In quello stadio, ogni volta, il pensiero corre a Lauro. Alla sua ultima partita. A quel filo sottile ma inossidabile che lega un campo di provincia a un sentimento che ci portiamo tutti dentro il cuore

Un po’ d’autostrada, la Fi-Pi-Li, poi arrivi al Mannucci. C’è una botteghina lì davanti dove si mangia bene: panini farciti ma anche primi e secondi. Lo stadio è quello classico di provincia: pochi fronzoli, prato sintetico, entri dentro e capisci che ci sarà da battagliare. Ci sono stato tante volte, ho visto segnare Di Corcia, Moscardelli, Foglia, Ogunseye ma è da sempre un campo ostico. Vinciamo di rado, pareggiamo qualche volta, perdiamo spesso.

Pontedera però è soprattutto un gelido pomeriggio di tanti anni fa. La squadra non era in un gran momento, tirava un vento freddo, fastidioso. Giocammo senza mordente, finì 1-0 per loro. La numero 4 la portava Lauro Minghelli: fece fallo da rigore all’inizio del secondo tempo, poi protestò, venne espulso. Da quel giorno non ha più rimesso piede in campo. Era il 12 ottobre 1997.

Uscì con lo sguardo basso e l’aria mesta. Stava già male, si barcamenava con gli antidolorifici, si era operato per un osteoma all’anca ed era rientrato in gruppo. Ma non era come prima, non sarebbe mai stato come prima. Lauro Minghelli era ai titoli di coda, anche se quel giorno nessuno sapeva che il cartellino rosso davanti al viso gliel’aveva sventolato direttamente il destino.

La malattia lo colpì poco dopo, piegandolo ogni giorno di più, fino a portarselo via il 15 febbraio 2004, in una domenica in cui l’Arezzo cavalcava verso la B e batté la Pistoiese e i tifosi tirarono giù tutti gli striscioni, lasciando lo stadio spoglio e scolorito. Da allora Lauro Minghelli non è più soltanto un nome e un cognome: è un ricordo collettivo, un simbolo identitario, un’eredità che si tramanda.

E dunque Pontedera non è una trasferta come le altre. In quello stadio, ogni volta, il pensiero corre a lui. Alla sua ultima partita. A quel filo sottile ma inossidabile che lega un campo di provincia a una storia che ci portiamo tutti dentro il cuore.