Il numero 8 fuori dal progetto. Nonostante un altro anno di contratto, nonostante i valori che impersona e il senso di appartenenza di cui è stato un simbolo per tre stagioni
I numeri spiegano tante cose nel calcio ma non spiegano tutto. Ci sono giocatori che vanno al di là della pagella, dei gol, degli assist, della prestazione. Ci sono giocatori che vanno misurati sul campo e fuori dal campo, per quello che rappresenta la loro storia, per i princìpi che impersonano. Non sempre, nemmeno nel calcio tritacarne di oggi, si può ridurre tutto a una statistica, a una prosaica decisione tecnica. Anche perché la sfera tecnica non si ferma al rendimento sul terreno di gioco: pure il carisma, le dinamiche di spogliatoio, l’esperienza, l’attaccamento alla maglia ne fanno parte.
Il capitano di una squadra è una risorsa da salvaguardare. Chi indossa la fascia non è necessariamente il più bravo, il più forte o quello che gioca di più. Il capitano è colui che incarna gli ideali della causa, chi si accomoda in panchina senza fiatare, chi dà sempre il massimo, chi evita le polemiche e le mezze frasi, chi si adatta in un ruolo non suo per il bene della squadra, chi accetta di scaldarsi tre quarti d’ora e poi non entra nemmeno un minuto. Una volta, due volte, tre volte e non sbotta mai.
In un calcio sempre più social, che va avanti per slogan tutti uguali, aridi, adatti a qualsiasi contesto, a qualsiasi piazza, a qualsiasi colore, c’è ancora chi fa parlare l’evidenza dei fatti e consegna a certi intelligenti silenzi un peso molto più rilevante di certe impulsive parole. In un calcio dove tanti giocatori puntano i piedi per andarsene, nonostante il contratto, ce ne sono altri che vengono invitati ad andarsene, nonostante il contratto.
Eppure l’appartenenza è uno dei valori più invocati nel mondo del pallone, dove la gente soffre nel constatare che in mezzo al campo sono pochi, pochissimi, ad avere un cuore da tifoso come chi sta sugli spalti. Le eccezioni sono rare e, quando si ha la fortuna di coltivarne una in casa propria, bisognerebbe tutelarla a prescindere da tutto il resto.
Da noi c’è un giocatore che, a 31 anni e mezzo, ha sfidato luoghi comuni e consuetudini per imbarcarsi in una sfida fascinosa e rischiosa in egual misura. Che non ha dato peso al “nemo propheta in patria” valido a ogni latitudine, indossando la numero 8 di Menchino. Ha vinto un campionato dilettanti, ne ha fatti altri due in Lega Pro tra alti e bassi: un po’ mezz’ala, un po’ recupera palloni, un po’ assaltatore, un po’ attaccabrighe, un po’ con la testa a un futuro in società.
Ma non è questo il dato rilevante. O davvero c’è qualcuno che pensa che uno con 285 presenze in C e 122 presenze in B non avrebbe potuto ritagliarsi uno spazio utile, in campo e fuori, nell’Arezzo del prossimo anno? Per tutti questi motivi, e a prescindere da come finirà la nuova stagione, Andrea Settembrini un posto dentro il progetto se lo sarebbe meritato. Ad maiora!