Il capo degli osservatori dell’Atalanta si è raccontato al Festival del calcio italiano, svelando il rapporto simbiotico con l’ex direttore sportivo dell’Arezzo: “Analizzare un calciatore non è solo questione di numeri. Oggi esistono algoritmi e database, ma la visione dal vivo è ancora insostituibile”
Si è tenuto mercoledì, nella suggestiva cornice del roof garden dell’Hotel New Energy-Valdichiana, un nuovo appuntamento della rassegna “I protagonisti del calcio si raccontano”, ideata e prodotta dal giornalista Donato Alfani, presidente del Festival del Calcio Italiano. Protagonista dell’incontro è stato Dario Rossi, attuale capo scout dell’Atalanta Bergamasca Calcio, considerato tra i più autorevoli e competenti osservatori del panorama calcistico nazionale. Un pubblico attento e partecipe ha assistito a un’intensa serata fatta di storie, aneddoti, riflessioni e passione, incentrata sul mondo poco visibile ma decisivo dello scouting calcistico. Dario Rossi ha ripercorso il proprio cammino professionale, dagli esordi in provincia fino ai vertici della serie A, senza mai perdere di vista il valore umano e formativo del suo lavoro.
“Vengo da una famiglia di sportivi – ha raccontato Rossi. Ho avuto la fortuna di crescere in un ambiente dove lo sport era pane quotidiano. Mio padre Delio allenava la Lazio, ma io ho scelto un’altra strada, cominciando ad allenare bambini in provincia di Foggia. A Roma ho iniziato a collaborare con lo staff della Primavera biancoceleste, esperienza che mi ha formato tantissimo. In questo mestiere la passione è fondamentale: ho imparato moltissimo da Walter Sabatini, che ha creduto in me e mi ha dato responsabilità importanti. Osservare un calciatore non è solo questione di numeri: oggi esistono algoritmi e database, ma la visione dal vivo è ancora insostituibile. I campionati dilettantistici, ad esempio, sono stati trascurati troppo a lungo: lì si nasconde ancora talento puro. Il mio più grande rimpianto? Non aver portato Lewandowski a Palermo”.
L’incontro è stato aperto da Donato Alfani, presidente del Festival del Calcio Italiano, che ha sottolineato il valore dell’evento e l’importanza di restituire al pubblico una dimensione più intima del calcio, fatta di incontri, dialoghi e inclusività.
“Sono felice di essere tornato ad Arezzo dopo quattordici anni – ha dichiarato – la città ci ha accolti con grande calore. Questa rassegna, come tutte le proiezioni del Festival, è gratuita proprio perché vogliamo che sia partecipativa, accessibile e inclusiva. La nostra filosofia è quella del ‘terzo tempo’: raccontare cosa succede fuori dal campo, dove spesso si nasconde la parte più autentica del calcio”.
Alla serata ha partecipato anche Marco Sereni, rappresentante della Figc, che ha voluto testimoniare la vicinanza della Federazione a queste iniziative: “La Figc è onorata di far parte del Festival del Calcio Italiano. Facciamo nostri molti dei messaggi positivi che emergono da queste storie: il calcio ha ancora tanto da insegnare, se lo si guarda da vicino con gli occhi e il cuore giusti”.