Flashback sulla stagione 1995-96: i due aste goliardici per la partita della festa, la vecchia curva sud che non era ancora intitolata a Lauro Minghelli perché Lauro Minghelli era in campo, la passione genuina della gente e la simbiosi con la squadra. L’attuale allenatore della Flaminia era il condottiero dello spogliatoio. E vinse il campionato con la fascia al braccio e il numero 8 sulla schiena. Come Settembrini, che a distanza di quasi trent’anni cerca di ripeterne le gesta
La curva era ancora quella vecchia: lunga, lunghissima, distante dalla porta. Ma il calore arrivava lo stesso in mezzo al campo. Come il 31 marzo 1996, quando i gradoni erano affollati come poche altre volte. Gremiti, colorati e con quel tocco di fantasia che ha sempre caratterizzato la sud. Campeggiava uno striscione lunghissimo con la scritta “bandiere al vento, l’Arezzo è ritornato” e tanti due aste con messaggi buffi e originali: stufina spenta, sesso in curva, ciao Borgo, carramba che sorpresa, pane e vino, segui la sud, canta con noi, piscia de fori, ai cachi, ho vinto qualche cosa?, god save the ultras, mai domi. La curva non era ancora intitolata a Lauro Minghelli perché Lauro Minghelli giocava con la maglia numero 2. Al Comunale era di scena la Sestese: finì 1-1 (gol di Bruni) e fu il punto della matematica promozione in C2.
Cominciò una festa piena di passione, genuina come il calcio di quell’epoca. I social non c’erano, l’attaccamento alla maglia sì. Squadra e tifosi avevano trovato una simbiosi strettissima, alimentata dallo spirito del popolo, che sognava il riscatto dopo anni di mazzate, e dal carattere di uno spogliatoio sanguigno, verace, combattivo.
Serse Cosmi ne era l’allenatore ideale, Federico Nofri il condottiero perfetto. Per lui venne coniato il coro del “capitano coraggioso” che la gente cantava in giro per i campetti di Umbria, Marche e Romagna. Generoso, carismatico, dinamico, è stato il leader più leader del quinquennio cosmiano, più di Di Loreto e Bacci che ne ereditarono i gradi negli anni seguenti.
In quel campionato segnò 2 gol: uno al 95′ a Senigallia (e l’Arezzo vinse 2-1), uno a inizio ripresa a Città di Castello (e l’Arezzo vinse 2-1). In entrambi i casi il tripudio generale cagionò il crollo parziale delle reti di recinzione. Oggi fioccherebbero multe e squalifiche, allora passava tutto per folklore.
Era un’epoca in cui Nofri, per venire ogni giorno ad allenarsi ad Arezzo, viaggiava insieme ai compagni di squadra e all’allenatore. Una volta la Opel Kadett station di Cosmi si ribaltò lungo la strada: dentro c’erano il mister, il capitano, Martinetti e Taccucci. Non si fecero male per fortuna, ma è un episodio scolpito nel libro degli aneddoti: sempre insieme, nella buona e nella cattiva sorte.
Nofri, nato a Perugia ma con mamma aretina, non era il più anziano della rosa. Mosconi e Semplici avevano più anni di lui, però quando Cosmi lo propose come punto di riferimento, furono tutti d’accordo.
E se Battistini, il bomber, è passato simpaticamente alla storia come “ruba-gol”, il merito/colpa è proprio di Nofri, che segnava poco e ha sempre rinfacciato al compagno quel tocco sulla riga di porta, a San Marino, che fece finire il centravanti sul tabellino marcatori. Nofri l’aveva colpita di testa e già pregustava uno spicciolo di gloria in più. Invece restò a bocca asciutta.
Flash di un campionato rimasto nella memoria degli sportivi. Federico Nofri, oggi 53enne e allenatore della Flaminia, dopodomani torna da doppio ex: ad Arezzo, oltre ad averci giocato, si è pure seduto in panchina dieci anni fa. Ma l’impresa resta la vittoria della serie D, da capitano e con il numero 8 sulla schiena. Come Andrea Settembrini, che a distanza di quasi un trentennio potrebbe ripeterne le gesta. Ma questo va scritto sottovoce.