Più assistman che goleador, più rifinitore che finalizzatore, conquistò il pubblico con la sfrontatezza dei vent’anni e la bontà delle sue giocate. In totale 99 presenze e 8 gol, un campionato vinto, l’affetto della gente. E l’amicizia con Minghelli che resta nel cuore: “In amaranto gli anni della mia gioventù più bella. Oggi vedere la curva che porta il nome di Lauro mi emoziona. Questa piazza merita il meglio”

Capelli al vento e andatura caracollante, Alessio Bifini danzava in mezzo al campo. Un dribbling, una finta di corpo, un tocco felpato: nelle sue partite c’era voglia di vincere e di piacere. Più assistman che goleador, più rifinitore che finalizzatore, conquistò il pubblico con la sfrontatezza dei vent’anni e la bontà delle sue giocate.

Classe ’75, grossetano, cresciuto nelle giovanili della Fiorentina, arrivò ad Arezzo nell’estate del 1994. Bravo ma leggero, questo dicevano di lui. Però venne subito adottato dalla gente e anche dall’allenatore, quell’Ennio Pellegrini che vinse il titolo di campione d’inverno per poi vedere la squadra sfaldarsi nel girone di ritorno, salvata da Pino Pellicanò.

Bifini si consacrò l’anno dopo, vincendo la serie D con Serse Cosmi in panchina e a fianco di compagni che sembravano fatti l’uno per l’altro, trascinatori di un ambiente che a fine torneo festeggiò il salto in C2. “Maradona chi è, Maradona chi è” si domandavano i tifosi cantando il coro per quel fantasista tutto estro e qualità che salutò l’Arezzo nell’estate del 1997, dopo tre campionati conditi da 99 presenze e 8 gol.

In carriera poi ha vestito le maglie di Sanremese e Albinoleffe, Poggibonsi e Samb, Grosseto e Alessandria. Una volta appese le scarpe al chiodo, è diventato un allenatore come molti dei suoi colleghi del ’96, da Mosconi a Semplici, da Nofri a Battistini. Domenica è tornato al Comunale per godersi la festa e prima, mentre osservava i cimeli del Museo, ha raccontato ad Amaranto Social Club il suo rapporto con Arezzo e una lunga serie di aneddoti.

“Qui ho trascorso gli anni della mia gioventù più bella, ho vinto un campionato, ho sentito l’affetto della città che ho ricambiato alla grande. Il legame che c’era una volta c’è anche adesso e mi emoziona tornare in questo stadio, vedere la curva sud che oggi porta il nome di Minghelli. Con Lauro abbiamo abitato insieme, abbiamo dormito fianco a fianco, il suo ricordo me lo porto dentro. A questa piazza auguro il meglio e un giorno chissà, magari torneremo insieme”.