità. Prevedi un derby aperto a qualsiasi risultato oppure no?

Sì, queste sono partite che sfuggono al pronostico. Però la classifica è chiara: l’Arezzo è primo con 14 punti più del Livorno. Qualcosa deve significare per forza.

Il clima da battaglia, anche sugli spalti, potrebbe spostare qualche equilibrio?

Tutto può essere e io so bene quanto calore può dare uno stadio come il “Picchi”. Ma di fronte ci sarà una squadra che viene da 5 successi di fila e che ultimamente ha anche imparato a vincere soffrendo. La differenza, alla fine, la fanno i giocatori. Il Livorno comunque se la gioca.

Vincere soffrendo è stata anche una tua prerogativa.

Ed è giusto. Le maglie di Arezzo e Livorno pesano, non tutti hanno le spalle larghe per indossarle. E poi vincere dando battaglia è molto più bello.