L’ex allenatore amaranto e un saluto sentito alla città: “L’emozione che mi porterò dentro è aver rivisto tanta gente sugli spalti, la vittoria del campionato è stata unica. L’addio? Non ho mai spinto per andare via. A luglio compio 70 anni ma ho l’entusiasmo di quando ne avevo 30. E finché dura quello, vado avanti”
Paolo Indiani arrivò in mezzo a un consenso larghissimo. Giugno 2022. Tutti volevano lui perché c’era da tornare nel calcio vero. E lui, con 9 promozioni alle spalle, in conferenza stampa disse: “Mi piacerebbe vincere il campionato con un mese d’anticipo e riportare 5mila persone allo stadio”. Fu di parola: il 16 aprile 2023 festeggiò il salto di categoria a tre turni dalla fine, allo stadio di spettatori ce n’erano 6.259. Ha espugnato Livorno dove l’Arezzo non vinceva da 49 anni. Ha battuto il Perugia dopo 16 anni d’astinenza. Ha fatto l’allenatore a modo suo, con i pregi di un professionista che vive (quasi) solo di campo e i difetti di un tecnico poco incline al compromesso, alle mezze misure.
Non è stato esente da errori in questo biennio, come capita a tutti i suoi colleghi. Ma ha dato un indirizzo preciso, forte, suo. E se si pesano i pro e i contro, la bilancia pende dalla parte giusta. C’è un paradosso singolare che lo riguarda, come ha riguardato altri in passato: quest’anno ha spremuto la squadra così bene e così a fondo, guidandola fino all’ottavo posto, che qualcuno si rammarica per non essere arrivato più su. Capita quando vai oltre le aspettative.
In una società dove vincere i campionati è sempre stata dura, Paolo Indiani entra nel ristretto elenco di allenatori decorati che comprende Giuseppe Andrei, Cesare Meucci, Omero Tognon, Antonio Valentin Angelillo, Serse Cosmi, Mario Somma.
“Voglio ringraziare in primis la città – ha detto poco dopo il congedo dall’Arezzo. Credetemi, sono stati due anni belli, belli, belli. Ero arrivato con l’obiettivo di riportare la squadra in C e ci siamo riusciti. Quella promozione, in quel pomeriggio contro la Pianese, è stata unica e lo dico io che ho avuto la fortuna di viverne altre. L’emozione che mi porterò dentro è aver rivisto tanta gente sugli spalti dopo un periodo difficile. Un grazie ai miei collaboratori, a tutti quelli che hanno condiviso con noi il lavoro quotidiano: abbiamo vissuto due stagioni straordinarie, i numeri lo testimoniano. L’addio? Io sarei rimasto più che volentieri, non ho mai spinto per lasciare Arezzo e andare via. Mai. Non so se l’anno prossimo sarò su qualche panchina, il calcio è strano. Di sicuro non ho perso la voglia di andare al campo, di veder crescere i ragazzi, di dare tutto per questo sport. A luglio compio 70 anni ma ho l’entusiasmo di quando ne avevo 30. E finché dura quello, vado avanti”.