Emiliano Pattarello, 26 anni, 19 gol totali in stagione

I primi calci al pallone, gli allenatori più importanti, la scuola, la scelta di Arezzo, l’affetto per Indiani, il rapporto con Troise e Bucchi, i playoff dietro l’angolo, le sirene di mercato, il sogno della B in amaranto. E la sera in cui ha capito che doveva cambiare. Intervista al numero 10

Come hai scoperto il pallone?

Ai miei il calcio piaceva ma il primo sport che ho praticato è stato il nuoto. A 6 anni avrei dovuto esordire in gara e invece dissi no. Scelsi le partitelle per strada con i miei amici e mia mamma non gradì. Non amava le botte, le ginocchia sbucciate, gli stinchi con i lividi. Però poi si è rassegnata.

Cominciare per strada è una palestra formidabile. Oggi non succede quasi più.

Io ero piccolo ma quei giorni me li ricordo bene. Abitavo a Oriago, mi presero nella squadretta del paese. Due anni dopo ero al Padova. Avanti e indietro con il pullmino della società: ci passava a prendere dopo la scuola, ci riportava finito l’allenamento. Da casa mia ci volevano 40 minuti, viaggiavo con altri ragazzini come me. Era un divertimento.

Studiavi con profitto o i libri erano una tortura?

Fino alle medie me la sono cavata dai. Alle superiori ho avuto qualche difficoltà in più. Comunque sono riuscito a diplomarmi, non so come ma ce l’ho fatta.

C’è un allenatore che in quel periodo ti ha formato più degli altri, uno che ti ha lasciato veramente qualcosa?

Cosimo Chieffa, maestro di tecnica e sergente di ferro. L’ho avuto a Padova fino ai miei 14 anni. Con lui c’era un rapporto di amore odio, come mi è successo con altri allenatori.

Un altro nome?

Paolo Magnani. Siamo stati insieme al Bologna, ne conservo un bel ricordo.

A proposito di allenatori: dopo le giovanili hai lavorato con Brevi e Diana a Renate, Colombo all’Arzignano, Parlato e D’Anna a Trento. Con chi hai legato di più?

Brevi rimase poco, Diana invece si dimostrò un grande. Era molto attaccato alla squadra, un’ottima persona. Con Colombo non mi sono trovato granché: io ero alle prime armi, lui puntava sui giocatori più esperti in un’annata difficile. Retrocedemmo dopo il playout con l’Imolese. Parlato invece mi vedeva. Con D’Anna praticamente non ho avuto rapporti. Ma arrivò per le ultime partite.

Oggi sei il classico esterno da 433, anche se puoi giocare in ruoli diversi. Ma agli esordi che tipo di calciatore eri?

Un attaccante atipico. A Cittadella mi schieravano da centravanti e l’ultimo anno lì segnai tanti gol. Per quello mi prese il Bologna, dove c’era Troise. Con lui giocai un po’ da prima e un po’ da seconda punta. Poi piano piano sono diventato un esterno.

Estate 2022, avevi vinto la D e giocato in Lega Pro con il Trento. Perché scegliesti Arezzo, di nuovo tra i dilettanti?

Non fu una decisione facile. Mi chiamò il direttore Giovannini per spiegarmi il progetto, però io avevo un paio di offerte dalla serie C. Solo che non mi convincevano granché, mentre Arezzo mi faceva scattare qualcosa. Il mio procuratore, Gianni Magi, è aretino e il suo parere mi dette l’ultima spinta.

Arrivi ad Arezzo e conquisti un’altra promozione. Cosa racconterai ai tuoi nipoti di quella stagione?

La forza di un gruppo che seppe superare i momenti difficili con l’unità e la compattezza. Vincere in una piazza del genere non può non restarti dentro.

con il sigaro della vittoria dopo la promozione in serie C

21 gennaio 2023, Arezzo-Sangiovannese. Prima servi l’assist del gol a Gaddini e poi ti fai espellere. La partita finisce 1-1, la società ti rimprovera pubblicamente. A ripensarci oggi, quella giornata ti ha fatto crescere o solo arrabbiare?

Vuoi la verità? La sera, prima di dormire, mi scattò qualcosa dentro. Presi coscienza che dovevo cambiare e tutto ciò che successe in quelle ore, in campo e fuori, mi ha fatto maturare.

Quanto ti ha dato Paolo Indiani?

Del mister ho una stima alta come persona e come allenatore. Nonostante i suoi anni, ha una voglia di lavorare sul campo, di vincere che ti contagia e ti trascina. Caratterialmente va preso con le pinze. Però ci siamo voluti e ci vogliamo bene.

La maglia numero 10 è mai stata un peso per te?

No, anzi. E’ una maglia che nel calcio ha un valore simbolico altissimo. Ricordo che chiesi a Cutolo se era il caso di indossarla, lui mi dette l’ok. Non mi ha mai pesato, semmai mi carica.

La vera svolta per la tua carriera c’è stata in questa o nella scorsa stagione?

Secondo me l’anno scorso ho segnato di meno ma a livello di prestazioni sono stato più continuo. Quest’anno ho faticato all’inizio anche se oggi i numeri in zona gol sono molto migliori.

A proposito di Troise. Cos’è che non ha funzionato con lui?

Umanamente ho ritrovato il mister di Bologna, molto attento ai rapporti con i giocatori. Non è stato tutto da buttare, anche guardando la classifica. Abbiamo pagato i mesi di gennaio e febbraio, siamo andati giù a livello mentale e lui non è riuscito a trasmetterci la leggerezza che ci serviva. Eravamo diventati confusionari in campo ma non perché ci fosse qualche attrito con Troise, semplicemente perché ci mancava serenità.

Che poi è quella che ha saputo darvi Bucchi.

Anche ma non solo. E’ stato bravo a rimetterci in sesto dopo un periodaccio, sia sul piano atletico che tecnico-tattico. La squadra adesso ha un’identità molto precisa.

Hai segnato 30 gol in totale con l’Arezzo, solo uno in campionato su azione davanti alla sud. Ti pesa questo dato così bizzarro?

Un po’ ci penso, non lo nego, anche se mi sono goduto pure le reti su rigore o quella di Coppa contro l’Ascoli. Prima o poi la ruota girerà.

Hai vinto il Cavallino d’oro di Porta Santo Spirito e la Perla Amaranto, il premio che la nostra redazione assegna ai gesti tecnici migliori. Qual è il gol più bello, da questo punto di vista, che hai firmato in stagione?

Gol brutti non ne ho fatti, di questo sono felice. Se devo sceglierne uno, dico quello su punizione alla Spal. E anche quello al Pontedera, che però non ci evitò la sconfitta.

In cosa ti senti diverso rispetto al Pattarello di qualche anno fa?

Nella consapevolezza di me stesso e dei miei mezzi. E’ la maturazione di cui parlavo prima, che mi fa accettare complimenti e critiche con il giusto equilibrio. Di me avevo la percezione di un ragazzo, adesso quella di un uomo.

Hai 26 anni, un playoff da giocare, le sirene del mercato che cantano da Cesena, da Trapani, da Reggio Emilia. Come lo immagini il tuo futuro?

Ho anche altri due anni di contratto con l’Arezzo, in una piazza che sento mia al cento per cento. Il futuro non me lo immagino. Spero sia appagante, questo sì. Sono ambizioso come tutti i giocatori della mia età e so che nel calcio può succedere tutto o nulla. Vincere i playoff sarebbe il coronamento di un triennio eccezionale. Ma lo dico sottovoce.