L’adrenalina di sempre, i gradoni saliti di fretta, il tempo che passa e io che sono innamorato sempre più. E’ impossibile non sentire questa voce: chi canta così forte è il mio cuore, pronto a spingere il pallone dentro la rete. E se nei prossimi giorni piangeremo, saranno le lacrime di gioia che aspettiamo da tanto. Nessuno di noi forse lo sa spiegare, ma tu, caro Arezzo, ci capirai

“Ho preso la bandiera, son corso da te”. Quante volte si lasciano i parenti a tavola per il pranzo della domenica, oppure si lascia direttamente la sedia vuota, in nome di quella passione per i colori amaranto? Quante volte si prende, si parte, con l’adrenalina che pian piano sale, aumenta mentre si percorre il viale dello stadio, si passano i controlli, i tornelli, si salgono le scalette, si prende posto in curva, facce spesso note le une alle altre, ognuno con la propria sciarpa, la bandiera, il due aste, qualcosa che lasci una pennellata di amaranto nel quadro della curva sud intitolata a Lauro. Quante volte, e ogni volta è sempre un po’ come la prima volta.

“Di tempo ne è passato, io sono innamorato, lo son sempre di più”. Le corse col motorino, quando ancora non c’era neanche il casco obbligatorio. Poi le prime volte con la macchina, cercando di arrivare abbastanza presto da parcheggiare dietro la curva. In treno, in pullman, in bici, a piedi: siamo arrivati allo stadio con ogni mezzo avessimo a disposizione. Quante discussioni con quante fidanzate sono nate per stare vicino a questi colori? Di sicuro qualche storia è anche finita, ma allora non ne valeva la pena, perché quello che si prova stando su quegli spalti è un amore diverso, non è un amore che si può contendere con una storia sentimentale, è qualcosa che ti si insinua sotto pelle e resta lì: magari a volte potrà affievolirsi un po’, o addirittura coprirsi di cenere, ma la fiammella sarà sempre al solito posto, pronta ad ardere di nuovo. Chi ti ama davvero lo capisce.

“La senti questa voce? Chi canta è il mio cuore”. Quante volte siamo arrivati a scuola, o al lavoro il lunedì mattina con la voce fioca, per sentirsi magari dire “ma mica sarà per via dello stadio? Ma che ancora te confondi con l’Arezzo?” (non riesco a immaginare una frase più fastidiosa, lo dico a chi ne fa uso: pensate di essere simpatici, ma la cattiva notizia è che non lo siete. Per niente.) E noi lì, a mandare a memoria i cori, a battere le mani a tempo, a cercare di spingere gli undici in campo affinché si riesca a far attraversare (per intero, eh!) la linea di porta al pallone, per far esplodere un grido di gioia, abbracciare uno sconosciuto, rovesciare una birra (scoccia, ma succede), saltare, esultare per un rito collettivo che si rinnova: come diceva quello striscione degli Ultras di una ventina d’anni fa, nessuna televisione potrà mai trasmettervi questa emozione.

“Arezzo sei il mio amore, non te lo so spiegare, ma tu mi capirai”. Già, tu mi capirai, come nelle grandi storie d’amore, ci capirai se qualche volta ci arrabbiamo, alziamo la voce, è per il volerti troppo bene, il tenerci troppo a questi colori, che in fondo per noi che attaccavamo le figurine negli album dei calciatori più anni fa di quanti siamo disposti ad ammettere, che abbiamo sognato di indossare questa maglia, scrollare la rete, correre sotto la sud ad esultare, che adesso magari abbiamo in famiglia qualcun altro a cui trasmettere questa passione, siamo sempre quelli con il fiato sospeso, che aspettano di poter gioire, che il gol di Floro Flores che ubriaca Costacurta in Coppa Italia per noi vale quanto quello di Cantisani nell’acquitrino di Ponsacco, che il tuffo di testa di Battistini contro il Sansepolcro ci ha emozionato quanto e forse più di quello di Martinetti a Torino contro la Juve; noi siamo così, come tutti gli innamorati, stiamo col fiato sospeso in attesa di poter lasciare andare un urlo liberatorio. E se nei prossimi giorni tu dovessi vederci piangere, cavallo rampante, forse saranno solo lacrime di gioia, quelle che aspettiamo ormai da troppo tempo di lasciar scorrere sul viso, mentre cantiamo all’unisono “ho preso la bandiera, son corso da te…”