9 giugno 1985 – 9 giugno 2025. I novanta secondi più emozionanti della storia del calcio amaranto
La rovesciata dei sogni 40 anni dopo. Domenico Neri sul prato del Comunale, dentro un’arena che è cambiata nella sua struttura esterna ma non nell’anima. E a tendere bene l’orecchio, ancora si può sentire l’eco del boato che accompagnò la palla dentro la rete di Ciappi, portiere del Campobasso che aveva appena parato un rigore al capitano amaranto, nato al Gattolino, cresciuto nelle giovanili, maglia numero 8 sulle spalle e il cuore in gola per la delusione trasformata in gioia, per la depressione diventata adrenalina pura.
Menchino simbolo di redenzione calcistica, di attaccamento ai colori, di qualità tecnica mischiata a forza di carattere, di talento e orgoglio, di riconoscenza e amore profondo. Il 9 giugno 1985, giorno in cui si consumò un irripetibile pezzo di storia, resta scolpito nella memoria e rivive ogni volta che qualcuno ne parla, che qualcuno schiaccia play e riguarda il filmato.
Oggi non ci sarebbero i carabinieri con le loro divise avana a bordo campo. Non ci sarebbe chi si fa prendere dalla gioia e scavalca le inferriate della curva. Oggi non c’è più quella curva. E non ci sarebbe chi grida al cielo il nome di un giocatore perché di giocatori simbolo, al di sopra di ogni sospetto, giocatori bandiera che si potevano amare a prescindere, non ce ne sono più. Oggi nessun arbitro rinuncerebbe ad ammonire uno che è stato cinque minuti a festeggiare. E se quella fosse la seconda ammonizione, a maggior ragione non rinuncerebbe a buttarlo fuori. Nessun portiere, dopo aver preso un gol che per lui significa retrocessione, andrebbe a stringere la mano a chi l’ha appena uccellato con una magia. Oggi nessuno si stupirebbe di vedere le immagini tivù da dietro la porta, mentre all’epoca furono una primizia che lasciò a bocca aperta. E non potrebbe succedere più che uno sbaglia dal dischetto e due minuti più tardi segna in sforbiciata, sotto la sua curva, a poco dalla fine, nella partita che vale una stagione, perché certe cose capitano una volta nella vita. Nessun presidente andrebbe ad abbracciare il suo pupillo a bordo campo, sentendo dentro che quarant’anni dopo, il suo pupillo lo ricorderebbe con un affetto che commuove. Nessun fotografo avrebbe modo di sospingere nella mischia un calciatore con il morale a pezzi che vuole farsi sostituire. Oggi non ci sono più capitani coi baffi. Oggi se un giocatore tirasse un rigore del genere, tutti penserebbero che se l’è venduta. E magari c’ha pure scommesso sopra. Invece Menchino, dopo un tiraccio maldestro dagli undici metri, la mise all’incrocio in rovesciata. E ci salvò.