Da Guccione play a Varela finto nove: due partite diverse, due vittorie e scelte premiate dal campo. Gli amaranto conservano il primo posto in classifica
Rimini è un crocevia e un campo porta fortuna per Cristian Bucchi. E uno stadio dove scelte tutt’altro che banali hanno trovato legittimazione. L’anno scorso l’intuizione di spostare Guccione a fare il play, conservando il tridente in attacco, nacque proprio lì: finì 2-0, prima vittoria della sua gestione dopo l’arrivo in panchina, gol sblocca astinenza per Tavernelli, primo sigillo amaranto per Ravasio. L’altra sera, con la partita sporca e incagliata sullo 0-0, un’altra mossa spariglia carte: fuori Cianci, via il riferimento offensivo e dentro Varela a fare il centravanti di manovra. In sette minuti lo scenario è cambiato, il portoghese prima si è costruito un’occasione da gol sventata dal portiere e poi ha fatto bingo, chiudendo un contropiede orchestrato proprio da lui.
E’ vero che venerdì Ravasio era in panchina per onor di firma, bloccato da una forma acuta di lombo sciatalgia, e che in qualche modo le opziono riguardanti i cambi erano ridotte all’osso. Però Bucchi avrebbe anche potuto tenere dentro Cianci fino alla fine, sperando si sbloccasse in zona gol per recuperarlo tecnicamente e psicologicamente. Oppure rinunciare a un mediano e giocare 4231, schierando tre rifinitori alle spalle della prima punta. A prescindere da tutto, la sensazione è che rinunciare alla prima punta, inserendo un falso nove di gamba e vitalità come Varela, sia stata proprio una scelta per togliere riferimenti ai centrali del Rimini.
La panchina fino a questo momento si sta dimostrando una risorsa preziosa, sia per ciò che concerne l’imprinting dell’allenatore sulla mentalità della squadra (miglior attacco del girone, secondi tempi come miniera di gol e di punti, gioco offensivo), sia per l’atteggiamento positivo di chi subentra, dettaglio non scontato in una rosa in cui i curricula sono di alto profilo e dove la concorrenza è altissima. Varela da questo punto di vista è l’esempio più emblematico, non solo perché segna ma anche per il sorriso di cui è armato. Citazione anche per Perrotta, diligente in un ruolo non propriamente suo e alla prima da titolare.
Per concludere. Sono tre punti che valgono oro quelli di venerdì, strappati a un avversario alle prese con una situazione societaria grottesca e che tra campo e panchina aveva undici ragazzi nati dal 2005 in poi. Come qualità di palleggio e ritmo, l’Arezzo non ha offerto la miglior versione di sé, rischiando il pari beffa in una delle poche sortite riminesi della ripresa (provvidenziale Mawuli). Però ha vinto da grande squadra, di misura e, come ribadito più volte, l’1-0 è sempre sintomo di buona salute.