il presidente Guglielmo Manzo, 60 anni

Il 19 agosto 2020 la conferenza stampa di insediamento della nuova proprietà. A distanza di un quinquennio, il club è cresciuto grazie alla capacità del presidente di imparare dagli errori e guardare oltre. Oggi gli obiettivi sono la serie B e lo stadio nuovo ma i tifosi, memori del passato, hanno soprattutto una raccomandazione da fare: che, qualunque sia l’esito del campionato, il pallone da queste parti continui a rotolare

Compie cinque anni la foto scattata nella sala stampa dello stadio il 19 agosto 2020, quando la nuova proprietà si insediò ufficialmente dopo aver acquistato il 94% delle quote sociali da Giorgio La Cava. In quel giorno d’estate Guglielmo Manzo tenne il profilo basso e lasciò il proscenio agli altri compagni d’avventura: il fratello Francesco, Pino Monaco, Fabio Gentile, Sabatino Selvaggio, Riccardo Fabbro, Roberto Muzzi. La sua parola già contava, i suoi soldi pure, ma non prese cariche. Sarebbe diventato direttore generale a dicembre e poi presidente a fine 2021.

Nel quinquennio successivo è accaduto di tutto. La squadra è retrocessa in D nonostante un monte ingaggi folle di oltre 6 milioni di euro, ha frullato e bruciato tecnici e dirigenti, si è rimessa in sesto, ha riconquistato il professionismo nell’anno del centenario, si è consolidata in C e adesso, dopo aver avviato un piano di riqualificazione delle strutture che pochi club possono vantare, punta a un altro salto di categoria.

Guglielmo Manzo e la conferenza stampa del 19 agosto 2020

Se Guglielmo Manzo ha dimostrato di possedere una dote, più ancora della perseveranza e della passionalità, è la capacità di imparare dagli errori. Ne ha commessi, li ha riconosciuti, ha chiesto scusa nel momento più delicato della sua gestione, quello in cui il punto di non ritorno sembrava dietro l’angolo: era l’inizio del 2022, i tifosi disertavano la curva, aleggiava una contestazione pesante, i risultati sportivi e gestionali scarseggiavano. Battersi il petto è atteggiamento inusuale ovunque, nel calcio ancora di più. Lui è andato controcorrente, scendendo a compromessi con l’orgoglio di cui non difetta. Aver evitato il passo indietro, trasformandolo in due passi avanti, è il merito che la storia gli assegna.

60 anni compiuti da poco, salernitano trapiantato a Roma ma tifoso del Napoli, imprenditore che non ama le banche e che si è costruito da sé, Manzo è un lucido visionario. Parlava di serie B quando tutt’intorno c’erano cenere e macerie, ha preso in concessione il campo di Rigutino e quello di via Arno dopo che già aveva Le Caselle e i campini di viale Gramsci. Sta spendendo denari, sta ristrutturando gli impianti, soprattutto sta mettendo nero su bianco il faraonico progetto stadio che ha già superato i primi due step burocratici e si avvia verso l’approvazione definitiva. Si parla di un investimento complessivo di 30 milioni di euro: roba da far tremare le vene dei polsi a tutti tranne che a lui, abituato a guardare più in là del proprio naso.

Siccome non tutti sono perfetti, il meccanismo ogni tanto si inceppa. Qualche scelta non è andata a buon fine, qualcuna deve ancora pagare. Finora nessun allenatore e nessun direttore sportivo ha resistito fino al termine del contratto stipulato con il club: chi per un motivo, chi per un altro, sono tutti saltati prima. Il presente è di Nello Cutolo e Cristian Bucchi, vincolati fino al 2028: magari saranno loro a invertire la tendenza in un ambiente volatile come quello del calcio, dove la realtà muta ogni giorno e le certezze si sgretolano con una frequenza sbalorditiva. Anche ad Arezzo.

A volte Manzo ragiona di pancia e ci va giù pesante, come quando l’anno scorso mise alla berlina la squadra sia dopo il derby di Perugia che dopo la sconfitta con il Pontedera. In generale sembra amare il consenso, anche quello di facciata, più del dissenso ragionato, che invece produce più benefìci. Ma questo, per quanto rappresenti un angolo da smussare, è un tratto che accomuna tanti leader nei rispettivi settori professionali.

Per concludere. Oggi l’Arezzo è una società con basi più solide e una reputazione diversa, migliore di quella del 2020. Gli obiettivi sono chiari, alle parole stanno seguendo i fatti e le ambizioni trovano riscontro negli investimenti. Non a caso quella che è appena cominciata si preannuncia come una stagione cruciale: da una parte c’è la squadra, costruita con l’ambizione di puntare alla B, e dall’altra la sfida dello stadio nuovo, che non riguarda solo il calcio ma anche la città. Due partite diverse ma ugualmente decisive.

Manzo non è più l’uomo che nel 2020 lasciava il proscenio ai colleghi. È colui che ha alzato l’asticella delle ambizioni e dei capitali immessi nel club. Il futuro però non si gioca solo da qui a giugno prossimo. Memori di quanto è accaduto spesso in 102 anni di storia, i tifosi hanno una raccomandazione a cuore aperto da rivolgere al loro presidente, più importante di una promozione o di una nuova casa amaranto: fare in modo che, qualunque sia l’esito del campionato, il pallone da queste parti continui a rotolare.